Ci fu un tempo felice in cui Kusturica guariva le piaghe delle vittime del cinema cosiddetto d’autore. Non è un mistero, infatti, che nel ventennio 1980-2000 i suoi film straripanti di energia visionaria vinsero i massimi festival toccando il vertice con un capolavoro assoluto come Underground. Separatosi dal geniale musicista Bregovic, invischiato in aspre polemiche politiche, trascinato da uno stile di vita eccessivo e sregolato, però non avaro di contanti e onori, il cineasta bosniaco (però filo-serbo) in seguito si era pressoché ritirato prima di riemergere l’anno scorso con On the Milky Road, che alla Mostra di Venezia fece l’effetto di uno schiaffo in faccia ai sostenitori di un suo definitivo tramonto.
Incurante delle accuse, peraltro non prive di fondamento, di avere condotto gli esuberi del proprio talento su un percorso di manierismi e smodatezze, Emir il gitano non vi rinnega, infatti, una virgola della propria visione del mondo e del cinema e, anzi, moltiplica a tal punto il surrealismo provocatorio, il caos ideologico, il vitalismo sessuale, l’afflato panteistico e la comunione (alla lettera) tra umani e animali da rischiare a ogni sequenza non solo l’autoreferenzialità, ma anche l’autoparodia. Eppure gli spettatori che sapranno resistere all’inesausta scorribanda di cannonate, massacri, balli, amplessi, bevute di slivovitz a fiumi, cacce all’uomo e soprattutto cogliere la sintonia con i “comportamenti” di una sorta di arca di Noé gremita di falchi, serpenti, maiali, mosche, oche, galline, asini, orsi, pecore si renderanno conto che c’è più cinema in una sequenza di On the Milky Road che in tutti i film più promozionati e lodati della stagione cinematografica in corso.
Lo stesso Kusturica interpreta con slancio degno del suo narcisismo il ruolo del bizzarro Kosta che ogni giorno attraversa il fronte di uno degli insensati teatri di guerra balcanici per portare taniche di latte ai soldati in trincea; nonostante sia accoppiato con un’assatanata compaesana, l’arrivo in quel territorio ancestrale dell’italiana promessa sposa a uno dei tanti criminali-eroi in circolazione interpretata da una Bellucci finalmente in parte farà precipitare entrambi in un’inarrestabile serie di avventure e disavventure. E’ fatica sprecata chiedere lumi a una logica drammaturgica, domandandosi per esempio perché i pazzi fottuti locali si sparano addosso “con allegria”, mentre le milizie dell’Onu sono rappresentate come lugubri pattuglie di fascistoidi invasori; oppure perché abbia trapiantato un po’ a viva forza un precedente cortometraggio nel prolungato finale di catarsi mistica. Prendere o lasciare: nel caso gradiste un’esperienza in sala simile a quella che viene offerta nei luna-park estremi dalle montagne russe o i circuiti della morte, Emir il facinoroso è tornato a essere il vostro regista.
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