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Sulle stile di Tommaso Landolfi: sinuoso e avventuroso

Tommaso Landolfi scrive e pubblica negli stessi anni di Giuseppe Dessì. Anche lui è un autore poco conosciuto dal grande pubblico, complice il carattere schivo. Nasce a Pico, in provincia di Frosinone, e perde la madre in tenera età. Si laurea in letteratura russa a Firenze, discutendo una tesi sulla poetessa Anna Achmatova, ed ha modo di entrare in contatto con un ambiente letterario molto ricco, e ciò influisce molto sul suo modo di scrivere: egli inizia la sua attività letterario durante il ventennio fascista, periodo molto “chiuso” a causa dello stretto contatto con le letterature straniere.

Nel capoluogo toscano Landolfi collabora a diverse riviste letterarie, come Campo di Marte e Letterature. Il demone del gioco è al centro della sua produzione letteraria, così come della sua vita, e anche la vanità umana. Salvo brevi soggiorni all’estero, si sposta prevalentemente tra Roma e Firenze.

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Ha un’esistenza appartata, lontana dai salotti intellettuali e mondani, ma nonostante ciò viene a contatto con molti intellettuali, tra cui lo stesso Calvino, che ne curerà un’antologia nel 1982. Anche Carlo Bo ci fornisce molte informazioni su Landolfi, definendolo un personaggio avvolto nel mistero, privo di una posizione politica. Nel 1963 vince un premio letterario, il premio Montefeltro. Nel 1975, lo scrittore ottiene il massimo riconoscimento della sua carriera artistica: con A caso vince infatti il Premio Strega.

Landolfi si ammala, complice anche il clima umido di Pico, e cerca sollievo nelle località liguri di San Remo e Rapallo. Si spegnerà a Ronciglione (Viterbo) l’8 luglio 1979. Il patrimonio letterario lasciato in eredità diviene oggetto di continuo studio e di riedizioni, a opera di Idolina Landolfi. La figlia di Tommaso, si occupa per tutta la vita della cura e della promozione dei testi paterni, fondando nel 1996 il Centro Studi Landolfiano.

Dello scrittore «molto bello e molto pallido» (Natalia Ginzburg) ormai non si può non parlare negli educati circoli dei letterati italiani, e questo rende Tommaso più antipatico di quanto non lo fosse (davvero) quand’era ignoto, ignorato e desideroso di esserlo. Per questioni di diritti Landolfi non fece parte del mucchio selvaggio: lo sostituii con il più algido Federigo Tozzi. Successivamente, i diritti sono venuti al pettine: l’editore Adelphi ha pubblicato Viola di morte (2011), la prima raccolta poetica di Tommaso, edita nel 1972, a cui seguì, nel 1977, in quanto «grave e terribile seguito» (parole sue), Il tradimento (ora Adelphi, 2014), libro ben più bello (che tra l’altro, per quel che conta, ottenne un premio Viareggio).

Italo Calvino paragona l’attività letteraria landonfiana a quella degli scrittori francesi di fine ottocento, mentre Carlo Bo ha più volte dichiarato che Landolfi, subito dopo d’Annunzio, è il primo scrittore in grado di giocare con la lingua italiana. Molti altri critici, hanno associato il macabro presente il Landolfi, a quello dell’autore Edgar Allan Poe.

Lo scrittore toscano ha saputo giocare con la lingua, plasmando le regole della grammatica a suo piacimento, e nei suoi scritti la tradizione, celebrata con periodi sinuosi e formalmente impeccabili, si alterna alle più originali sperimentazioni che, per la loro natura sorprendente e provocatoria, sembrano quasi voler sfidare le risorse della lingua. Le parole per Landolfi sono vive: saltellano gioiose da un periodo all’altro, sempre alla ricerca di nuove avventure.

I temi delle sue opere spaziano dal fantastico al grottesco, dall’insolito al raccapricciante, dall’illogico all’assurdo. Il suo profondo scetticismo verso il reale si esprime nell’arte con il ricorso al gioco e allo scherzo, che mettono in campo un’ironia dissacratoria e inarrestabile. Della quotidianità, i suoi testi valorizzano gli aspetti stravaganti e onirici.

I critici hanno finito per definirlo un surrealista, per via della sua indifferenza verso il clima politico degli anni della Seconda Guerra Mondiale. Sebbene la definizione sia indubbiamente semplicistica, alimentata in gran parte dal netto contrasto fra il suo atteggiamento disinteressato e il tenace attivismo di diversi suoi colleghi, qualcosa di vero c’è: come molti altri artisti, infatti, si sentiva estraneo al suo tempo, giudicato come oscuro e, a tratti, perfino incomprensibile.

About Annalina Grasso

Giornalista, social media manager e blogger campana. Laureata in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con L'Identità, exlibris e Sharing TV

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