Paolo Volponi (Urbino 1924 – Ancona 1994) è scrittore dalla prosa complessa e affascinante ed occupa un posto di rilevo ma sicuramente appartato nella letteratura italiana del Novecento. Sebbene lo si può annoverare tra i grandi autori del ventesimo secolo, non sempre ha goduto di una fama comparabile a quella degli altri grandi narratori e poeti del Novecento. Ma proprio come accade ai grandi interpreti del secolo appena passato, il suo rapporto con la letteratura si sviluppa in maniera atipica: Volponi si guadagna da vivere lavorando alla Olivetti dal 1950 al 1971 e, nel frattempo comincia a scrivere i suoi primi libri di poesie “Il ramarro”(1948), “L’antica moneta”(1955) e “Le porte dell’Appennino”(1960) per il quale vinse il Premio Viareggio e “Foglia mortale” (1974). Tutte le sue raccolte a partire da una poetica tipicamente post-ermetica evolvono verso la forma del poemetto narrativo, preannunciando la svolta verso quella prosa che maturerà negli anni Sessanta.
Nonostante la sua vocazione letteraria è ormai consolidata, continuerà a lavorare nelle aziende, tra cui la Fiat dal 1972 al 1975, nell’area delle inchieste e relazioni sociali, occupando anche mansioni dirigenziali; dalla sua militanza nelle liste del PCI e dal 1992 in quelle del PRC prende avvio quella che sarà la sua carriera di senatore della repubblica italiana coperta dal 1983 fino al 1992.
Irrompe infine nella narrativa col romanzo “Memoriale” scritto nel 1962; l’itinerario di Albino Saluggia delinea uno dei temi guida della poetica volponiana: la rappresentazione ossessiva e simbolica dei rapporti alienati fra individui e strutture di produzione. Con i romanzi successivi “La macchina mondiale” (1965) con il quale vinse il Premio Strega e, “Corporale” (1974) affronta ancora il tema dell’alienazione dell’uomo nella civiltà industriale, oscillando tra l’accezione sociologica del fenomeno e l’accezione clinica, tra il senso di frustrazione e quello della follia, uno status che sembra rendere capaci di attingere e comprendere il mistero delle cose.
Nel 1965 esce il romanzo “La macchina mondiale” e nel 1967 i romanzi “Una luce celeste”, “I sovrani e la ricchezza”, “Accingersi all’impresa” e “La barca di Olimpia”. Nel 1968 seguono il romanzo “Olimpia e la pietra”,“Case dell’alte valle del Metauro” (1989) e “É per un’imprudente vanteria” (1991).
“Il sipario ducale” (1975) ambientato ad Urbino, è liberamente ispirato agli schemi del romanzo avveniristico; “Il pianeta irritabile” (1978). Più legati invece a tematiche dell’adolescenza e agli anni di formazione durante e del post-fascismo i romanzi “Il lanciatore di giavellotto” (1981); “La strada per Roma” (1961-63, pubblicato solo nel 1991) e “Le mosche del capitale” (1989) che ripropongono ancora il confronto tra l’universo chiuso e spietato del potere industriale e la realtà della fabbrica e della città. Gli ultimi scritti sono una raccolta di versi “Nel silenzio campale” (1990); un volume di saggi e articoli “Scritti dal margine” (1994) con una conversazione tra Volponi e Leonetti su temi politici e letterari; e infine postumo “Il leone e la volpe”(1995).
L’opera e la vita di Paolo Volponi testimoniano un vigoroso rapporto con la realtà contemporanea: la letteratura è per lui un modo per investire il mondo della propria soggettività. La sua adesione all’umanesimo non venne mai meno nella sua produzione letteraria affiancata poi dal forte impegno politico. Era convinto che la società industriale potesse e dovesse evolversi in modo democratico e, per questo vede nel comunismo il mezzo ideologico che le grandi masse di uomini sfruttati dall’industria hanno per liberarsi. Non di meno considerò positiva l’industrializzazione polemizzando, per questo, aspramente con Pier Paolo Pasolini, dichiaratamente e decisamente di parere opposto. Ciò che Volponi aberrava non era l’industria in sé ma l’intreccio di trame e poteri occulti, lo strapotere dell’industria, e il degrado morale e culturale del paese. Ed è per questo che è convinto che ciò che scrive «non deve rappresentare la realtà ma deve romperla» e che la lettura dei suoi romanzi non si può fare «stando seduto socialmente, accomodato» ma esige «quella stessa attenzione che [si] adopera nell’innamoramento, (…) quella stessa attenzione con la quale [ci] si accinge a studiare, a scoprire le cose e le persone nuove». Il suo scopo dunque non è semplicemente quello di narrare ma di contribuire al dibattito, alla creazione polemica di un’opinione. Ed ecco che i suoi personaggi isolati, fuori della società sono mossi da un’istanza critica nei confronti del reale che forse, allora come oggi non va più di moda.
“Volponi ha espresso con travolgente naturalezza, con prodigiosa plasticità d’immagini, con struggente semplicità di cadenze il dramma antropologico del nostro tempo: lo scontro mortale fra il mondo della natura, e della laboriosità umana e il mondo del capitale e del lavoro alienato”.( Giovanni Raboni)