Nella ‘Trilogia dell’Area X’ Jeff Vander Meer indaga le mutazioni dell’uomo contemporaneo catapultando il lettore in un luogo dall’atmosfera perturbante; una zona enigmatica, dove fenomeni di origine sconosciuta alterano le leggi del tempo e della biologia. Il tema della metamorfosi è senza dubbio uno dei più frequentati e fecondi nell’immaginario letterario di tutti i tempi. Ne troviamo esempi già nei poemi omerici e, in ambito romano, nel capolavoro ovidiano. Dante impiega la metamorfosi come uno dei meccanismi del contrappasso, Stevenson la lega ai chiaroscuri della psiche umana, Kafka la innesta nella modernità. Il termine metamorfosi deriva dal greco: indica un passaggio di forma, per cui il soggetto che la subisce muta nell’aspetto esteriore mantenendo però inalterata la propria identità. Si tratta di un fenomeno comune: basti pensare alla crescita degli anfibi o al ciclo delle piante. Probabilmente proprio l’osservazione di queste manifestazioni della natura ha contribuito all’elaborazione dei miti da parte dell’uomo antico, e forse è possibile che continui a farlo ancora oggi. Eliade ci ricorda che il mito non è mai completamente scomparso: è vivo nei sogni, nelle fantasie e nelle nostalgie dell’uomo moderno. E gli scrittori, dunque? Sono ancora dei mitografi?
Jeff Vander Meer sicuramente ci prova. Nella Trilogia dell’Area X, una delle sue ultime fatiche letterarie, ogni volume costituisce il tassello di un’inedita analisi delle nuove mutazioni dell’uomo contemporaneo. Autore di racconti e romanzi, giornalista per il New York Times, il Guardian e l’Huffington Post, Jeff VanderMeer è noto per aver coniato la definizione di New Weird, genere in cui si iscrivono pienamente anche i romanzi che compongono questa trilogia. Il New Weird è una tipologia di fiction di ambientazione realistico-urbana che sovverte la classica idea di spazio diegetico riscontrabile nella fantasy tradizionale, per lo più scegliendo modelli di mondo reale complessi e verosimili come punto di partenza per la creazione di ambientazioni che combinano elementi fantascientifici e fantasy. Il New Weird ha un’essenza profondamente attuale che, per la costruzione di stile, tono ed effetti, spesso ricorre a elementi tipici dell’horror surreale o trasgressivo, in combinazione con gli stimoli dati dall’influenza di scrittori della New Wave o di movimenti affini (includendo anche precursori come Mervyn Peake e i decadenti francesi e inglesi).
Annihilation, primo romanzo della serie, viene tradotto nel 2015 da Cristiana Mennella per Einaudi con il titolo di Annientamento. Le pubblicazioni proseguono nello stesso anno con Autorità e Accettazione, mentre nel 2018 viene distribuito da Netflix l’adattamento cinematografico del primo capitolo (Annientamento, con regia di Alex Garland e Natalie Portman come protagonista). Tutti i volumi sono stampati in pregevoli edizioni cartonate con copertine illustrate da Lorenzo Ceccotti e sovracoperte in plastica trasparente.
Già dall’estetica delle illustrazioni (polarizzate sui colori primari ma raffiguranti soggetti aggrovigliati, mimetizzati, inquietanti) è possibile penetrare nell’atmosfera perturbante dell’Area X, una zona della Terra in cui un fenomeno di origine sconosciuta sta alterando le leggi fisiche, trasformando gli animali e agendo sullo scorrere del tempo. Nessuno vive più su quel tratto di costa, delimitato da un confine invisibile e (forse) in movimento. Il governo, attraverso l’operato dell’agenzia Southern Reach, nasconde l’enigma all’opinione pubblica e cerca di indagare inviando diverse spedizioni esplorative, i cui membri di solito non fanno ritorno. Chi riesce compare inspiegabilmente in luoghi che gli erano cari senza passare dal perimetro del confine; non fornisce resoconti esaurienti, ha vuoti di memoria e vive in uno stato di apatia, come fosse soltanto l’involucro della persona che era. Ogni reduce muore poco dopo il ritorno, sempre a causa di aggressive forme tumorali.
La dodicesima spedizione, di cui seguiamo direttamente le sorti, è composta da sole scienziate, donne che non conoscono nulla l’una dell’altra, nemmeno il nome. L’identità dei personaggi è riassunta nella loro funzione: un’antropologa, una topografa, una psicologa (nonché direttrice dell’agenzia governativa) e una biologa.
Il punto di vista adottato nel primo libro è quello della biologa, che si offre volontaria nella speranza di ritrovare il marito, uno dei membri dispersi della spedizione precedente. Il suo viaggio assume ben presto coloriture diverse: la ricerca dell’amato la guiderà nelle profondità del suo stesso essere, in una parabola di auto-annientamento. Il contatto con una misteriosa luminosità e la simbiosi con un ambiente ormai alieno generano l’inevitabile mutazione, scandita da diverse fasi: iniziazione, integrazione, immolazione, immersione e dissoluzione. Annientamento si conclude lasciando insoluti parecchi interrogativi, ma la situazione comincia a dipanarsi con Autorità, il secondo capitolo della trilogia. L’io narrante è ora John Rodriguez, o meglio “Controllo”: così si fa chiamare il direttore vicario della Southern Reach. Oltre a cercare di fare chiarezza sui misteri dell’Area X, Controllo dovrà districarsi nelle complesse dinamiche che regolano i rapporti umani all’interno dell’agenzia e, soprattutto, tentare di penetrare nella mente della biologa, che ora si identifica come “Uccello Fantasma”. Questo capitolo intermedio, quasi sospeso, lascia presagire la catastrofe che si compirà solo nell’ultimo libro: Accettazione. L’Area X sembra ormai fagocitare le vite di tutti i personaggi, i cui punti di vista cominciano ad alternarsi, caotici, alla ricerca della verità. Una verità racchiusa nel passato, ma anche nelle singole identità e nelle forze che guidano l’essere umano come specie, non ultima: l’amore.
I primi critici dell’opera di Vander Meer hanno posto l’accento innanzitutto sulla portata ecologista della narrazione: il primo elemento che muta è infatti la natura stessa che, attraverso la contaminazione con un fattore estraneo, si “depura” dalla centenaria azione distruttiva operata dall’uomo, quasi fosse una vendetta. Il rapporto con la natura è sicuramente uno dei temi portanti nell’architettura della trilogia: emblematico il fatto che il primo uomo infetto sia proprio il guardiano di un faro, un uomo che – tra l’altro – si è allontanato tragicamente da Dio. Se il faro rappresenta il tentativo di far luce su una natura che rimane un mistero, l’uomo che perde la propria spiritualità può solo osservare, senza comprendere, un mistero più grande e più forte di sé.
La biologa sembra tentare un ricongiungimento: anche se guidata da una razionalità di matrice scientifica, nella sua dissezione della realtà in piccoli frammenti osservabili al microscopio risiede la volontà di comprendere e integrarsi in una natura che è per lei ragione di vita (più di quanto lo era, forse, il suo stesso matrimonio). Questa decontaminazione del pianeta sembra infine riecheggiare le teorie filosofiche inerenti alla ciclicità del tempo, l’eterno ritorno, l’apocatastasi: quel ritorno allo stato originario che scandirebbe l’inizio di un nuovo ciclo, una palingenesi non necessariamente negativa, dunque. Al di là di questo, ci sono buone ragioni per ritenere che il fulcro della ricerca di Vander Meer risieda più nel tema dell’identità, che nella metafora ecologista. L’uomo è parassita di se stesso, della propria mente che sembra sciogliersi capitolo dopo capitolo, avvinta dai misteri dell’area X ma anche dal potere che altri uomini esercitano su di essa. La scoperta o la difesa della propria identità diventano elementi imprescindibili per ogni personaggio, man mano che tutte le certezze si incrinano.
Follia, allucinazione, controllo della mente: in queste atmosfere dickiane emerge con chiarezza l’inevitabile frammentarietà della coscienza, l’impossibilità – per l’uomo moderno – di accedere a una visione completa del reale e di se stesso. La stessa consapevolezza che ispirò i poeti del frammentismo novecentesco o la poetica dell’incompiuto alla base delle sculture di Auguste Rodin. La riflessione sulla metamorfosi che scaturisce da questi romanzi sembra quindi approdare a un piano ancora più elevato, se la si applica in chiave sociale, come metafora della modernità in perenne mutazione (quella condizione che Bauman ha descritto brillantemente attraverso il concetto di liquidità). Alessandro Baricco nel Saggio sulla mutazione parla di un orlo della mutazione che avanza, e corre dentro di noi.
Siamo mutanti, tutti. […] Ognuno di noi sta dove stanno tutti, nell’unico luogo che c’è, dentro la corrente della mutazione.
Riecheggiando il mito e attingendo a piene mani alla dimensione del fantastico, Vander Meer ci ricorda quanto questi mezzi risultino attinenti a un’analisi della realtà. Se attraverso le categorie del molteplice, del cangiante e dell’instabile si ottiene una rappresentazione assai verosimile della realtà; l’irreale, l’immaginario e il fantastico possono essere, di per sé, metamorfosi del vero.
Di Buzzati è stato detto:
Ci fa credere nell’incredibile, perché i suoi segreti, le sue magiche coincidenze, le sue rilevanti metamorfosi, i suoi suscitanti sortilegi, sono un inverosimile che ci aiuta a esaurire il verosimile.
Si tratta, dopotutto, della stessa considerazione cui approdò, dopo un lungo studio sulla fiaba, un altro autore del fantastico italiano: Italo Calvino:
E per questi due anni a poco a poco il mondo intorno a me veniva atteggiandosi in quel clima, a quella logica, ogni fatto si prestava a essere interpretato e risolto in termini di metamorfosi e incantesimo […]. Ogni poco mi pareva che dalla scatola magica che avevo aperto, la perduta logica che governa il mondo delle fiabe si fosse scatenata, ritornando a dominare sulla terra. Ora che il libro è finito posso dire che questa non è stata un’allucinazione, una sorta di malattia professionale. È stata piuttosto una conferma di qualcosa che già sapevo in partenza, […] quell’unica convinzione mia che mi spingeva al viaggio tra le fiabe; ed è che io credo in questo: le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita […].
(I. Calvino, Sulla Fiaba, Mondadori, 1995)