Cos’è l’umanesimo? È forse qualcosa che può riguardarci oggi, che riguarda ancora il geistige Tierreich, come direbbe Hegel, degli intellettuali? E Thomas Mann, potrà veramente esser considerato un umanista?
Non a caso è l’Apollo oscuro (figura di un’oscurità più fonda di Hermes, ma pur sempre il dio dello Spirito), l’emblema inaugurale del carteggio del celebre scrittore tedesco con Karóly Kerényi, nel quale l’argomento trainante diventa ben presto quello della possibilità di sopravvivenza di ciò che si è chiamato ‘umanesimo’; e correlativamente, del ruolo dell’‘umanista’, ovvero del custode e conservatore cui prema la necessità di tramandare i tesori tradizionali del retaggio europeo, salvandoli e trasportandoli dal mondo vecchio in quello nuovo (K, 3 II 1945). Umanesimo è un atteggiamento complessivo verso l’uomo che è fonte insieme di delusione e di conforto: una «felicità difficile – ma pur sempre felicità».
L’umanesimo secondo Mann e Kerényi
Ma chi possono essere i padri di questo rinnovato, auspicabile umanesimo? Su questo argomento, le posizioni di Mann e Kerényi si differenziano alquanto. Oggi i maestri, scrive Kerényi nel 1944, «attraversano in pauroso isolamento un mondo di rovine, soli con
la propria ombra, come colui che uscì per tempo dalla casa degli “scienziati” erroneamente trionfanti [il riferimento è a Nietzsche]. Ed è molto se possiedono almeno la loro ombra; se nel loro isolamento non hanno perduto anche le radici dalle quali può forse ancora crescere qualcosa per l’avvenire» (pref. a Romanzo e mitologia).
A causa di questa esigenza spirituale Kerényi ammette di non poter accettare l’impersonalità del metodo storicistico in filologia, poiché dietro ogni scienza dello spirito si nasconde una più intima vita dello spirito.
All’interno del lavoro spirituale si devono attuare, infatti, i più profondi interessi dell’anima, collegati con la sua stessa libertà: «da quando il consenziente Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff riportò la vittoria scientifica sul tedesco dissenziente, su Nietzsche, il “conoscitore di sé, il carnefice di se stesso”, l’idea umanistica cedette il passo a una res publica doctorum virorum» (pref. a Romanzo e mitologia), alla fallacia di un’indagine filologica all’apparenza spassionata, immune da tratti esistenziali o lirici, in fondo anti-umanistica, pseudoscientifica, tecnicizzata.
Anche Mann coglierà l’occasione di esprimersi al riguardo, osservando come «la non molto buon’anima di Wilamowitz se la cava a malapena […]. Mi sono sempre meravigliato che dopo il suo attacco a Nietzsche abbia ancora osato aprir bocca. Egli era una specie di Kundry maschile, aveva “riso”. Sarà stato un grande erudito sino alla fine; come spirito non era più da prendere in considerazione» (M, 15 VII 1936). Nietzsche, dunque, è il primo ‘padre’ umanistico, il rappresentante dello spirito contra Wilamowitz e la cultura postasi al mediocre servizio della tecnica:
Ho avuto l’impressione di una indicibile sofferenza dello spirito, di un muto aggregarsi dei mediocri, del loro collaborazionismo e della famelica smania di imporsi da parte di tutti quelli che sono peggio che mediocri. Devo confessare che mi preoccuperei ben poco della mediocrità se non avesse dalla sua il peso della massa, sotto la quale lo spirito – coi suoi rappresentanti – rischia di rimanere schiacciato. […]. (K, 13 VIII 1934).
L’aspetto religioso in Mann
Facile vittoria di Apollo, del Geist umanistico? Sarà. Se anche i nomi di riferimento sono qui quelli di Hölderlin e Nietzsche, Kerényi mostra di prediligere nell’opera manniana la figura di umanista più banale, Settembrini, considerandolo «l’incarnazione per me estremamente simpatica dell’atteggiamento umanistico di fronte a una sempre ricorrente situazione umana […]. Intendo la situazione del trovarsi in prossimità della morte».
Umanesimo e morte: la scienza umanistica deve possedere, quindi, un carattere ermetico; questo si esplicherebbe attraverso quel “ritorno alle realtà fondanti, supreme dello spirito”.
Mann tenta un approfondimento dell’umanesimo mediante l’elemento religioso, cioè mitico, del tutto al di là dei dogmatismi non più degni di fede, per conferirgli «la forza impegnante di cui ha bisogno per raccogliere la sbandata umanità intorno a un’autorità nuova». Altrimenti, «il risultato dell’intricato esperimento “uomo” sarebbe, come ognuno sa, molto minaccioso, anzi senza speranza» (M, 12 II 1946).