Yukio Mishima era nato il 14 gennaio 1925 con il nome di Kimitake Hiraoka. Era considerato già in vita uno dei più importanti e discussi scrittori giapponesi, sublime, romantico, estremo, forte di una notorietà internazionale derivante dalle sue posizioni radicali. Autore prolifico (scrisse 40 romanzi, tra cui ricordiamo:La foresta in fiore, La dimora delle bambole, Confessioni di una maschera, Sete d’amore, Morte di mezza estate, Una stanza chiusa a chiave, Una virtù vacillante, La casa di Kyōko), 18 testi teatrali, 20 raccolte di racconti, almeno 20 saggi e un libretto musicale e una sceneggiatura per film), era stato più volte indicato come un possibile candidato al Nobel per la letteratura, che venne vinto invece da Yasunari Kawabata nel 1968 e poi, in tempi più recenti, è stato vinto di nuovo da un giapponese, Kenzaburo Oe, solo nel 1994.
Il New York Times, in un ritratto del 15 settembre 1985 parlava così di Yukio Mishima: “non solo un concorrente perenne per il premio Nobel, ma, come Norman Mailer, [Mishima] si è anche ritagliato un posto permanente nella coscienza del pubblico con i suoi exploit teatrali sempre molto pubblicizzati: le sue apparizioni in film di gangster, la sua ossessione per il body-building e le arti marziali, le sue incursioni in politica e il piccolo esercito privato che aveva creato”.
Il giorno stesso in cui si suicidò a 45 anni, probabilmente una mossa pianificata da mesi, Mishima aveva terminato l’ultimo capitolo della sua tetralogia Il mare della fertilità, considerata la principale tra le sue opere maggiori. Aveva anche accantonato una somma consistente di denaro, con lo scopo di pagare la tutela legale dei suoi quattro aiutanti nel momento in cui si fossero arresi alla polizia militare giapponese. Uno dei quattro si suicidò immediatamente dopo che Mishima era morto.
Mishima: intellettuale decadente e nazionalista
Nazionalista e decadente, Mishima è stato accusato di essere un fascista e nostalgico, ma in vita si era più volte definito come apolitico e aveva invece perseguito un’estetica che univa elementi tradizionali giapponesi a tratti occidentali per realizzare quelli che chiamava “i quattro fiumi della mia vita”: la scrittura, il teatro, il corpo e l’azione. Secondo la critica, i temi principali dell’opera e della vita di Mishima erano l’omosessualità, la morte e la rivoluzione politica. L’autore aveva scritto a lungo anche su temi come i valori tradizionali dello sconfitto Impero giapponese e del rapporto fra erotismo e aggressione e tra erotismo e morte. Anche il suo esercito privato, composto da 100 giovani, per Mishima aveva un valore simbolico e non di reale forza militare: lo scopo era quello di difendere l’Imperatore e lo spirito della tradizione giapponese. Mishima si rifaceva all’etica samurai, la classe medioevale di guerrieri al servizio dei signori feudali, e auspicava un tempo di maggiore forza per il suo paese.
«Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! E’ bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l’esistenza di un valore superiore all’attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! E’ il Giappone! E’ il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo». Disse.
La bellezza come esperienza tragica, tra richiami classici europei e greci
Sposato con due figli, Mishima ha creato quelle che secondo la critica sono alcune delle pagine più realistiche e vivide sull’omosessualità nella letteratura contemporanea. Considerato in Occidente principalmente come romanziere, in Giappone invece oltre che come saggista è anche studiato come drammaturgo. È stato infatti il primo autore contemporaneo a scrivere drammi per il teatro tradizionale Nō. Appassionato difensore della tradizione giapponese, Mishima viveva però in una casa di stile occidentale e studiava le tradizioni estetiche e letterarie dell’Occidente. I frequenti richiami al classicismo europeo, ai miti e all’estetica dei greci in particolare, ricorrono con elevata frequenza in tutta la sua opera.
Yukio Mishima si è spento in modo spettacolare ed è stato liquidato in maniera disonesta dagli addetti ai lavori, come un estremista nazionalista, un fanatico. Ma il Mishima “politico” non è altro che la sublimazione di quello “letterario”, l’uno senza l’altro non sarebbe esistito. Lo scrittore giapponese aveva una concezione tragica della bellezza e la viveva in maniera eterna ed eccessiva, come dimostra il romanzo Il Padiglione d’oro, dove l’autore si muove magistralmente nei meandri della mente dei suoi personaggi e in una cultura imbevuta di devozione.
Ma Mishima ha anche criticato aspramente il suo amato Giappone, quello moderno, in seguito all’influenza che Stati Uniti ebbero nella politica interna e a causa della sudditanza nei confronti delle Nazioni Unite, mettendo a repentaglio i valori tradizionali della cultura Giapponese, tra cui la sacralità della figura dell’Imperatore e la trasformazione delle usanze e dei costumi, dal Kimono al jeans.
Mentre il Giappone perdeva la sua identità e la sua autonomia (il nuovo Governo colluso con gli USA arrivò persino a decretare il divieto di insegnamento scolastico di geografia, storia e morale giapponese), Mishima creò nel 1968 un suo esercito personale, “la società degli scudi”, e decise di liberarsi dall’americanismo e rifondare l’etica giapponese. Il suo progetto si concluse in perfetta coerenza con la sua estetica letteraria, nel suicidio rituale, il seppuku, la morte più bella ed onorevole per un samurai, per l’ultimo esponente della cultura nipponica.
Un gesto passionale, da esaltati diremmo, un quanto ci è culturalmente incomprensibile, soprattutto se pensiamo che oggi il Giappone fa parte a tutti gli effetti del sistema occidentale. In Mishima dunque non è riusciti o voluti andare oltre il suo nazionalismo. Per alcuni oggi Mishima è solo un becero e fanatico reazionario,un folle estremista. Tuttavia è bene sottolineare come il seppuku e l’harakiri, non hanno nulla a che vedere con le nostre (occidentali), per noi è una sconfitta, un crimine; in Giappone invece l’harakiri rappresentava l’ultima vittoria, il solo modo di salvare la propria integrità morale dopo un insuccesso, e proteggeva i valori più nobili del Giappone, vivificandoli.
Senza dubbio Mishima ci ha regalato pagine struggenti, intense, dolorose, un misto di candore e sessualità al contempo, trasmettendoci l’angoscia di chi deve indossare ogni giorno una maschera (Confessioni di una maschera), presentandoci la materia erotica e la seduzione in maniera celebrale, incrociando verità e menzogna (La scuola della carne), mostrandoci come la verità può essere raggiunta solo attraverso un processo intuitivo in cui pensiero e azione coincidano (Lezioni spirituali per giovani samurai).
Fonte: Il post-Marcello Veneziani