“Di tutte le verità, le più angoscianti sono quelle che scopriamo su noi stessi”
Lemonade (2011) di Nina Pennacchi è un romance storico irriverente e politically incorrect, che stupisce per la crudezza del suo linguaggio e per le tematiche decisamente forti, raccontate con un misto di razionalità e sensibilità che crea un gioco di forza e debolezza atto a sedurre il lettore. Nina Pennacchi, autrice di Capitan Swing, definisce Lemonade come una versione moderna della favola di Cappuccetto rosso, della bambina mangiata dal lupo; ma la rivisitazione che ne fa suscita nel lettore opinioni opposte: c’è chi ne apprezza l’eccentricità e il coraggio nel denudare argomenti scomodi e scabrosi, come quello della violenza sulle donne, visti sotto un’altra luce che approfondisce il disagio che causa l’efferatezza, e c’è chi disapprova proprio l’atto desacralizzante e controcorrente del ‘perdono’ di un crimine così socialmente condannato.
Nina Pennacchi apre ogni capitolo con una citazione famosa, da Seneca a Winston Churchill, che ben caratterizza la scena che si appresta a narrare. La frase che più identifica il romanzo è questa: “La limonata è la bevanda più innocua e salutare di ogni sala da ballo…” TheLondon Magazine, 3 luglio 1826. E proprio da un incidente con un bicchiere di limonata durante un ballo in un salotto del Kent (siamo nell’Inghilterra del 1826) nasce l’intreccio di questo romance. Lemonade è la storia di un abuso, del malessere di un uomo, Christopher Davenport, dal passato incredibilmente sofferto, vissuto fra la povertà, il suicidio della madre al quale ha assistito personalmente, e un tentativo di molestie da bambino. Ma è anche la storia di un amore vergognoso, inconfessabile, della vittima nei confronti del suo carnefice. Anna Champion è costretta con la forza a lasciar entrare Christopher nella propria vita, dopo essere stata violentata da lui e costretta dalle circostanze a sposarlo. Anna diventa inconsapevolmente pedina di un gioco che non conosce, della vendetta di Christopher nei confronti del padre, lo stesso uomo che lo ha rinnegato ancora prima che nascesse e che ha indotto la madre al suicidio. Ma la cura del suo disagio sarà proprio la persona alla quale ha fatto più male, che lo condurrà, e condurrà anche se stessa, a un percorso catartico di perdono e rinascita. Christopher Davenport è l’antieroe, l’esatto opposto del protagonista della letteratura romantica di stampo ottocentesco, così diverso dal suo rivale in amore in Lemonade, Daniel DeMercy, dolce e sensibile. Ma è proprio questo il punto focale del romanzo: l’assoluta imperfezione.
Il peggiore degli uomini, condannabile moralmente sotto ogni punto di vista, può essere salvato. Ma la speranza di Nina Pennacchi di redimere il cattivo per eccellenza alla lunga diventa forzata, e decisamente prevedibile. Il cambiamento di Christopher Davenport è repentino e basato su fondamenta troppo deboli per risultare credibili. Lemonade sarebbe di certo più convincente se la malvagità di Christopher non fosse rappresentata in maniera così esasperata, ad esempio durante la scena del tutto gratuita e immotivatamente raccapricciante della violenza sessuale ai danni di Anna. L’accuratezza storica e la scrittura scorrevole, spesso asettica e scevra di sentimentalismo, contribuiscono a creare un buon romanzo, certamente non banale. Che lo si ami, o lo si odi, dipende dalla coscienza di ogni lettore, senza vie di mezzo.