Assegnare a Tommaso Landolfi (Pico , 9 agosto 1908 – Ronciglione , 8 luglio 1979) una precisa collocazione, nel campo delle espressioni letterarie del novecento, è una impresa difficile.
Sicuramente le sue opere di maggior successo sono ascrivibili al genere del surrealismo, che nella metà del novecento, si andava ad affermare. Tuttavia Landolfi ha rappresentato in maniera nitida ed originale anche i tempi di allora: ad esempio, in “Racconto di autunno”, scritto nel 1947, si tratta di temi quali la vanità delle azioni umane, il tutto trattato però con una leggerezza narrativa che rende sin dal suo esordio Landolfi una delle personalità più particolari del novencento italiano.
Ha detto di lui Italo Calvino: “Il rapporto di Landolfi con la letteratura come con l’esistenza è sempre duplice: è il gesto di chi impegna tutto se stesso in ciò che fa e nello stesso tempo il gesto di chi butta via”.
Landolfi ha condotto una vita lontana dai salotti e dai circoli intellettuali, ma nonostante questo suo schivo carattere, ha avuto apprezzamenti da parte di Giorgio Bassani e Eugenio Montale.
Collabora con varie riviste letterarie (<<Letteratura>>,<< Il Mondo>>, <<Campo di Marte>>), esordisce come narratore nel 1937 con la raccolta di racconti intitolata “Dialogo dei massimi sistemi”: sette racconti (il primo, Maria Giuseppa, risale al 1929) che esplicitavano la natura surreale e inafferrabile della narrativa landolfiana. L’originalità di tale scrittura è confermata dai volumi successivi: i racconti raccolti nel “Mar della blatte e altre storie” (1939), il romanzo “La pietra lunare” (1939), la nuova raccolta di racconti “La spada” (1942). Nel 1946 usce il romanzo “Le due zitelle”, cui seguono “Racconto d’autunno” (1947) e “Cancroregina” (1950). In quest’ultima opera un viaggiatore solitario attende la fine all’interno di un’astronave costruita da un folle, ma continua nel frattempo, con ostinazione, a osservare lo spettacolo della vita umana pur da quelle siderali lontananze.
Il demone del gioco, assieme ad altri motivi autobiografici, sono al centro delle opere diaristiche La bière du pécheur (1953), “Rien va (1963) e Des mois (1967). Nel1975 vince il premio Strega con A caso.
È stato inoltre collaboratore fisso del settimanale <<Oggi>> di Arrigo Benedetti (1939-1941). Più tarde sono invece le collaborazioni con <<Il Mondo>> di Pannunzio e <<Il Corriere della Sera>>.
Landolfi ha mostrato nel corso della sua attività, un vero interesse per le possibilità della lingua, seppure non sia uno scrittore d’avanguardia. Nel racconto “La passeggiata”, che alla persona dotata di un vocabolario medio pare un racconto astruso e incomprensibile, lo scrittore lascia sfilare una serie di vocaboli desueti, o gergali, ma tutti presenti sul dizionario.
Viceversa Landolfi ama anche inventare e affronta problemi di linguistica, come nel caso della celebre poesia in lingua inventata che comincia così:
Aga magera difura natun gua mesciun
Sanit guggernis soe wali trussan garigur
Gunga bandura kuttavol jeris-ni gillara….
La poesia sopra menzionata si trova all’interno del racconto umoristico “Dialogo dei massimi sistemi” (1937), incentrato sul problema linguistico e paradossale di una lingua comprensibile solo al parlante, e al valore intrinseco, se esiste, di una poesia scritta nella medesima lingua. La poesia, quasi fosse una formula magica, nel 1994 viene scelta per dare il titolo al “Dizionario delle lingue immaginarie” di Paolo Albani e Berlinghiero Buonarroti.
La personalità solitaria di Tommaso Landolfi lo ha portato spesso a lunghi periodi di solitudine, soprattutto in seguito ai suoi attacchi di cuore, in cui lo scrittore non vedeva nessuno. Proprio durante uno di questi periodi che Landolfi viene colpito da un enfisema polmonare, senza che ci sia nessuno protno a soccorrerlo.
Vi è un certo gusto in Landolfi per il macabro, per il lugubre, per il mistero che avvolge la quotidianità nelle nostre vite pervade ada allucinazioni e incubi; in questo senso lo scrittore si pone sulle scia di Kakfa e Dostoevskij, in quanto attento indagatore delle tematiche esistenziali ma non raggiunge le note tragiche dei suddetti autori. Landolfi è troppo languido, sfiduciato e malinconico per essere straziato e straziante e triste, ma è disperato e la sua disperazione commuove ed incuriosisce il lettore.
Riportiamo un passo tratto da “Il mar delle blatte e altri racconti” ( il monologo di uno dei due lupi mannari):
<<L’amico ed io non possiamo patire la luna: al suo lume escono i morti sfigurati dalle tombe, […] l’aria si colma di ombre verdognole e talvolta s’affumica d’un giallo sinistro, tutto c’è da temere, ogni erbetta, ogni fronda, ogni animale, una notte di luna. E quel che è peggio ci costringe a rotolarci mugolando e latrando nei posti umidi, nei braghi dietro ai pagliai; guai allora se un nostro simile ci si parasse davanti!>>