Adriano Gabellone è il fondatore dell’ Onirica Edizioni, casa editrice nata nel 2010 per dare spazio a giovani talenti emergenti. Nel 2016 al progetto iniziale si unisce anche il marchio editoriale <<Il Puntino>>, totalmente dedicato alla letteratura per l’infanzia e per ragazzi. Adriano Gabellone ci ha parlato delle origini della sua casa editrice, di come vede il mercato editoriale oggi e di come il ruolo dell’editore può sopravvivere al fenomento sempre crescente del self publishing.
1. Salve, Adriano Gabellone, comincio con il ringraziarla di aver accettato questa intervista per ‘900 letterario. Propongo di iniziare dal principio, ovvero: come è nato il progetto della sua casa editrice ‘Onirica Edizioni’?
Ho sempre avuto la passione della lettura e dell’informatica fin da ragazzo e diversi anni fa, assieme a un collega di lavoro, creammo un sito web dove aspiranti scrittori potevano proporre al pubblico le loro opere e commentare quelle pubblicate dagli altri utenti. E’ un po’ quello che oggi facciamo attraverso Facebook, solo che correva l’anno 2001, quando il termine social network non era ancora stato coniato. Comunque, con il passare degli anni questo sito web si evolse e fu da spunto per nuovi progetti, che, grazie anche alla fondamentale collaborazione di alcune persone a me vicine in quel periodo, videro nella fondazione di una casa editrice, il più importante passo finale.
2. Qual è stato il primo titolo che ha pubblicato per “Onirica Edizioni”?
Le nostre prime due pubblicazioni furono le due raccolte antologiche nate grazie al contributo degli autori che frequentavano il nostro sito di scrittura creativa, una di poesie, e una di racconti sulla tematica del raptus. Se sono scettico su un libro difficilmente lo pubblico, e quelle volte che mi sono fatto convincere i risultati non sono stati differenti dalle aspettative. Causa anche il periodo di crisi e incertezza, è più facile che accada il contrario. Ma è anche capitato di scommettere su alcuni titoli che per fortuna hanno incontrato il favore del pubblico.
3. Quali sono, a suo parere, gli elementi base che un buon libro deve avere per entrare nel mercato editoriale e accattivare l’attenzione del lettore?
Sicuramente il punto cardine è avere una buona storia da raccontare. Non necessariamente un argomento di cui nessuno abbia mai parlato, purché si sia in grado di raccontarlo in maniera differente. Quindi ci vorrebbe una particolare cura per lo stile. Un libro deve catturare il lettore fin dalle prime righe, quando i personaggi e la trama ancora non hanno preso forma, catapultandolo da subito nella storia. Spesso ci capita di iniziare dei libri che abbandoniamo dopo una decina di pagine (e anche meno) proprio a causa di uno stile povero che propone una lettura incespicante e priva di fluidità, banale e noiosa, benché alla base possa esserci una storia interessante.
4. Cosa significa pubblicare un libro al giorno d’oggi? Ovvero com’è cambiato il ruolo dello scrittore con la nascita del self publishing e com’è cambiato il ruolo dell’editore? Molti pensano che ebook e siti di print on demand abbiano iniziato un processo di disintermediazione che elimina gradualmente figure professionali come l’editor, il grafico e il copywriter. Lei come si pone in questo dibattito?
Il self publishing è una strada adatta solo a poche persone dotate di uno spiccato senso commerciale, tant’è che i casi di successo si contano sulle dita di una mano. Spesso si tende a pensare che il ruolo dell’editore ormai sia superfluo, ma il successo di un libro dipende anche dai quei “piccoli” accorgimenti che si possono acquisire solo grazie ad anni di esperienza nel mercato editoriale. E infatti, a eccezione dei casi isolati citati all’inizio, la maggior parte delle persone che seguono la strada del self-publishing tornano in un secondo momento a cercare la strada della pubblicazione “tradizionale”.
5. ‘Il Post’ del 22 Settembre scrive: “Non ci sarà un unico salone del libro tra Torino e Milano”. Come commenta la polemica che va avanti da tutta l’estate circa la locazione della fiera del libro più grande d’Italia?
Partecipo alla maggior parte delle fiere dedicate all’editoria presenti nel centro-nord, ma mi sono sempre rifiutato di partecipare al Salone del libro in quanto è una kermesse che va a solo beneficio dei grandi gruppi editoriali, mentre i piccoli editori faticano a rientrare dell’investimento necessario per prender parte a un evento di tale portata. La speranza è che a seguito di questo dibattito possa nascere qualcosa di buono anche per la piccola editoria indipendente, anche se ne dubito fortemente.
6. Andiamo un po’ più sul personale, qual è il suo libro preferito? E qual è il libro che avrebbe voluto pubblicare con la sua casa editrice?
Oddio, scegliere solo un libro per me sarebbe davvero impossibile, perché ogni libro che ho letto in qualche modo mi ha lasciato qualcosa. Ma essendo io un tipo abbastanza sedentario e riflessivo, prediligo spesso le letture avventurose e ricche di mistero. E, visto che il primo amore non si scorda mai, penso che Moby Dick resti il mio romanzo preferito in quanto è stato quello che ha dato il via a tutto facendomi innamorare della letteratura.
Il libro che avrei voluto pubblicare l’ho pubblicato, ma il titolo non ve lo dirò mai. Lascio a voi il piacere di scoprirlo leggendo i libri della nostra piccola casa editrice.
7. “Leggere è…” come continuerebbe questa frase?
La fonte dell’eterna giovinezza, perché significa nutrire la mente, e salire su un treno diretto verso mondi inesplorati.