Qual è il vero significato del Natale? Probabilmente per molti non ha alcun significato, per gli atei e gli agnostici, anche se alcuni di loro considerano importante e rivoluzionaria la figura di Gesù in quanto personaggio storico, umano, non divino, alla stregua di Buddha o di un qualsiasi guru New Age, ma si potrebbe provare a fare un discorso laico riguardo al Natale cercando di liberarlo delle incrostazioni consumistiche e festaiole.
Nel portare avanti un discorso di questo tipo ci viene in soccorso l’incipit di un articolo sul Natale di Alberto Moravia, che non è stato di certo un fervente cattolico, e he a qualcuno potrebbe suonare troppo moralistico:
Il Natale odierno mi fa pensare a quelle anfore romane che ogni tanto i pescatori tirano fuori dal mare con le reti, tutte ricoperte di conchiglie e di incrostazioni marine, che le rendono irriconoscibili. Per ritrovarne la forma, bisogna togliere tutte le incrostazioni. Così il Natale. Per ritrovarne il significato autentico bisognerebbe liberarlo da tutte le incrostazioni consumistiche, festaiole, abitudinarie, cerimoniose.
A queste parole aggiungiamo quelle di un cardinale e uomo di grande cultura, Monsignor Gianfranco Ravasi, biblista, ebraista e teologo, presidente della “Casa di Dante in Roma”, riportate qualche anno fa su verdementablog, ma che sono sempre valide, per ogni Natale che ci accingiamo a trascorrere:
Certo, il rituale laico di questa festa cristiana è spesso analogo ai cine-panettoni e ha come emblema luci al neon e vetrine colme. Tuttavia non si può ignorare che ora molta gente fatica persino ad allestire un pranzo natalizio degno di questo titolo. E allora l’omelia potrebbe continuare lasciando la parola a un vero predicatore, papa Francesco, con l’incisività delle sue parabole sulla povertà. È lui, infatti, più di tanti politici, a far risuonare il ruggito della fame del mondo, a scrivere nel suo ultimo testo Evangelii gaudium pagine roventi sulla necessità dell’inclusione sociale dei poveri e sulla pace e il dialogo sociale, a scendere fino a Lampedusa per incontrare le nuove famiglie di Betlemme profughe come quella del neonato Gesù e a invitare tutti noi a trasferirci dai centro-città festosamente illuminati alle squallide periferie. A proposito di periferie, continuerei allora la mia predica più o meno laica con una testimonianza personale. Quand’ero giovane prete, studente a Roma, mi recavo a visitare gli infermi di una parrocchia di Torpignattara. C’era un anziano che mi accoglieva sempre con gioia, mi preparava il caffè, mi tratteneva il più possibile. Quando dovetti salutarlo per l’ultima volta perché rientravo a Milano, mi disse sconsolato: <<Lei non sa cosa vuol dire non attendere più nessuno>>. Quante persone nel giorno di Natale sono come lui, sole, dimenticate, davanti a un telefono che non squilla perché non c’è più nessuno che si ricorda di loro e al massimo possono parlare solo coi loro cari morti.
Del resto Voltaire diceva che le prediche sono come la spada di Carlo Magno, lunghe e piatte, perché i predicatori quello che non sanno darti in profondità ti danno in lunghezza. Monsignor Ravasi conclude con una provocazione:
Anche quest’anno il Natale ha nel mondo la solita presenza di Erodi e di innocenti sgozzati. Lascerò ai lettori di riflettere su un aneddoto che mi ha raccontato l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede e che può essere sia una rappresentazione della storia umana sia un amaro esame di coscienza collettivo. Anni fa, in visita allo zoo biblico di Gerusalemme fu condotto Henry Kissinger, Segretario di Stato di Nixon. Egli rimase stupefatto di fronte a un leone accovacciato davanti a un agnello che brucava pacificamente. Si era forse avverata la profezia messianica di Isaia secondo la quale il leone si sdraierà accanto all’agnello in perfetta armonia? «No replicò il direttore dello zoo in verità noi sostituiamo ogni giorno un nuovo agnello…!».
Il Natale cristiano non è una stucchevole favoletta
Ma tornando al Natale religioso, cristiano, come è possibile cercare trasmettere a tutti, cattolici compresi, lo spirito genuino del Natale di Gesù bambino? In primis spogliandolo dei rivestimenti retorici e fantasiosi che lo rendono una favola mielosa e stucchevole, adatta solo a costruire presepi.
Partiamo da un dato topografico, come ci suggerisce Mons. Ravasi. La tradizione cristiana, sostenuta da San Girolamo che vivrà per decenni a Betlemme, parlerà di una grotta simile a quelle adiacenti alle povere case di allora. Giovanni era nato nella casa sacerdotale del padre, Cristo nasce nell’emarginazione, privo di un guanciale. Eppure nel racconto di Luca c’è un particolare sottolineato con tenerezza: Maria «avvolse il bambino in fasce e lo depose nella mangiatoia» (v. 7). Del Battista si dice soltanto: «Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio» (1,57).
Il secondo dato da considerare è quello “temporale”. Esso è scandito dalle ore dell’imperatore Ottaviano Augusto (31 a.C.-14 d.C.) ed è precisato da Luca con l’indicazione del famoso “primo censimento”, ordinato dal legato di Siria Quirinio. Non è il caso ora di entrare nel merito della secolare discussione su questa informazione che apparentemente sembra errata, essendo documentato solo un censimento di Quirinio del 6 d.C., quando Gesù aveva ormai dodici anni. È probabile che si tratti di una “prima” operazione censuale, ordinata durante un incarico straordinario ricoperto da Quirinio prima di essere formalmente nominato legato di Siria. Vogliamo solo ricordare che con questi dati appare nitidamente il valore dell’incarnazione, cioè dell’ingresso di Dio negli eventi e nel tempo umano. Efrem il Siro unirà i due estremi del parto da Maria e della morte in croce per esaltare l’incarnazione nella sua realtà: <<La sua morte in croce attesta la sua nascita dalla donna. Infatti se un uomo muore, dev’essere pure nato>> Perciò la concezione umana di Gesù è dimostrata dalla sua morte in croce. Il censimento romano, segno di schiavitù, ci ricorda che Cristo nasce da un popolo oppresso e in mezzo a quei poveri che i potenti considerano pedine insignificanti sullo scacchiere dei loro giochi politici. Esattamente come oggi, basti pensare a chi giovano le guerre, i flussi migratori, la povertà, la fame, le malattie.
Il Natale nel vangelo di Luca senza retorica e sentimentalismi
Prendiamo allora nel dettaglio i versetti del Vangelo di Luca relativi alla nascita di Gesù (2,1-14) per comprendere il vero significato di quello che vuol dire l’evangelista, che ci trasmette una verità teologica:
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Nontemete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Mentre il potere si divinizza per sottomettere gli uomini, Dio si umanizza per salvarli: questo il messaggio della notte di Natale che la chiesa ha scelto con il vangelo di Luca.
A quel tempo un decreto di Cesare Augusto”, (si tratta di Ottaviano che è il primo che ha assunto come appellativo “Augusto”, cioè “degno di venerazione), ordinò che si facesse un censimento di tutto l’Impero, per riscuotere le tasse. Il censimento, nella Bibbia, veniva sempre visto come un attentato contro Dio, perché Dio era il Signore della terra e degli uomini. Dunque Luca vuole trasmettere non tanto una verità storica, quanto una verità di fede. C’è dunque un’usurpazione e il movimento degli zeloti è nato come resistenza a queste forme di censimento. In questo contesto Luca scrive che “Dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide”, e che “La città di Davide è chiamata Betlemme”, ciò meraviglia perché nella Bibbia la città di Davide è sempre stata Gerusalemme, non Betlemme, dove Davide era pastore, a Gerusalemme era re; dunque Luca vuol far comprendere che colui che sta pernascere non avrà i tratti del monarca, ma i tratti del pastore. Ma ecco un’altra sorpresa: “Giuseppe doveva farsi censire insieme a Maria sua sposa”. Il matrimonio ebraico si divideva in due parti: la prima, lo sposalizio, e la seconda, le nozze. Qui abbiamo una coppia rimasta alla prima fase del matrimonio, il termine sposa destava grande scandalo nella comunità cristiana primitiva, che nel IV secolo venne sostituito con “moglie”, perché altrimenti sembrava una coppia irregolare. Maria e Giuseppe erano dunque una coppia di fatto. Da evidenziare anche un’altra novità: lo stesso nome Maria nell’Antico Testamento era un nome maledetto da Dio, mentre Dio nel Nuovo Testamento si rivolge proprio ad una donna (nell’A.T. la donna era un essere impuro, inferiore persino al bestiame, nonché una disgrazie per la famiglia) di nome Maria.“Mentre si trovavano in quel luogo si compirono per lei i giorni del parto”: purtroppo la tradizione ha un po’ travisato il messaggio dell’evangelista. Il percorso da Nazaret a Betlemme veniva fatto a piedi e una donna gravida non poteva certo percorrere quel tragitto. Quindi sono arrivati quando Maria ancora poteva permettersi tutto quel viaggio. “Diede alla luce il suo figlio primogenito”: il primogenito” è il figlio maschio primogenito che va consacrato secondo quanto prescrive un libro dell’Esodo; dunque Gesù è sacro al Signore.
“Lo avvolse in fasce”, il dettaglio delle fasce è un richiamo al libro della Sapienza per indicare che Gesù nasce come tutti. “E lo pose in una mangiatoia”, anche la mangiatoia è un richiamo al profeta Isaia, il quale dice che “il bue riconosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. Attraverso questi richiami Luca vuol far capire che Gesù, come venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto, non l’hanno riconosciuto. “Perché per loro non c’era posto …”. Anche su questo verso si commettono errori: in passato l’errata traduzione del termine greco con “albergo”, diede origine alla storia di Maria e Giuseppe che non trovavano posto. “Non c’era posto nell’alloggio”. L’abitazione palestinese era fatta in questa maniera: c’era una parte scavata nella roccia che è la parte più sana, più sicura, più pulita, dove venivano conservati i generi alimentari e dove c’era la mangiatoia, poi una parte in muratura, un’unica stanza, dove avveniva tutta la vita della famiglia. Quando però una donna partorisce, secondo il libro del Levitico, è impura, quindi tutto quello che tocca, o le persone che avvicina, diventano impure e non può stare lì. Ecco perché non c’è posto per lei lì nell’alloggio e deve andare nella parte interiore. “C’erano in quella regione alcuni pastori”. Quando l’evangelista ci presenta i pastori, non intende raffigurarci i bei personaggi del nostro presepe. A quell’epoca, prescrive il Talmud, nessuna condizione al mondo è disprezzata come quella del pastore. I pastori, lontani dalla società civile, non erano pagati, vivevano di furti, non avevano diritti civili. Non potendo andare in sinagoga o al tempio per purificarsi, erano l’emblema, l’immagine del peccatore impuro. Per loro non c’era salvezza. Ebbene, quando verrà il messia, questi pastori, insieme ai pubblicani, saranno i primi della lista ad essere eliminati.
Scrive l’evangelista che “Un angelo del Signore”, è la terza volta che compare questo personaggio. Per “angelo del Signore” non si intende mai un angelo inviato dal Signore, ma è Dio stesso quando comunica con gli uomini. Quindi la formula “angelo del Signore”, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, indica sempre il Signore quando entra in relazione con gli uomini; è la terza volta che appare, e sempre in relazione alla vita. La prima volta per annunziare la vita di Giovanni al padre, a Zaccaria; la seconda per annunziare la vita di Gesù a Maria e adesso il Salvatore ai pastori. “Si presentò a loro”. Questo angelo del Signore veniva rappresentato, nell’Antico Testamento, con la spada sguainata, pronto a castigare i peccatori. Ebbene, quando Dio si presenta di fronte ai peccatori, non li minaccia, non li castiga, non li fulmina, ma, ecco la novità, è la Buona Notizia di Gesù, “La gloria del Signore li avvolse di luce”. Luca smentisce tutta la teologia preesistente, di un Dio che giudica, che minaccia o che castiga. Quando Dio si incontra con i peccatori non fa altro che avvolgerli con la sua luce, la luce del suo amore. Ma i pastori non lo sanno, e infatti, scrive l’evangelista “sono presi da grande timore”, perché sapevano quello che li aspettava. Ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia”; la grande gioia della Buona Notizia scaccia il grande timore. E qual è la grande gioia? Che nella città di Davide è nato per voi non un castigamatti, ma il Salvatore.
Solo i Vangeli di Matteo e Luca trattano la nascita di Gesù, in maniera differente ma comunicando le stesse verità teologiche. Ripartiamo da qui e dalle riflessioni di Moravia e di Mons. Ravasi, se si vuol vivere un Natale autentico, all’insegna della condivisione, perché no, del relax, del sano divertimento, senza farsi inghiottire dall’atmosfera festaiola e dal vortice del consumismo e senza dimenticare quello che accade intorno a noi.