Come già Andersen ne “La lumaca e il rosaio” e Virginia Woolf in “Kew Gardens” hanno proposto la storia attraverso gli occhi di una lumaca, il racconto di Valeria Serofilli, ‘Natale da gatti’, finalista al Premio Teramo 2005 “Città di Fantasia”, è narrato da un protagonista a quattro zampe.
Una gatta domestica che, al pari di troppi eroi antropomorfi, tenta di salvare il mondo o almeno il proprio microcosmo e finisce puntualmente per ottenere il risultato contrario.
Il doppio incontro prima con l’Abete e successivamente con il Pupazzo di neve, sfocia nel primo caso in un gesto di superficiale ostinazione per trovare infine il suo acme nello sciogliersi del pupazzo dotato, per sua sciagura, di un cuore pulsante!
Tale trama di incontri, complicata e arricchita dai numerosi flash – back evoca la bellezza più autentica e genuina di un Natale come tanti eppure unico nella sua magia.
L’inserimento del motivo cantilenato all’interno del tessuto narrativo intende ricalcare il modello utilizzato da Andersen, in tante favole con uno schema narrativo in qualche modo similare.
La morale di questa favola sui generis è che non sempre la buona volontà e le azioni concepite a fin di bene danno frutti all’altezza delle aspettative.
L’aria incanutita dalla neve quella mattina si smaltò di rosso per il grande fiocco al portone d’ingresso. Anche le verande della casa erano adornate da rami d’agrifoglio e da piccole pigne raccolte in montagna la scorsa primavera.
Ma alla ricchezza degli addobbi faceva riscontro la nudità del giardino spogliato dell’abete.
Tutti nel giardino padronale da cui si scorgeva la Piazza dei Miracoli, avevano subito avvertito la mancanza del piccolo albero: dalla mimosa, che era solita protendersi verso il pasciuto vicino per smorzare le punture del freddo, alla Mimma, bianca gattina dai curiosi occhi celesti che agli aghi dell’abete si strusciava e scavava spesso piccole buche nella terra fra le sue radici.
– Che fine aveva fatto? – si chiedeva la Mimma interpretando il pensiero comune. Spinta da curiosità felina la minuta gatta si lasciò scivolare nella casa, forzando l’apertura dell’uscio socchiuso.
All’interno l’avvolse quell’aria di festa già annunciata dalle luci alle vetrate: un giro a tondo di bambini e di cuscini, lo sfrigolio di ciambelle nelle teglie, un dilagante profumo di cannella che ben si sposava a quello pungente dei chiodi di garofano infilzati negli agrumi, e… – No! Non può essere lui! – pensò la Mimma, appena in tempo per sentire il più piccolo della famiglia che con voce squillante intonava i versi imparati faticosamente a memoria.
In un primo momento Daniele aprì la bocca senza riuscire ad emettere se non un flebile sibilo. A tradirlo erano stati l’emozione ed il timore di non ricordare con esattezza quanto gli era stato insegnato. Tutto ciò fu sufficiente alla Mimma per ricordare con un sorriso, il solenne episodio avvenuto davanti alla scuola al termine delle lezioni il giorno prima della vacanze natalizie.
L’ABETE
<<Tintinni per i campanelli
tentenni / sotto il peso delle strenne
troneggi
nel mezzo della sala.
Con te / fanciulli si trastullano
e si pungono le dita
co’ tuoi aghi;
ma tu comunque li ripaghi
con la luce,
che si accende e che si spegne
fra i tuoi rami.
Ai tuoi piedi
spacchettati, si accartocciano
fogli colorati
di regali.
Le tue fronde, fresche
giorni addietro
già cominciano a tingersi
d’opaco.
Le radici recise
in moncherino,
la cima barattata
in un puntale.
Non te ne curi:
bruco di sempre,
farfalla
il giorno di Natale>
Vestito a festa il piccolo abete troneggiava nel mezzo della sala, tintinnando per i campanelli e per gl’infiniti ornamenti appesi ai suoi rami;
a balzare agli occhi era invece la dismisura tra la cima, barattata in un enorme puntale dorato, il grande e decorato fusto e la base, minuscola al confronto e inadatta a sorreggere tanta abbondanza: sembrava un’imperatrice cinese dai piedi spezzati.
– Che fine hanno fatto le tue lunghe radici? – gli chiese stupita e sconvolta la Mimma.
– Recise in moncherino – sentenziò solennemente l’abete tra l’orgoglio e il dolore.
– Quando l’uomo sarà andato alla funzione di Natale, ti aiuterò io a fuggire! – lo rassicurò la Mimma. Ma l’abete non aveva alcuna intenzione di lasciare la calda sala, i limoges riversi sulle pareti, quegli arredi caldi e preziosi e soprattutto il suo vestito di festa. Infinite volte dal giardino aveva desiderato essere avvolto dalla calda luce che filtrava dalla vetrata dell’abitazione, ed essere accarezzato dalle mani affusolate della padrona di casa. E pregando la piccola gatta di non disturbarlo – Lascia che il bruco di sempre diventi per un giorno farfalla: e farfalla di Natale! – le disse.
La Mimma pensò che ognuno è artefice del proprio destino e senza aggiungere altro, scivolò fuori della casa con la stessa lievità con cui vi era entrata.
IL PUPAZZO DI NEVE E LA LUNA ROSSA
Si trovò nuovamente nel giardino dove un girotondo cantilenato faceva da colonna sonora al nascere di un pupazzo di neve, plasmato dai bambini intorno ad un palo:
Pezzo di ghiaccio
trova il coraggio
d’andar laddove
torna anche maggio!
Pezzo di ghiaccio
in eroico atto
sotto ad una stufa
raggomitolati a gatto!
<<Povero caro>> – riflettè la Mimma- <<hai bottoni per occhi, un rastrello per denti, una carota per naso, ma a nessuno è venuto in mente di farti un cuore… pensare che basterebbe così poco, che se una ciliegia e una fragola sono troppo piccole, una mela rossa sarebbe proprio adatta all’occasione. Quando tutti saranno andati via ci penserò io: un pupazzo non è fatto di solo ghiaccio!>>-.
Sfruttando tutta l’agilità e l’intraprendenza felina, la Mimma scelse dalla cassetta della frutta che la padrona aveva disposto sulla credenza, la mela più rossa…
Una volta sola, posizionò la mela rossa all’altezza del petto del pupazzo, donandogli un cuore. Ma non contenta, volle fare di più. Il cuore è un organo vivo, pulsante, e soprattutto caldo; per imitarne il calore la Mimma accese una pasticca di combustibile che posizionò sopra un piccolo fornello di metallo.
Per un attimo l’uomo di neve brillò tutto, come l’abete il giorno di Natale. Ma vita breve di farfalla, diventato un enorme otto trasparente, iniziò a sciogliersi un poco ad ogni “battito”, finché il suo bel manto candido andò scivolando completamente a terra.
Il mattino seguente, nel giardino padronale, vicino al solco lasciato dall’abete, i bambini trovarono anche un palo di legno, una mela rossa e la Mimma , con i suoi grandi, celesti occhi stupiti. Si sa, gli occhi di un gatto vedono di più, specie se di gatta, e questa storia è per chi, come me, oltre a capirne lo sguardo ne sa intendere anche il linguaggio, in quanto è la Mimma ad avermela raccontata.