Nato il 29 ottobre 1884 in provincia di Ferrara, Corrado Govoni è stato un autore dallo stile eclettico e sperimentale che dopo una prima esperienza poetica crepuscolare, decide di aderire al futurismo per poi staccarsene e ritornare alle origini del suo stile letterario. Lavora nell’azienda di famiglia quando, fin da ragazzo, si accorge di avere una propensione pulsante verso la poesia; Govoni, infatti, esordisce giovanissimo nel mondo della letteratura.
E’ il 1903 quando pubblica presso la Casa Editrice Lumachi di Firenze, a sue spese, due raccolte di poesie in cui prevale la tipica malinconia crepuscolare: Le Fiale e Armonie in grigio e in silenzio. In seguito, collabora con diverse riviste letterarie per poi, nel 1905, sperimentare la visione poetica futurista. La svolta di adesione al futurismo si concretizza attraverso due sillogi poetiche: Fuochi d’artifizio (1905) e Gli aborti ( 1907). Proprio in questo periodo, fra le altre cose, stringe un profondo legame con Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Movimento Futurista.
Tuttavia, l’adesione al futurismo come concezione ideologica e poetica è per Govoni una brevissima parentesi, o come lui stesso in seguito avrebbe definito ‘’un gioco’’. La sua resterà per sempre una poesia di appartenenza alla natura e al sensibile, nonostante l’avvicinamento alle avanguardie letterarie del tempo. Nel 1916 collabora con la rivista napoletana Diana, in cui appaiono alcune sue liriche che anticiperanno la visione ermetica della poesia. Nel 1919 si trasferisce a Roma dove diventa vicedirettore della sezione del libro alla Siae, poi segretario del Sindacato Nazionale Scrittori e Autori dal 1928 al 1943. Nonostante il figlio Aladino Govoni fosse un partigiano, successivamente vittima dell’eccidio delle Fosse Ardeatine nel 1944, Corrado Govoni resta grato al fascismo; probabilmente per le opportunità che il Movimento Fascista gli concesse. Il poeta, infatti, scrisse anche due poemetti di lode dedicati a Benito Mussolini.
La poetica di Corrado Govoni; un viaggio nel parnassianesimo e nel crepuscolarismo
In una lettera all’amico Gian Pietro Lucini, datata 1904, il poeta scrive:
‘’Ho sempre amato le cose tristi, la musica girovaga, i canti d’amore cantati dai vecchi nelle osterie, le preghiere delle suore, i mendichi pittorescamente stracciati e malati, i convalescenti, gli autunni melanconici pieni di addii, le primavere nei collegi quasi timorose, le campane magnetiche, le chiese dove piangono indifferentemente i ceri, le rose che si sfogliano sugli altarini nei canti delle vie deserte in cui cresce l’erba; tutte le cose tristi della religione, le cose tristi dell’amore, le cose tristi del lavoro, le cose tristi delle miserie’’.
Dal passo tratto da questa lettera è facilmente riscontrabile la propensione del Govoni al crepuscolarismo e alla sua delicata malinconia, così come al parnassianesimo; movimento poetico francese che aveva come sua caratteristica centrale l’elemento romantico rigettando, in ogni sfumatura, l’impegno politico o sociale. Per i parnassiani l’arte non ha fini, non deve esser né utile né virtuosa: l’unico scopo è la bellezza.
Rientra in questo schema l’estetismo di Gabriele D’Annunzio, a cui pure Govoni si ispira in questa sua fase poetica. La preziosità delle immagini e del discorso lirico lasciano il posto, però, alla visione malinconica oltre che alla propensione alla campagna come locus amoenus, e al paesaggio agreste, tipico topos di ispirazione Pascoliana. Gabriele D’Annunzio, Giovanni Pascoli e i simbolisti francesi influenzeranno, quindi, il Govoni delle prime fasi; il contributo del poeta al crepuscolarismo sarà, tuttavia, differente da quello dato da altri autori come Sergio Corazzini o Marino Moretti. Un’evidenza che già si coglie nel componimento ‘’Paesaggio’’, inserito in ‘Reliquie’: prima sezione della raccolta Le Fiale (1903).
La casina si specchia in un laghetto,
pieno d’iris, da l’onde di crespone,
tutta chiusa nel serico castone
d’un giardino fragrante di mughetto.
Il cielo dentro l’acque un aspetto
assume di maiolica lampone;
e l’alba esprime un’incoronazione
di rose mattinali dal suo letto.
Sul limitare siede una musmè
trapuntando d’insetti un paravento
e d’una qualche rara calcedonia:
vicino, tra le lacche ed i netzkè,
rosseggia sul polito pavimento,
in un vaso giallastro una peonia.
‘’Paesaggio’’, Le Fiale (1903)
Al grigiore della provincia, alle strade ammantante di ricordi nostalgici e memorie dolciastre dal retrogusto amaro, Corrado Govoni contrappone il colore. La sua è una poetica dove i colori del mondo, le visioni variopinte della natura, sono al centro del verso; i componimenti hanno un ritmo che riprende una vivida gioia fanciullesca, sia nelle strofe che nel ritmo. La differenza del Govoni con gli altri crepuscolari risiede nel tradurre i fenomeni in realtà utilizzando una variopinta e cangiante tavolozza di sfumature, segno inequivocabile che anticipa la sua adesione al movimento futurista.
La poesia visiva e immaginifica dell’esperienza futurista
Corrado Govoni è considerato il poeta eclettico e sperimentatore della poesia italiana in quanto, come autore, ha fluttuato attraverso vari stili in tutta la sua esperienza letteraria. La parentesi futurista non marginalizza l’estro impressionistico del poeta ma, anzi, lo vivifica esaltando e acuendo maggiormente il legame parola-immagine. Se in Fuochi di artifizio (1905) persistono ancora dei tratti crepuscolari, nella raccolta Gli aborti, del 1907, si assiste alla svolta espressionistica di Govoni che in alcune tematiche si avvicina anche al vocianesimo. La bellezza e il colore, adesso, lasciano il posto a un paesaggio in cui trionfa la stravaganza, la fatiscenza, l’aurea baudelairiana.
Dei pazzi che non sembran tali, in abiti d’alga
innaffiano nell’ora del meriggio con del vino
i puri gigli del giardino del manicomio.
Un pappagallo sulla sua gruccia in cima a una scalea
d’un castello di principi schiamazza
contro una vecchia mendicante tutta lacera
che chiede invano l’elemosina,
che chiede sempre e non si stanca mai.
‘’Ronda delle tristezze’’, Gli aborti (1907)
Sono le sillogi Poesie elettriche (1911), Rarefazioni e parole in libertà (1915) e Inaugurazione della primavera (1915) a contrassegnare il periodo futurista di Corrado Govoni. Il poeta ferrarese, dall’accentuato eclettismo letterario, non rinnegherà mai le sue esperienze precedenti e, anzi, sarà proprio questa contaminazione poetica e il confluire di stili differenti a rendere il Futurismo di Govoni originale. La fase futurista di Govoni conserva elementi crepuscolari e liberty come, per esempio, nell’affrontare il tema della città moderna; il poeta di Ferrara non si distaccherà mai, neanche in questo caso, dal legame bucolico con la natura.
La campagna, intesa come natura georgica di virgiliana memoria, sarà per Govoni un topos ripetuto, come un flebile filo che unisce ogni silloge, in tutta la sua carriera letteraria. Come lo stesso autore conferma, il 14 marzo 1937 sul “Meridiano di Roma”, l’adesione al Movimento di Marinetti rappresenta una giocosa irresponsabilità e sperimentazione; pur celebrando la celerità moderna e la dinamicità su cui si poggiava la nuova avanguardia, la sua resterà sempre una sensibilità agreste, legata alla terra e alla campagna. Il manifesto per eccellenza del periodo Futurista di Govoni resta Il Palombaro, poesia visiva appartenente alla raccolta Rarefazioni e parole in libertà (1915).
Dal tratto quasi infantile, il fulcro del componimento è il verso libero tipico della poetica futurista; l’autore gioca con i segni di interpunzione, elimina verbi e accosta immagini al testo quasi come un ‘’quadro linguistico’’. L’utilizzo di analogie e metafore, caro alla poetica futurista, è qui abbondantemente utilizzato. Nonostante possa sembrare un testo adatto ai bambini, questo componimento cela un significato profondamente enigmatico che invita il lettore a porsi delle riflessioni. La tavola parolibera, in questo caso, rimane oscura; la discesa negli abissi, da parte del palombaro, potrebbe rimandare alla ricerca interiore a discapito della superficialità, andando contro le apparenze.
Oltre il Futurismo: la ricerca dell’essenzialità nella poetica e i versi dedicati al figlio Aladino
Nella poetica post futurista, Corrado Govoni si dedica al verso essenziale intriso dall’immagine fresca della campagna, atmosfera amata dal poeta, e ai colori vivaci della sua prima fase crepuscolare. Le raccolte che segnano questa fase sono Aladino (1946), Preghiera al trifoglio (1953), Stradario della primavera (1958) e la raccolta postuma La ronda di notte (1966).
Camminarono lungo la scarpata
con la guida dei lucidi binari
saettanti nel sole
verso i lontani neri boschi
sopra la riva del perlaceo lago,
tenendosi alla vita:
lui, una giacca color celeste,
lei un corpetto rosso.
Sparirono alla vista in un baleno.
Lei un puntino rosso, lui celeste,
entrarono nel fresco regno agreste.
’Camminare lungo la scarpata’’ da Stradario della primavera (1958)
Nel 1946 pubblica Aladino da Arnoldo Mondadori, una raccolta di 104 poesie che approfondiscono il tema del dolore; una dolore che, nei primi momenti, è intimo e pulsante per la perdita del figlio ma che nei versi successivi diventa storico: chiaro rimando alle condizione tribolante post bellica in cui verteva il Paese:
Quanto poté durare il tuo martirio
nelle sinistre Fosse Ardeatine
per mano del carnefice tedesco
ubbriaco di ferocia e di viltà?
Come il lungo calvario di Gesù
seviziato, deriso e sputacchiato
nel suo ansante sudor di sangue e d’anima
fosse durato, o un’ora o un sol minuto;
fu un tale peso pel tuo cuore umano,
che avrai sofferto, o figlio, e conosciuto
tutto il dolor del mondo in quel minuto.
Il poeta passa dalla descrizione del dolore di un padre, straziato per la perdita del figlio, al dolore universale che si riflette nella figura di Gesù Cristo commemorando la perdita di tutti i figli innocenti morti e che hanno sofferto torture fisiche, consci della loro vita ormai appesa a un filo. La perdita di Aladino segnerà per sempre Corrado Govoni, anche nella sua poetica che diventerà più violenta, dura, tormentata.
Corrado Govoni è stato un giocoliere, un acrobata e un artista della parola; uno dei poeti più creativi del Novecento e, purtroppo, un grande dimenticato della letteratura italiana. Basti pensare a una della sue opere più importanti, L’inaugurazione della primavera , che dopo il 1920 non è mai stata più pubblicata. Solo molti anni dopo la morte del poeta, sarà Edoardo Sanguineti a ridare a Govoni la dignità letteraria che meritava con l’antologia Poesia italiana del Novecento (1969).
Proprio per questa sua propensione alla libertà e alla scrittura che non si piega alle regole né alle mode, Govoni verrà visto sempre con sospetto.
Eugenio Montale nell’articolo “È morto Corrado Govoni poeta fanciullo della natura”, (Corriere della Sera, 21/10/1965) descrisse Govoni come un ‘’poeta fanciullo inebriato di luci e di colori immerso nelle meraviglia della natura’’. Una personalità letteraria pura, dalla potente attività creatrice e dal culto armonioso della parola come mezzo per trasmettere emozioni ma, anche, immagini salvifiche di purezza; in un’esistenza troppo spesso affrancata da brutture e turpitudine, il messaggio poetico di Govoni è dispiegare l’esistere nella meraviglia e nel senso dell’immaginario; ‘acciuffare’ ogni fenomeno che la natura dona agli uomini gratuitamente rendendolo soggettivo attraverso i colori della propria anima.