Carpe diem è l’espressione tratta dalle Odi del poeta latino Orazio più utilizzata (erroneamente) che letteralmente significa “Cogli il giorno”, ma viene tradotta in “Cogli l’attimo”. Il carpe diem di Orazio nel tempo è diventato il simbolo di una delle “filosofie di vita” più famose della storia, riscuotendo grande successo soprattutto nella nostra società moderna.
Il carpe diem dunque è un concetto attuale, sebbene sia antico ed esprime un piccolo dilemma dell’uomo che resta sempre attuale: presi dagli impegni della quotidianità è facile perdere il contatto con il presente per concentrarsi sul futuro.
Ma partiamo dall’autore di questa celebre espressione: Orazio. Ciò che rende immortale la poetica di Orazio sono i temi da lui trattati e lo stile. Egli parla dell’uomo e conosce l’uomo sin nei più segreti meandri della sua anima. Egli è in grado di creare, con uno stile semplice e raffinato, nel quale ogni parola è esattamente dove deve essere e proprio per questo brilla e si riempie di ogni sfumatura di significato, immagini eterne. Orazio è stato definito da un grande studioso quale Alfonso Traina il poeta della cura, ovvero dell’ansia. Questo perché egli è consapevole di una delle più grandi verità che riguardano l’uomo: il tempo passa e si deve morire. E così nascono alcune tra le più belle pagine dei suoi Carmina, dove la caducità della vita umana è sempre presente come un’ombra oscura che minaccia il piccolo uomo: non importa quanto si sia ricchi, influenti, potenti; la morte rende tutti i uguali:
«Non illuderti d’essere immortale, t’ammoniscono
gli anni e i giorni che passano in un attimo.
Mitiga il vento il gelo a primavera e questa
la estingue l’estate che fugge,
poi quando l’autunno avrà dato i suoi frutti e le biade,
torna l’inverno senza vita.
Ma rapida la luna ripara i danni del cielo:
noi quando cadiamo nel buio
dove si trovano Enea, Anco e il ricco Tullo,
non siamo che polvere e ombra».
[Ode IV, 7, vv. 7-16]
Il confronto tra l’eterno ritorno di cui può godere la Natura accentua il sentimento di termine a cui, invece, è destinata la vita umana. Di fronte a ciò il messaggio che traspare dalle pagine di Orazio è estremamente attuale: ciò che importa davvero nella vita è la semplicità delle cose autentiche. Abbracciando una personale rielaborazione delle filosofie stoica ed epicurea Orazio è in grado di innalzare meravigliosi inni alla bellezza della vita e della giovinezza. Poiché l’uomo è moriturus, cioè destinato a morire, ciò che conta è saper carpire e dare significato fino in fondo all’istante in cui è vivo e saper godere della più bella stagione della vita, ovvero la giovinezza. Orazio è allora il poeta che, nel tentativo instancabile di salvaguardare i suoi contemporanei da una vita superficiale e vuota, insegna a loro, ma anche a noi, che est modus in rebus, ovvero c’è un limite nelle cose, che bisogna vivere aequa mente, essendo sempre pronti ad un eventuale rovesciamento della sorte, ma senza darne la colpa a nessuno, perché il Caso non prevede alcun supervisore, nemmeno gli dèi. L’uomo che avrà saputo vivere riempiendosi dell’attimo consapevole e nell’amicizia (unico vero autentico sentimento contemplato da Orazio), potrà dire alla fine della sua vita, senza rimorso, di aver vissuto.
Carpe diem non significa che si può fare ciò che si vuole
Ecco il vero significato del tanto chiacchierato carpe diem, termine abusato, usato a sproposito per giustificare qualsiasi tipo di azione, soprattutto se “alla leggera”. Carpe diem non significa che si può fare ciò che si vuole: esso unisce in sé la tragica consapevolezza della propria precarietà e della fuggevolezza del tempo e l’intenso amore per la vita, una vita che però deve essere “candida”, come la destinataria dell’ode, Leuconoe (dal greco: mente bianca), cioè semplice, priva di bramosia e di superstizione.
«Tu non chiedere, è empio sapere!, quale sorte gli dei
destineranno a me, quale a te, Leuconoe, e non consultare gli astri Babilonesi.
Quanto è meglio, invece, rassegnarsi, qualsiasi cosa accadrà,
sia che Giove ci conceda molti altri inverni, sia che questo,
che sfianca il mar Tirreno infrangendolo contro l’argine delle scogliere, sia l’ultimo!
Sii saggia, annacqua il vino e sfronda la lunga speranza, che il tempo della vita è breve.
Mentre parliamo, invidioso fugge via il tempo.
Cogli l’attimo, non credere al domani».
[Ode I, 11]
La serenità con cui Orazio, nonostante l’angoscia esistenziale di cui sa farsi portavoce, riesce a guardare alla vita non nasce dal niente. Essa affonda le radici nella sua immensa cultura e nelle sue esperienze, che sa rielaborare in poesia. L’opera di Orazio è un classico, di quelli che non devono essere riposti su polverosi scaffali, ma che andrebbero sfogliati di giorno in giorno, accompagnando ancora oggi la crescita di un uomo che voglia dirsi davvero “saggio”. Perché tra quelle parole si trova, assieme alla mitologia, alla cultura antica, che è poi l’origine della nostra, anche l’insegnamento essenziale per un’esistenza che possa dirsi felice.
E alla fine dei conti, se ciascuno saprà cogliere il frutto dei suoi giorni, coltivandoli con intensità nella quotidianità senza rimandare ad un domani perennemente incerto, potrà dire anche lui: non omnis morirar (non tutto di me morirà), nel ricordo che si tramanda nel tempo grazie ai frutti di una vita davvero “compiuta” che verranno, di generazione in generazione, raccolti.
Fonte: