E’ una raccolta poetica dagli echi luziani e ungarettiani quella della giovane autrice piacentina Beatrice Cristalli, classe 1992, laureata in materia umanistiche, per la quale la parola è fatto, realtà ed ha un peso. Le poesie di Beatrice Cristalli ci consegnano un’autrice che trova prima ancora di cercare, riflettendo sul significato della parola nella nostra magmatica contemporaneità. Come nota giustamente Giovanna Rosadini nella prefazione dellopera, da un lato si ha, quindi, la scissione postmoderna fra la parola-realtà e un soggetto sempre più disancorato da evenienze oggettuali (ovvero i contesti che tradizionalmente lo definivano: modelli, relazioni, ruoli ecc., ormai “liquefatti”, per dirla con le parole del grande sociologo Zygmunt Bauman, e in continua trasformazione); dall’altro quel «voler essere / a tutti i costi» a cui «non c’è tuttavia rimedio», anche se «non è poi / così male essere e basta – le parole non frugano più». Se l’esistenza è sotto il segno della precarietà, infinite sono le possibili declinazioni, e rifrazioni, del soggetto: «Guarda che sei libero, verrà un ladro / E vorrà rubarti perché non potrà mai capire>>. O anche: «Non potevo essere altro se non / Questo / Il giusto riconoscersi del dito che / Punta lo specchio». Anche se, forse, questa condizione esistenziale, che l’autrice referta con una lingua sobria, asciutta e priva di orpelli retorici, ha origini remote: «Tutto sta in un’antica ferita / Che parla di una storia mai esistita / come di te che sei solo un uomo / Anche se le iniziali sono di Dio»: una ormai impossibile metafisica, in quella che non a caso Lipovetsky ha battezzato “ère du vide”, dove la ricerca della verità è sempre in bilico sul suo rovescio, il concetto di vuoto. «Sulla linea 90 / Ci sono solo due fatti / e il compimento non ci sarà»; «Ma io me ne vado / A cercare / o morirò negli assiomi»; «Non è vero niente».
Beatrice Cristalli la cui tesi di laurea L’invenzione della colpa. L’antropologia negativa leopardiana tra Zibaldone e Operette morali, ha vinto il secondo premio al Concorso per il Premio Giacomo Leopardi riservato alle tesi di laurea specialistica e dottorato 2017 del Centro Nazionale di Studi Leopardiani, si pone delle domande cercando di dare delle risposte, ricercando l’altro, mostrandosi universale, perché le tematiche della giovane autrice riguardano tutti noi. Tutto questo senza abdicare al ruolo che deve avere un poeta, ovvero quello di emozionare, sia in positivo che in negativo, scavando nella realtà, nella mente e nell’anima umane, restituendola a noi, trasfigurata. Il registro linguistico-riflessivo contribuisce a mantenere in equilibrio a mediare la modalità vivere il mondo da parte della Cristalli, e ne testimonia la rara maturità espressiva e poetica, nonché la compattezza ed organicità della struttura e dei contenuti.
Prendiamo la lirica intitolata Moto retrogrado che pare racchiudere tutto il senso della poetica della Cristalli:
Te l’avevano detto
Di ritrovare il transito
Dal quale si salpa:
Il posto senza nominativo
E il tuo battito in un altro viaggio
Una volta sola basterà.
Amare una cometa, tra i rotoli di numeri:
Ma come si fa, a capire così
Bene e male
Le dita di Cesare Augusto
Che organizza il cuore per tutti.
Non per me?
Tu di qua, io di là,
Io come un titano esiliato
Con un sacchetto della spesa
Tra le dita che ricercano l’ironia,
Il solito scomodo volto del vuoto.
Ma proverò la verità come efficacia
– Basterà
A sorridere in un vivo mutismo
Non sarai mai il tempo di una cometa:
Vedo sempre poco pudore
Nelle partenze di chi non conosco
Perché nessuno, in effetti, ha richiamato il tempo
Le giustificazioni
E non è sintomo di maturità
Non è non è, ma vivi nelle parole
Quelle che ora aderiscono al solo suono.
Che quello che vedo negli occhi degli altri
Sia il vero
Io credo non possa – non deve –
Ripercorrere i corridoi di un romanzo.
Si incastra piano tra i ritorni di una poesia
E poi uno scatto all’aperto
Il sole dell’ateneo tra i rumori dei passi
Come tra le voci e le mie nuove rotte
Lasciano una scia, non una risposta
La stessa prima di ogni perché:
A nuovo e luce annodati
Pochi versi, senza verbo
Accolgo come la sabbia fresca
Delle ore contate.
Non preoccuparti se i segni non
Spariscono, sprezzanti
Non dicono
Intanto è già cambiato un codice
Lui che ha solo una funzione
Qualche senso sotto le carte:
Sapessi giocare, io.
Ci sono diagnosi che rimangono nell’aria
Parte nelle fibre una consumazione diversa
Come un raggio nello spazio;
Salgo allora su quella deriva
La cometa che arriva al contrario:
Quel momento che era già negli altri
Ma arriva sempre dopo e mai tardi.
Basterà
L’autrice qui abbastanza ermetica, come se conciliasse passato e presente, antichità e contemporaneità, parlando ad un interlocutore immaginario, rassicurandolo sull’arrivo certo della cometa che farà luce sul confine tra bene e male. Senza lasciarsi sedurre da scorciatoie stilistiche la Cristalli ragiona scrivendo versi, agognando “il fuori”, perché solo smarrendosi, perdendosi, si può ritrovare se stessi, giungendo all’uno (o allo zero?). Una poesia fatta di immagini, simboli ricorrenti presenti nella mente umana che trovano forma nella realtà attraverso la parola, la poesia.
La contemporaneità, noi immersi in essa, la velocità, la frenesia dei nostri gesti e delle nostre azioni ci rende difficile recuperare qualsiasi assenza, inghiottiti come sia nel rituale moderno di tenere in mano il telecomando, facendoci anestetizzare dalla TV come si evince della poesia Una vita di cambi:
Recupero ogni assenza
E vorrei metterci dei punti
Gonfi come quella circostanza
La ripeto con un telecomando:
La verità è che pagherei caro
Per avere un dolore giusto
Culto per una mente diversa da me
Alla destra delle forme
Mi metto in fila come i Re Magi
Per aspettare una profezia rappresa
Ma torno sempre indietro alle quattro
Quando ho sentito una cicala
E la sua vocale sola:
Mi diceva che potevo vederti
Sotto quelle maglie spesse
Una voce verso qualche paradiso:
Noi non ci siamo detti niente.
Coi capelli piegati
Non mi sento tanto distante
Da voi
Che vi preoccupate del destino.
Pretendo di nuovo quelle pagine
Così come una preghiera sul tuo dorso:
Non so perché l’ho fatto,
E quanto ci ho messo
Tutto era veloce come le ciglia
La poesia cervellotica ed emozionale di Beatrice Cristalli conduce l’autrice, in questo articolato viaggio della mente, a spremere ogni singola parola per cavarne un senso nel mare di confusione e mediocrità che ci soffoca, dove non riusciamo più a comunicare, a trovare le giuste parole per esprimere la nostra interiorità. I versi liberi della Cristalli sfiorano, accarezzano la forma delle cose, afferrando (lievemente) per un momento ciò che. come afferma Silverio Novelli nella postfazione, è destinato a sottrarsi ora e sempre per riproporsi sempre, ogni volta, ad una nuova comunione transitoria di alterità («con il piacere di una sola carezza», Uno di uno). Alla base di queste poesie vi è certamente la consapevolezza da parte dell’autrice dell’esistenza della forza di resistenza della vita, quella tensione che provoca turbamento e dolore nell’anima e della mente. Ma se questo mondo è portatore di dolore, bisogna dialettizzarlo, tentare di trasformare il dolore in dolore giusto. In che modo? Considerandolo un dolore, un male necessario, pieno di significato. Ed ecco il cuore della raccolta Tre di uno: indicare la strada giusta per comprendere il senso di un dolore, ovvero liberare la semantica dall’evanescenza, riempire e nobilitare le parole ridotte a simulacri.
Tre di uno è un libro asciutto dalla forte connotazione filosofica che si rifà alla dolorosa esperienza di vivere di matrice leopardiana, ma non esente da un pathos espressivo (evidente soprattutto nella parole isolate che fanno verso da sole e che risuonano con veemenza) che non può non colpire il lettore e renderlo partecipe di questo viaggio conoscitivo.