“Il mondo di ieri” di Stephen Zweig, scrittore austriaco ebreo di successo negli anni ’20 del Novecento, è una autobiografia illuminante, che fa piena luce sia sulla sua vita che sulla sua epoca.
Il mondo di ieri è caratterizzato da riflessioni e ricordi, intesi in senso guicciardiano. Scritto tra il 1939 ed il 1941 in Brasile, dove l’autore si era rifugiato, Il mondo di ieri, annovera aforismi, massime, avvertimenti, però a differenza del segretario fiorentino Zweig non si impegna nella scrittura breve, non è discontinuo né frammentario, anzi è un accumulatore seriale di aneddoti e ricordi, pur tuttavia sempre racchiusi in una forma organica, lineare e razionale.
Il mondo di ieri: un affresco dell’Impero austro-ungarico
L’opera si legge tutta di un fiato. Lo scrittore riesce sempre a ravvivare e ridestare l’interesse nel lettore, non perdendosi mai in intellettualismi e senza scadere mai in digressioni prolisse.
Zweig fa un affresco memorabile dell’Impero austro-ungarico e della sua caduta; lo fa a pieno diritto, visto e considerato che è stato un rappresentante di alta levatura della cultura mitteleuropea. In Europa infatti fu un autore molto letto.
Il mondo di ieri comincia con la descrizione dell’infanzia dell’autore a Vienna. Egli definisce la scuola una galera, a causa della disciplina ferrea vittoriana che determinava molti “complessi di inferiorità”. In quella Vienna la massima aspirazione delle famiglie borghesi non era che i loro figli si arricchissero ulteriormente ma che diventassero dottori.
Molti bambini ed adolescenti volevano diventare artisti. Allo stesso modo l’educazione era molto rigida ed impostata. I doveri avevano la priorità assoluta sui diritti. I ragazzi avevano come modelli dei maestri di pensiero, prima di tutto rispettabili. La sessualità era un tabù. Era una attività da non mettere in mostra ed un argomento di cui non parlare.
Tematiche
L’erotismo in quella società sessuofobica era tutto nascosto e adulterato o almeno mistificato. Ma allo stesso tempo per un meccanismo di compensazione quella era in Austria anche l’epoca della sicurezza. Era la Felix Austria. Era la Belle Époque.
Era la società del liberalismo e del progresso, delle “magnifiche sorti e progressive”. Zweig proveniva da famiglia agiata ed ebbe la fortuna sia di poter andare all’università che di scegliere la facoltà, cose non affatto scontate a quei tempi. Scelse filosofia, ebbe modo anche di pubblicare le prime poesie e di conoscere Herzl, fondatore del sionismo.
Poi il 28 giugno 1914 Princip, uno studente serbo, assassinò l’erede al trono asburgico. Come scrive Zweig erano stati 40 anni di pace e poi era sopraggiunta all’improvviso la guerra. Molto fuoco covava sotto la cenere. L’equilibrio in Europa era precario. C’erano molte tensioni di varia natura (economica, politica, sociale, ideologica). Iniziarono gli sconvolgimenti, gli eccidi, gli orrori.
La seconda guerra mondiale
Come ancora ci narra Zweig i soldati al fronte morivano, mentre gli altoborghesi imboscati se la spassavano in patria. I superpatrioti ce l’avevano con lui che era pacifista.
Ma lo scrittore era impegnato lo stesso perché aveva la coscienza e l’esatta percezione di quanto fosse importante il parere e la presa di posizione di un letterato o di un artista a quei tempi, mentre come sottolinea molto lucidamente nella seconda guerra mondiale gli intellettuali erano ormai fuorigioco e ininfluenti.
Finita l’università si trasferisce a Parigi. Zweig descrive con nostalgia la capitale francese, una città cosmopolita per eccellenza, e scrive che sulla Senna ognuno si sentiva a casa propria. Racconta anche i suoi viaggi, che lui definisce “pellegrinaggi”.
I grandi intellettuali dell’epoca
Un artista per essere tale deve avere frequentazioni con giganti intellettuali e lui ebbe molti incontri con geni come Rilke, Harden, Richard Strauss, Herzl, Romain Rolland, Pirandello, Freud, Dalì. Riconobbe nella Svizzera un modello per tutti per la civiltà e l’accoglienza, dato che in terra elvetica trovavano rifugio tutti i perseguitati.
Allo stesso modo l’autore ne Il mondo di ieri ci descrive gli Stati Uniti come il paese in cui ci sono più libertà ma anche più opportunità, visto che in pochi giorni gli offrono ben cinque impieghi. Inoltre descrive il periodo londinese, che va dal 1934 al 1940. Zweig dagli anni ’20 era uno scrittore noto al grande pubblico. I suoi libri vendevano molto.
Zweig aveva ottime entrature nell’alta società, anche se tutto ciò non lo interessava granché. Conosceva tutti gli scrittori, gli editori, i direttori di riviste che contavano in Europa.
L’ascesa al potere di Hitler e il suicidio dello scrittore
Eppure fece naufragio perché si suicidò in Brasile insieme alla moglie. Nonostante il suo successo personale aveva vissuto anche troppo orrore per la guerra, la crisi dell’Austria, che non aveva più fabbriche, era povera e la cui banca nazionale era senza più oro, tutti segni di una miseria inenarrabile e della fine di una epoca felice.
Ma non c’è solo questo: Zweig aveva assistito anche all’ascesa di Hitler. Gliene avevano parlato già all’epoca in cui istigava all’odio i bavaresi nelle birrerie.
Aveva avuto modo di constatare la follia di Hitler, che aveva saputo approfittarsi della difficile situazione in cui versava la Germania in quegli anni, obbligata a pagare una indennità di guerra incredibile. Hitler si approfittò di una Germania umiliata e colse la palla al balzo, coniugando necrofilia, imitazione del fascismo, antisemitismo, anticomunismo, sadismo e crudeltà infinita.
Zweig è stato un intellettuale così lucido da accorgersi del pericolo. Cosí come probabilmente forse si era accorto della “banalità del male” del popolo tedesco.
Probabilmente il gesto estremo di Zweig e di sua moglie, proprio in quanto ebreo ed austriaco, ha delle profonde giustificazioni, senza fare una sterile retorica del suicidio come è d’uso presso alcuni intellettuali.
Do Davide Morelli