Breaking News
Home / Cinema / Dal romanzo al film: L’innocente, l’ultimo sguardo critico di Luchino Visconti
L'innocente film

Dal romanzo al film: L’innocente, l’ultimo sguardo critico di Luchino Visconti

L’ultima opera del maestro Luchino Visconti prima di andarsene, e dopo essersi dedicato ad un primo montaggio. L’innocente (1976) non venne ritoccato né dai collaboratori di Visconti né dagli sceneggiatori Cecchi D’Amico e Medioli.

I titoli di testa del film riportano l’ultimo messaggio, l’ultimo saluto del regista più lirico che ha avuto il cinema italiano: le sue mani che sfogliano una vecchia edizione del romanzo L’innocente di Gabriele d’Annunzio. Cosa avrà spinto l’aristocratico regista a trasferire su pellicola il più tradizionale dei romanzi del poeta-vate? Forse i giudizi lusinghieri sul romanzo espressi, tra gli altri, da Marcel Proust, scrittore molto amato da Visconti e di cui avrebbe voluto realizzare La ricerca del tempo perduto? In effetti, a differenza de Il piacere, primo romanzo decadente e post-naturalista della nostra letteratura, L’innocente si muove tra naturalismo e decadentismo, (guardando ai grandi romanzi russi), e proprio questo discrimine tra le due categorie storico-critiche (specialmente l’ultima) probabilmente ha attratto Visconti insieme all’atmosfera crepuscolare e dimessa rispetto alle precedenti opere.

Tale supposizione trova riscontro nel secondo periodo della produzione del regista, caratterizzato da un certo gusto per il decadentismo.Tuttavia sono il disagio interiore e la gelosia del protagonista, Tullio Hermil, ricco ed aristocratico uomo che tradisce la propria moglie, che proiettano il romanzo nel Novecento, anticipando la figura dell’inetto sveviano e ad attrarre Luchino Visconti.

Vi sono profonde differenze sostanziali e narrative tra il libro e il film:nel romanzo Tullio è sposato con Giuliana e hanno due figlie, nel film l’infelice coppia non ne ha, la figura quasi invisibile di Teresa Raffo, amante di Tullio e proposta nel film come presenza indipendente e addirittura giudicante del comportamento e del gesto di Tullio che uccide il figlio di Giuliana concepito con lo scrittore Filippo D’Arborio, dopo averlo esposto al gelo durante la notte di Natale. Ma soprattutto, mentre D’Annunzio lascia sopravvivere Tullio al suo crimine, Visconti lo rende suicida, in quanto secondo il regista l’aristocratico conservatore è incapace di scendere a compromessi con la modernità, con l’emancipazione femminile, soprattutto dopo il rifiuto di Teresa Raffo che lo indica come “mostro” escludendo qualsiasi possibilità di amarlo ancora. Certamente Tullio non si toglie la vita per rimorso ma perché, da perfetto superuomo, il quale si considera al di sopra della legge, e convinto esponente di un mondo che vuole plasmare il ‘resto’ del mondo, non può accettare la propria fine e quindi preferisce disporre lui della sua vita, di fronte al fallimento e alla decadenza.

Se L’innocente dannunziano è un romanzo-confessione/giustificazione che mira a raccontare un male inesorabile, un odio invincibile, sia mentale che morale che attanaglia l’ateo e dongiovanni Tullio tra ritorni ad un’equivoca bontà di matrice tolstoiana e continui tradimenti, L’innocente viscontiano è un sottile ritratto della Roma umbertina e del suo clima culturale,da questo punto di vista Visconti non si allontana dal suo leitmotiv: il crollo di un mondo, di una società filmati attraverso la sconfitta e l’agonia esistenziale di uno o più individui che ne rappresentano la classe vigente. Pur curando l’aspetto strettamente umano, le dinamiche relazionali,la condizione femminile (l’aborto in particolar modo), Visconti pone la sua raffinata lente d’ingrandimento sul male di Tullio e sul suo non far nulla per tenerlo a bada, per eseguire il requiem di un’epoca.

Non c’è spazio per approfondimenti di tipo psicologico ne L’innocente, Visconti piuttosto privilegia gli arredamenti principeschi, gli abiti d’alta sartoria, accessori preziosi, quasi a voler evidenziare ancora di più l’atmosfera di morte che pervade il film (allontanandosi anche per quanto riguarda questo aspetto dal romanzo).
Le nette differenze tra romanzo e film hanno suscitato non poche perplessità tra la critica, in realtà la rilettura che propone Visconti mostra coerentemente continuità con molte delle sue opere precedenti ( si potrebbe fare un parallelo tra Tullio e Ludwing, entrambi personaggi tragici, votati ai miti di grandezza) proprio il romanzo di D’Annunzio, usandolo come pretesto per raccontare, attraverso un linguaggio bellissimo, anche altro. Questa è la vera tragedia e Luchino Visconti ne è il maestro.

 

L’innocente-scheda film
Anno: 1976
Durata: 135′
Genere: Drammatico
Regia: Luchino Visconti
Fotografia: Pasqualino De Santis
Musica: Franco Mannino
Temi musicali tratti da: Sinfonia Concertante di W. Amadeus Mozart
Sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Enrico Medioli, Luchino Visconti
Cast: Laura Antonelli (Giuliana), Giancarlo Giannini (Tullio Hermil), Jennifer O’neil (Teresa Raffo), Marc Porel (Filippo D’Arborio), Massimo Girotti (conte Stefano Egano), Rina Morelli (madre di Tullio).
Costumi: Piero Tosi
Scenografia: Mario Garbuglia
Produzione: Rizzoli Film

About Annalina Grasso

Giornalista, social media manager e blogger campana. Laureata in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con L'Identità, exlibris e Sharing TV

Check Also

Clint Eastwood

‘Giurato numero 2 ‘, l’ambiguità morale secondo Clint Eastwood

Cinquant'anni dopo che Roland Barthes e Michel Foucault hanno avviato la demolizione del concetto di autore, sottolineandone l'inadeguatezza come fonte di significato, la critica cinematografica oscilla ancora tra approcci devoti e cauti alla questione. I primi, come se fossero improvvisamente liberati dalla repressione del loro entusiasmo, abbracciano con tutto il cuore l'autore come pratica euristica e propongono di usarlo come fonte di analisi esplicativa. I secondi, spesso allineati al pensiero post-strutturalista, cercano di delineare i modi in cui gli autori influenzano la circolazione della loro opera senza cadere nella trappola di difendere la reificazione borghese della loro posizione. Tra questi ci sono stati tentativi di affrontare i contesti storici e istituzionali degli autori, che hanno spesso ridotto la loro funzione a meri partecipanti alla commercializzazione del cinema, insieme a una ripresa di studi che si aggrappano ancora alla capacità dell'autore di mobilitare aspetti dell'identità, ad esempio, attivando fantasie sulla capacità degli spettatori di avere il controllo del significato ed   esprimersi.