Tommaso Cerno è un giornalista diretto e appassionato, provocatorio, sano portatore del dissenso ragionato che ha fatto propria la lezione sul principio di realtà di Pier Paolo Pasolini. Friulano, nato ad Udine, Cerno ha iniziato ad avvicinarsi al giornalismo giovanissimo, è entrato nella redazione del Gazzettino diretto da Giorgio Lago per poi diventare direttore del Messaggero Veneto, de L’Espresso e vice a La Repubblica, fino a passare poi alla politica attiva prima in AN e poi come senatore nel PD di Matteo Renzi. Fortemente critico verso il DDL Zan, Cerno ha lasciato la politica per ritornare ad essere giornalista, o per meglio dire, ha deciso di farla in modo diverso, dato che come giustamente afferma lui stesso, “i giornali fanno politica, ma fanno finta di non farla”.
Con L‘Identità, Tommaso Cerno ha vivacizzato la Cooperativa Giornalisti Europei, di cui lui stesso è il presidente e editore del giornale. Una sfida ambiziosa e un lavoro faticoso per chi vuole ospitare più voci e lavorare d’inchiesta, e lo diventa ancora di più per chi non vuole avere padroni e non fa sconti a nessuno in modo leale.
La passione di Cerno per la storia e la politica italiana emerge anche dal libro A noi. Cosa ci resta del fascismo nell’epoca di Berlusconi, Grillo e Renzi (Rizzoli, 2015), libro agile dallo stile cinematografico che offre ritratti mai banali dell’Italia del Novecento, parlandoci anche dell’Italia di oggi, aiutandoci a capire chi siamo noi italiani.
L’obiettivo dell’Identità è dunque esaminare tutte le questioni, di cronaca, politica, attualità, esteri, cultura, giustizia, ambiente, diritti civili, nella loro complessità senza mai scadere in faziosità e infantili tifoserie che spesso caratterizzano molti altri giornali.
Tra i tuoi punti culturali di riferimento c’è Pasolini, quale aspetto del suo pensiero secondo te dà ancora fastidio oggi soprattutto a sinistra e quale lezione ha fatto propria?
La lezione di Pasolini che ho fatto mia è la materialità del pensiero, il principio di realtà, purtroppo estraneo alla sinistra che non sa dire come vuole vivere, che mondo immagina. Pasolini seppe cogliere la trasversalità del libertinismo e del capitalismo, uccisori del divino dell’umano a tutte le componenti politiche, compresa la sinistra che non parla più alla sua base elettorale, al popolo, non ha una visione, è la sinistra del potere, del capitalismo come nuovo fascismo contro il quale si scagliava Pasolini. Il potere dei consumi è il nuovo fascismo che omologa, secondo Pasolini, denunciando la falsità dei principi su cui si basano tante battaglie “progressiste”. Pasolini ad esempio era contro l’aborto non tanto perché considerasse il feto inizio della vita umana, ma perché aveva intuito come i “principi reali” iniziassero a coincidere con quelli che la maggioranza considera propri diritti, principi su cui i radicali e in genere i progressisti conformisticamente hanno fondato la loro lotta per la legalizzazione dell’aborto, un’enorme comodità per la maggioranza voluta appunto dal potere dei consumi. Ed ecco che proprio sotto la bandiera dei “diritti civili” sono stati rottamati i “diritti sociali” la base popolare della Sinistra in un contesto di finta tolleranza.
Nel tuo libro A noi, passa in rassegna figure carismatiche, scelte politiche e fenomeni sociali per riflettere sulla loro matrice comune con l’era del Duce, chi sono i fascisti oggi?
I fascisti sono quelli che vogliono imporre il proprio pensiero e chiamano fascisti tutti coloro che non la pensano come loro. D’altronde anche Pasolini parlava del fascismo degli antifascisti.
Sei stato anche in politica, c’è qualcosa che ti fa dire che certe cose non cambieranno mai? è una questione di singoli, o di sistema?
Ho incontrato persone valide e serie in un sistema che fa emergere incapaci e disoneste ma la politica ha bisogno di persone libere capaci di esprimere il proprio dissenso e non di fare solo gli yes men. La politica in se è una materia nobile ma negli ultimi decenni è diventata subalterna alla tecnica.
I politici che sanno comunicare meglio?
Quelli che dicono la verità e che non sono ipocriti. Basta pensare alla polemica intorno alla sorella della premier Meloni. Giorgia Meloni ha ammesso sinceramente che sua sorella è importante nella sua vita politica e per il suo partito, e le persone lo capiscono, gli italiani non si scandalizzano più per il familismo, ma detestano le ipocrisie. Giorgia Meloni può non piacere o meno ma parla in modo chiaro. Faccio un esempio: se Renzi, dopo il referendum che lo mandò a casa, invece di raccontare storie agli italiani, accampando bugie e di giocare al guastafeste, avesse detto, scusate ho sbagliato, ma adesso si rifà sul serio, ricominciamo daccapo, non starebbe al 2per cento. Poi è ridicolo che sia la sinistra a fare la morale sulle parentele in politica, non è mai stata e non è da meno.
La guerra russo-ucraina e quella israelo-palestinese ha accreditato il successo della geopolitica in ogni ambito, il cui successo si spiega col fatto che essa risponde a quell’esigenza squisitamente umana (e da molti criticata) di conoscere la totalità espressiva del mondo. Il bisogno di comprendere il Tutto tramite il Tutto; di conoscere l’intero da ogni angolazione possibile. Non credi che ci si lasci troppo abbagliare dalla cronaca e dalle breaking news, invece di cercar di scorgere sotto il velo delle apparenze ciò che rende un popolo ciò che è?
La geopolitica non è un sapere specialistico, ma un catalizzatore di saperi e la sua forza esplicativa risiede proprio nella capacità di far dialogare le parti per ottenere una rappresentazione organica della totalità. Per comprenderne la struttura è necessario cogliere ciò che è sostanziale e purtroppo negli ultimi tempi si sta assistendo a dibattiti che hanno per protagonisti generali in pensione che si ergono a grandi esperti di guerra quando forse potrebbero parlare solo sulla battaglia di Caporetto; è un po’ quello che è avvenuto con la pandemia Covid 19: tutti virologi nei talk per non parlare dei politici trasformati in medici e di virologi che a loro volta si sono candidati.
Si ascoltano cose di una banalità imbarazzante a proposito di geopolitica. Il punto è ripensare al ruolo delle democrazie occidentali nell’assetto geopolitico mondiale, è solo dicendo la verità che possiamo avere qualche speranza, dando spiegazioni complesse e credibili, dicendo qualche no alla NATO e che agli italiani interessa che i propri figli abbiano un lavoro non la corsa agli armamenti per l’Ucraina. Oggi nessuno telefona più a Zelensky, leader europei compresi esclusi anche da una guerra ancora più grande, quella tra Israele e Hamas appunto.
L’Europa non conta in queste dinamiche. politicamente non esiste, è un oggetto più che un soggetto, poiché non è emerso dal popolo ma costruito al di sopra di esso, è un club finanziario-burocratico-lobbistico che impone strategie finanziarie ai Paesi membri ma del tutto inutile quando si tratta di proporre iter internazionali sul tema della guerra e delle migrazioni. Pensiamo al Qatargate e agli interessi europei nei Paesi arabi.
L’omicidio di Giulia Cecchettin ha riaperto la questione patriarcato in Italia, il quale secondo alcuni sociologi e filosofi non esiste da almeno 200 anni mentre per altri come il francese Todd in realtà non è mai esistito. Ti sottopongo la frase dello scrittore premio Strega Francesco Piccolo: <<Non mi piacciono gli uomini che si sottraggono all’accusa di essere violenti. In fondo, se per violenza sulle donne si intende quel fatto di cronaca terribile, è anche un modo per dire che siamo salvi. Non sono io, non siamo noi, non potremmo mai esserlo. Ecco, non mi piacciono gli uomini che si vogliono salvare>>. Non pensi che le responsabilità siano soggettive e non collettive quando avviene un efferato omicidio come quello di Giulia?
Credo che Piccolo intendesse che la violenza riguarda tutti in una società, ma sono d’accordo che le responsabilità sono individuali e che il patriarcato che non esiste da moltissimo tempo, non c’entra nulla. Turetta non è un “normale” prodotto del patriarcato e consideralo tale è una mancanza di rispetto e di senso di giustizia per Giulia. Un ragazzo che compie un omicidio e poi dopo pochi minuti scoppia a piangere davanti al chi lo interroga, non è un patriarca, è una persona con dei problemi, o che non ha accettato il rifiuto.
L’auto-colpevolizzarsi a priori non aiuta a comprendere la nostra società, i disagi, le paure la gestione delle proprie emozioni, la concezione di una relazione sana; è un retaggio cattolico che ormai non appartiene più nemmeno ai cattolici. La fine del patriarcato ha contribuito semmai alla crisi della famiglia, la perdita di autorevolezza del padre di famiglia, per cui oggi più del 50 per cento degli italiani è single o divorziato. Il patriarcato esiste dove il marito islamico può picchiare la moglie e questo marito viene assolto da un pm italiano perché fa parte della cultura islamica.
Cosa pensa di offrire di diverso l’Identità rispetto ad altri quotidiani nazionali?
Cerco di far riflettere sui temi, sulle questioni, di instillare il dubbio e preoccupazione in chi legge, presentando punti di vista convergenti da parte di personalità politiche e non che sono apparentemente in conflitto tra di loro come ad esempio Gasparri e Cremaschi e vorrei cercare di far capire che anche due donne distanti come Schlein e Meloni in realtà sono figlie dello stesso momento storico e culturale: due donne di potere, ai vertici della politica.
L’Identità è un giornale libero, che non vuole imporre il proprio pensiero, ma fare tante domande senza dare troppe risposte raccontando l’Italia. Non è il megafono di un partito che deve attaccare l’avversario politico o di una sola narrazione ma uno spazio di e per chi ragiona.