A partire dall’anno corrente, il 25 marzo non sarà più considerato un giorno qualunque. Il Ministero dei Beni Culturali ha istituito nella sunnotata data il Dantedì, giornata dedicata alla celebrazione del “Sommo Poeta” Dante Alighieri. Infatti, proprio nel 2021, ricorrerà il 700esimo anniversario della morte del “padre della lingua italiana”. In occasione di questa festa letteraria ognuno di noi è invitato a partecipare e a dare il proprio contributo. In che modo? Leggendo, “postando” sui social, declamando, o semplicemente citando i meravigliosi versi che hanno unito milioni di generazioni e che continueranno ad unirle anche in questo momento non facile. Permettendo a tutti di farsi avvolgere dal potere eternante della poesia in un unico abbraccio collettivo, dal sapore “familiare”.
Sarebbe tuttavia impossibile riportare l’opera dantesca, intera e meravigliosa, per cui saranno di seguito scelti per ogni cantica, alcuni versi che, leggeremo insieme virtualmente, cercando di onorare, nel nostro piccolo un poeta di enorme levatura.
Inferno: l’incontro con i due amanti “maledetti” Paolo e Francesca.
Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende. 102
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona. 105
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte. 108
(Inferno, canto V, vv. 100-108).
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso, 135
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante. 138
(Inferno, canto V, vv. 133-138).
Chi non ha mai studiato questi versi soavi a scuola?
Le parole di Francesca trasudano amore e passione per Paolo, suo cognato. Un amore tortuoso e fedifrago, nato per caso, leggendo il romanzo di Lancillotto. Ma come dice Francesca “chi è amato non può non ricambiare amore” quello stesso amore che li ha eternamente condannati.
Purgatorio: Dante e il “dolce stil novo”.
Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
‘Donne ch’avete intelletto d’amore‘». 51
E io a lui: «I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando». 54
«O frate, issa vegg’ io», diss’ elli, «il nodo
che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo! 57
(Purgatorio, canto XXIV, vv. 49-57).
quand’ io odo nomar sé stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime d’amore usar dolci e leggiadre; 99
(Purgatorio, canto XXVI, vv. 97-99).
Nel XXIV canto del Purgatorio Bonagiunta Orbicciani da Lucca (notaio e poeta lucchese) presenta Dante come “colui che fore trasse le nove rime, cominciando ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’” indicando nella canzone del poeta fiorentino il manifesto del “dolce stil novo” dantesco, e di conseguenza Dante stesso, come seguace di questo nuovo stile poetico, inaugurato da Guido Guinizzelli (poeta bolognese) con la canzone “Al cor gentil rempaira sempre amore”. Dante, di fatti, nel canto XXVI, indica proprio lo stesso Guinizzelli come “il padre meo e de li altri miei miglior che mai rime d’amor usar dolci e leggiadre.” Inoltre Bonagiunta specifica di trovarsi da una parte opposta del “nodo” di questa nuova poetica e quindi di non farne parte insieme a Iacopo da Lentini (il Notaro, esponente della Scuola siciliana) e Guittone d’Arezzo (in seguito Fra Guittone, esponente della cosiddetta “Scuola toscana”).
Paradiso: San Bernardo e la Preghiera alla Vergine
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio, 3
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura. 6
(Paradiso, canto XXXIII, vv. 1-6).
Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una, 24
supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute. 27
E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi, 30
perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi. 33
(Paradiso, canto XXXIII, vv. 22-33).
O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi, 69
e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente; 72
ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria. 75
(Paradiso, canto XXXIII, vv. 67-75).
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne. 141
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa, 144
l’amor che move il sole e l’altre stelle.
(Paradiso, canto XXXIII, vv. 139-145).
Il canto conclusivo si apre con un’emozionante preghiera alla Vergine Maria da parte di San Bernardo con cui il santo intercede affinché anche Dante possa assistere alla visione di Dio, e che la Madre possa liberarlo dagli impedimenti terreni. Il Santo riesce nel suo intento e Dante visibilmente commosso volge lo sguardo verso l’alto per contemplare la suprema beatitudine. Sebbene il poeta sia umano, e quindi la “memoria non può seguire l’intelletto”, prega la luce divina affinché possa ricordare questo mirabile evento e possa tramandare alle generazioni future almeno un barlume della gloria divina. Il suo desiderio viene esaudito da un’improvvisa folgorazione che lo rende degno di comprendere Dio e di conoscere l’amore divino che “move il sole e l’altre stelle”.