Un metaromanzo non ordinario, impietoso, un libro che prende per il culo il lettore che pretende solo la verità (sebbene ci sia sempre di fondo un po’ di verità in ogni opera, soprattutto se lo dichiara), o meglio la realtà davvero vissuta, da chi scrive: è questo l’ultimo libro di Francesco Consiglio, già autore de Le molecole affettuose del lecca lecca e Qualunque titolo va bene. Romanzo a pezzi, che reca il titolo Ammazza la star, edito da Castelvecchi nel 2018.
L’ultima fatica letteraria di Consiglio ha tutta l’aria di rivolgersi proprio a quel lettore “medio” che si nutre di TV, videogiochi, cronaca nera per mostrargli l’identikit del serial killer tipo attraverso l’utilizzo del flusso di coscienza. Peccato che il lettore in questione faccia fatica a comprendere il senso tragico apparentemente nascosto dal sarcasmo e dal grottesco, di questo originale romanzo per quanto ne riguarda soprattutto la struttura e l’impostazione. L‘incipit di Ammazza la star è una ridicola giustificazione dell’essere killer di donne, secondo il protagonista, che vuole modificare l’esito delle storie dei cartoons che hanno influenzato la sua infanzia e reso il protagonista, un uomo da analizzare, conoscere solo in chiave naturalistica-antropologica, alla maniera di Zola.
Francesco, come recita la sinossi del romanzo, il serial killer, è un uomo inutile e solitario che coltiva il desiderio ardente di diventare famoso uccidendo una star dello spettacolo; e quello di Paola, insegnante precaria che cerca di riscattare un’esistenza sterile catturando il killer senza l’aiuto della polizia e raccontare poi la sua impresa in un libro di successo. Le loro vite si intrecciano e si confondono con quelle di un’umanità paradossale nascosta nell’apparente quiete della provincia italiana. Sono dunque due i punti di vista presenti in queste pagine suddivise in brevi capitoli che fanno di Ammazza la star un romanzo frammentario, disorganico che offre qui e là, al lettore i pensieri mediocri conditi di ironia e autoindulgenza di una nullità che le cui visioni quotidiane sono protagonisti di film truculenti, romanzi, pubblicità e TV, sogna di diventare famoso grazie ai propri omicidi.
Consiglio cerca di dare una nota di originalità ed ineluttabilità anche in alcune risposte che dà il serial killer a delle ipotetiche domande del tipo “Perché lo fai, perché le donne?”: “Perché è più facile”. In realtà, se l’autore avesse voluto essere più tranchant, scandaloso e politicamente scorretto nel delineare un profilo di uno psicopatico che non ha rimorsi, avrebbe potuto far commettere al suo alter ego omicidi su bambini, bersagli facili per eccellenza, o su donne molto anziane. Ma forse sarebbe stato troppo anche per chi ambisce ad evitare di parlare cosa è bene e cosa è male per non risultare moralista, manicheo e noioso. Senza contare che non sarebbero potute essere “giustificate” le spudorate incursioni sessuali; probabilmente avrebbero sconquassato il lettore che invece potrebbe sentirsi divertito o leggermente stranito nel leggere il bollettino medico di un essere umano nella società del capitalismo selvaggio dove si sognano la fama e il successo.
Se da una parte Consiglio mette nero su bianco in maniera asciutta, adottando uno stile quasi cinematografico, una vicenda paranoide, tragicamente divertente o divertentemente tragica a seconda dei punti di vista, per mostrarci lo stato mentale e fisico di chi sogna di andare in TV e di ricevere lettere da fan squilibrate che vedono un assassino come una star al pari di un attore di Hollywood o di un calciatore di serie A, dall’altro ne risulta un romanzo freddo e a tratti ripetitivo, ma probabilmente proprio in virtù del fatto che l’assassino-scrittore impotente che brama la fama, è “rituale” e ossessivo nei suoi pensieri.
Potrebbe apparire come un rappezzo ma l’analisi cruda di un pezzo della nostra società attraverso l’immedesimazione nella mente di un disturbato per dimostrare che non per forza un romanzo debba raccontare la verità ai lettori ai quali tuttavia, garbano anche confortanti menzogne, può fungere da sprone ad invogliarci a vedere come ci siamo ridotti: esseri senzienti che espletano i loro bisogni primari di cui si diventa schiavi, incapaci di discernimento, fagocitati dalla virtualità, dalla tecnologia, consolati e giustificati dalla TV, da film maledetti come Tetsuo, eccitati dalle pubblicità di Charlize Theron, rassegnati. Ammazza la star, però è un’opera asfissiata da un surplus di pretese inversamente proporzionali alla consistenza di ciò che si concretizza nelle quasi 300 pagine; non vi sono riferimenti al contesto storico-politico-culturale di più amplio respiro, non si scava a fondo nella melma e nel fango che si celano nell’animo umano, non basta l’ironia che aiuta l’autore a non erigersi a moralista, a far contorcere le viscere, non inquieta. Ammazza la star diverte, fa riflettere, ci sbatte in faccia parte di una realtà di cui dovremmo provare vergogna, con la sua già citata ironia, marchio di fabbrica dello scrittore, pare sminuire la pericolosità dello sfigato protagonista, rendendocelo quasi poco credibile fin dall’inizio (complice anche la trama bizzarra), ma non è il vero senso del maledetto, ad accompagnare la penna di Consiglio, bensì il gusto per il politicamente scorretto, del dissacrante, l’insofferenza, anche a ragione, verso una determinata tipologia di scrittori che vanno di moda oggi e che vendono.
Consiglio non giudica il suo protagonista, lascia che sia il lettore a farsi un’idea e racconta quello che gli riesce meglio quello che possiamo vedere noi ogni giorno, soprattutto per quanto concerne certi aspetti fisiologici… Stop. E’ poco? E’ noioso? Potrebbe sembrarlo ma si spera che chi legga Ammazza la star possa soffermarsi soprattutto su pezzi come questo: “Ho continuato a sentirmi un povero coglione inadatto a volgere lo sguardo oltre l’orizzonte. E quando ci ho provato, l’ebbrezza di una vita nuova e ancora immaginata mi ha stordito, facendomi perdere di vista i miei obiettivi. Le vedi queste persone sedute attorno a noi? Fanno colazione e tra poco si alzeranno per andare al lavoro. Si sbattono, producono, portano a casa uno stipendio e un pizzico di felicità. Di fronte a me sono giganti, o almeno io li vedo così.” Come del resto lo stesso horror Tetsuo che si diverte a shockare lo spettatore con le sue trovate, si apre a diverse letture. A chi non basta la radiografia della realtà, leggere il raddoppiamento di ciò che è sotto i nostri occhi, e cerca rude poesia, mitopoiesi, forza visionaria, metafisica, quinta essenza della maledizione, ricchezza linguistica, deve rivolgersi altrove. Non solo a Truman Capote, citato dall’autore alla fine del libro.