La scrittura dell’argentino Jorge Luis Borges è la scrittura della letteratura potenziale. Nell’intrigo degli archetipi e delle tradizioni mitopoietiche si collocano le immagini della cultura sudamericana, dei ricordi dell’infanzia e della famiglia. Un substrato che eredita tutte le suggestioni delle leggende.
La letteratura è potenziale perché il mito, la storia, la filosofia, la magia vi si attualizzano in tutte le combinazioni possibili. La presentificazione del destino e delle coazione a ripetere di ogni destino diventa proteiforme e illimitata. In un mondo dove tutto è possibile e dove l’irreparabile può essere redento, la vita sembra conciliarsi con le sue maledizione e le sue condanne. Se in un universo si è preda di un inseguitore ferino e senza pietà in un altro, quello parallelo del racconto, si è inseguitori o addirittura liberi. Tenere vivo e aperto il racconto delle possibilità è dunque permettere alla vita di scorrere senza limitarsi all’angusto susseguirsi di attimi e spazi. Nell’apertura delle possibilità Borges sembra realizzare quello che Eugenio Montale definisce «la maglia rotta della rete» quello strappo in un momento indefinito che per un attimo ci mostra un segreto. Quello di Borges è un segreto che non sappiamo quando, come e se ci sarà rivelato.
Il surrealista Borges, in realtà, non si preoccupa tanto della scrittura ma piuttosto della lettura, l’atto dello scrivere nasce proprio da un fine didattico: è il narratore a spiegarci come va il mondo in cui viviamo e che arreca in noi tanta confusione. Ma colui al quale si rivolge chi scrive, il destinatario comprende davvero il linguaggio di quel testo? Borges, a tal proposito, è angosciato e ossessionato dalle equazioni filosofiche una su tutte quella indefinito/infinito. Certamente non è semplice capire l’universo labirintico e metafisico del grande scrittore, ma una volta entrati nel suo mondo non si può fare a meno di desiderare di rientrarci; come ha affermato lui stesso, Borges non scrive in maniera casuale ma indugia su ogni parola, ai fini di creare una giusta cadenza, un microcosmo anche se caotico nella sua scrittura.
Ogni punto è sempre una partenza, una partenza che non trova arrivo, è solo direzione perché il tempo è durata. Una durata che ha luogo nell’illusione dell’infinito, costruita su racconti di posti e personaggi realmente esistiti ma perennemente reinventati. L’illusione dura dunque per sempre, è una ricerca interminabile dei luoghi narrati e insieme del tempo rivelato ma mai immobilizzato.
La scrittura di Borges fa nascere una letteratura di idee dove l’infinito, le suggestioni poetiche e filosofiche si realizzano in una forma cristallina e netta. La vita ha valore per l’influenza che riuscirà a dare alla parola letteraria e per l’influenza che, viceversa, la parola letteraria nei millenni è riuscita a dare alla vita. Un denso e corposo magma di concretezze apparentemente astratte che riconosce il mondo solo perché esistono le parole che rimandano alla cosa scritta. È questa la concretezza astratta la veridicità e la solidità del tessuto verbale, la forza evocatrice e creatrice della parola. Questo è Borges: un “Aleph” (straordinaria ricostituzione della “biblioteca di Babele” attraverso una serie di teorie apocrife e d’invenzioni che riguardano il tempo e la relatività), uno spazio cosmico in cui la vastità si espande senza soffrire dei propri limiti.