La poesia Un paio di scarpette rosse di Joyce Lussu, ruota attorno ad un paio di scarpe rosse numero ventiquattro nelle cui suole interne si vede ancora la marca di fabbrica “Schulze Monaco”. Un paio di scarpette normalmente utilizzate per i giorni di festa, ed ancora nuove, che un bambino di soli tre anni e mezzo calzava a Buchenwald, un campo di sterminio nazista, in Germania. Quelle scarpette erano in cima ad un mucchio di altre scarpette appartenenti a bambini che in quel luogo hanno trovato la morte. I nazisti facevano entrare genitori e bambini nelle camere a gas, con la scusa che li avrebbero sottoposti ad una doccia con successiva disinfestazioni per farli entrare in un campo-gioco. Invitarono per altro i genitori a far avvicinare i bambini ai bocchettoni, per farli lavare meglio, ma da quelle aperture non usciva acqua, ma solo gas. Prima però, i bambini venivano fatti spogliare e rasare. La poetessa italiana infatti scorge anche un mucchio di riccioli biondi, di ciocche nere e castane. Joyce Lussu cita poi un altro sistema di morte usato dai nazisti: l’utilizzo dei forni crematori, infatti dice che probabilmente non riusciremo ad immaginare di che colore erano gli occhi di quel bambino bruciati dal forno, ma che riusciremo ad immaginare il suo pianto; un pianto che nessuno riuscirebbe a sopportare, che nessuno vorrebbe sentire e che io spero di cuore che nessuno in futuro dovrà sentire mai. Questa poesia apparentemente dedicata ad un solo bambino è in realtà rivolta a tutti i bambini che furono gasati, lo conferma il fatto che quelle scarpette erano in cima ad un mucchio di altre scarpette.
Joyce Salvadori Lussu nasce a Firenze l’8 maggio 1912, dove cresce a stretto contatto con i genitori: Guglielmo Salvadori e Giacinta Galletti, intellettuali antifascisti, entrambi provenienti da famiglie marchigiane con origini inglesi. Nel 1924, dodicenne, in seguito alle minacce e all’aggressione subite dal padre ad opera degli squadristi fiorentini, lascia l’Italia insieme alla famiglia. Tra il 1930 e il 1932 studia filosofia ad Heidelberg, in Germania, dove vede nascere, con allarmata e critica vigilanza, i primi sintomi del nazismo. Nel corso degli anni, nonostante la vita clandestina, studierà Lettere alla Sorbona di Parigi e Filologia all’Università di Lisbona.
Nel 1932 rientra in Italia e si reca a Ponza a trovare il fratello Max, mandato al confino nell’isola con l’accusa di far parte del gruppo romano di “Giustizia e Libertà”. Lei stessa, più tardi, aderirà al movimento. A Joyce viene affidato un documento con le indicazioni per una possibile fuga dall’isola, da consegnare a Emilio Lussu, del quale ha letto sui giornali e sentito parlare dai suoi genitori, che lo avevano conosciuto. Il primo incontro avviene a Ginevra nella primavera del 1933.
Dopo essere stata in diverse zone dell’Africa, tra il 1934 e il 1938, rientra clandestinamente in Europa, raggiungendo Marsiglia priva di documenti, iscritta come tutta la sua famiglia nelle liste nere del regime fascista. Nel 1939 si lega a Emilio Lussu col quale vive a Parigi fino al giugno del 1940, quando la città viene occupata dalle truppe tedesche.
I due raggiungono successivamente Marsiglia dove danno vita ad un’organizzazione di espatrio clandestino, producendo documenti falsi e riuscendo a organizzare le partenze dalla Francia per centinaia di antifascisti di diverse nazionalità. Successivamente saranno in Portogallo e in Inghilterra, dove lei seguirà un corso di addestramento alla guerriglia in un campo militare, prima di far ritorno in Francia. In Fronti e Frontiere (1946) lei stessa racconterà, in forma autobiografica, le vicende di questo periodo. Rientrata in Italia nel luglio del 1943, dopo le dimissioni e l’arresto di Mussolini, Joyce partecipa alla Resistenza: nel 1961 le verrà conferita con cerimonia solenne la medaglia d’argento al valor militare.
Nel 1944 si reca per la prima volta in Sardegna e ad Armungia. Il suo incontro con l’isola verrà descritto in L’olivastro e l’innesto (1982).
Nel dopoguerra è promotrice dell’Unione Donne Italiane e milita per qualche tempo nel PSI, prima di tornare ad occuparsi di attività culturali e politiche autonome. Tra il 1958 e il 1960 sposta il suo orizzonte di riferimento nella direzione della lotta contro l’imperialismo. Sono gli anni del sostegno ai movimenti di liberazione anticolonialistici grazie ai quali, attraverso numerosi viaggi, entra in contatto con popoli e culture differenti. Si dedica così ad un intenso lavoro di traduzione e di introduzione in Italia ed Europa di poeti delle avanguardie africane ed asiatiche.
La sua produzione letteraria riflette il suo spirito laico, antimilitarista e femminista, teso verso l’impegno per la libertà e la democrazia, l’emancipazione dei popoli, la riscoperta delle tradizioni e della storia locale. Tra le sue numerose opere si ricordano Tradurre poesia (1967), Storia del Fermano (1969), Le inglesi in Italia (1970), Padre padrone padreterno (1976), L’acqua del 2000 (1977).
Muore a Roma il 4 novembre 1998.
Un paio di scarpette rosse
C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
Fonti: https://doc.studenti.it/appunti/letteratura/e-paio-scarpette-rosse-joyce-lussu.html, https://giardinodeipoeti.wordpress.com/2012/01/27/un-paio-di-scarpette-rosse/