1 Quando nasce l’idea di scrivere “Moti di inerzia”?
Potrei dire che ho sempre scritto, fin da quando ho imparato a farlo, e sarebbe la verità: da bambina scrivevo su “quaderni segreti” chiusi da un lucchetto acquistato dal ferramenta (erano molto di moda negli anni ’70 e ’80) poi su quadernini dalla copertina rigorosamente nera e rigida. Ne ho circa un migliaio, ho sempre scritto “per me stessa”, a volte raccontando ciò che mi accadeva altre immaginando “futuri diversi, altre storie che avrei potuto o voluto vivere.
Ma c’è un momento esatto in cui ho desiderato scrivere proprio queste storie che sarebbero diventate un libro. Era l’8 marzo del 2016, avevo convinto alcune amiche ad andare ad ascoltare un mio compagno di classe delle elementari che si esibiva con il suo gruppo musicale in un locale seminterrato in zona Prenestina. Polizia fuori dal locale e musica country dentro. Durante il concerto il mio amico era venuto spesso a chiederci se ci piacesse il concerto, se la birra fosse buona… se l’hamburger cucinato bene … insomma, la sua felicità era palpabile. Lui, che la mattina lavora in una autoscuola e la sera vive per la sua passione: la musica. Rimasi colpita dal mondo fantastico in cui mi aveva fatta entrare: quello delle possibilità. Così cominciai a scrivere, quella sera stessa, ma in un altro modo, con il desiderio “di essere letta”, per avere anche io la mia possibilità: quella di essere riconosciuta come scrittrice.
2 Qual è la paura più grande paura che attanaglia la nostra società?
Non so, non sono in grado di affrontare un tema così ampio e complesso.
Però posso confessarle di avere moltissime paure. Esterne, come la guerra, l’esaurimento delle risorse, il finimondo climatico, e interne, prima fa tutte quella di non essere amata, perdere la salute, perdere il lavoro e non essere “all’altezza”.
La paura più grande dei miei personaggi è quella di fallire. Il fallimento sta lì, come un’ombra che silenziosa fa loro compagnia.
3 In che modo la scrittura può contribuire a cambiare la società ansiogena in cui viviamo?
Purtroppo, non sono Tolstoj e il mio libro non sarà annoverato fra quelli che “cambieranno il mondo”. Pur tuttavia ho vissuto la gioia di sentirmi ringraziare da alcuni di coloro che lo hanno letto e che hanno commentato: “le tue parole mi hanno fatto sentire meno solo”.
4 Gli artisti sono in genere più problematici e nevrotici delle persone “comuni”?
No, coloro i quali chiamiamo “artisti” sono essere umani come tutti, ma certamente con doti di sensibilità e fantasia più spiccate. Ho ascoltato di recente una intervista a Federico Fellini che con grande naturalezza affermava che l’artista “è uno che vive nel suo mondo e che a volte riesce a farci entrare un altro”. Ecco, io sono perfettamente d’accordo con lui.
Quando due anni fa sono andata a Palazzo Ducale a vedere la mostra di Anselm Kiefer sono entrata nel mondo dell’artista, ho vissuto il suo orrore di bambino durante la Seconda guerra mondiale e ho sentito addosso la puzza della polvere da sparo, quella dei cadaveri in putrefazione.
5 Cosa si aspetta da “Moti di inerzia”?
Che chi leggerà questo libro, oltre a “sentirsi meno solo”, possa sviluppare, come me che l’ho scritto, la stessa forma di pietas per i miei personaggi. Sono donne e uomini che rischiano la vita pur di esprimersi come artisti, pur di essere capiti o forse solo di essere amati. Non ultimo mi auguro che il film che sto scrivendo con Stefano Viali, tratto da uno dei capitoli del libro, possa trovare presto una produzione.