Se c’è stato un critico, tra tutti quelli che contano nel Novecento, capace di pervenire ad un giudizio attraverso un modo tutto proprio di leggere e di capire un’opera letteraria, questi risponde al nome di Giuseppe De Robertis (Matera, 7 giugno 1888 – Firenze, 7 settembre 1963). Il critico nato a Matera ha dimostrato infatti di dare peso come pochi all’atto del leggere; perché bisogna anche sapere leggere per poter essere in gradi di dar un giudizio valido come ha affermato lo stesso critico nel volume “Scrittori del Novecento”:<<Alla fine il vero modo di leggere si capisce dal modo come si giudica>>.
Nella sua città natale De Robertis compie gli studi ginnasiali e liceali, e nel 1907 si trasferisce a Firenze dove completerà anche gli studi universitari, allievo di grandi filologi e storici come Parodi, Mazzoni, Vitelli. Nel 1912 inizia a collaborare con rivista letteraria <<La Voce>> e negli anni successivi ne diventa direttore con il consenso di Giuseppe Prezzolini suo predecessore. Durante la sua direzione, la rivista accoglie scrittori come Ungaretti, Cacchelli, Campana. Dopo aver insegnato materie umanistiche presso il Conservatorio di Firenze, nel 1920 gli venne assegnata la cattedra di Storia della letteratura italiana presso l‘Università di Firenze.
Da questo momento comincia la sua ricca produzione critica, scegliendo lo “Zibaldone” di Giacomo Leopardi e le poesie di Salvatore Di Giacomo, argomento peraltro della sua tesi di laurea. Dopo un breve periodo a Bologna, ritorna a Firenze per insegnare materie letterarie presso il Conservatorio L. Cherubini.
Oltre a collaborare con le più importanti riviste del Novecento, tra cui Pegaso e Pan, De Robertis scrive interessanti analisi critiche, di edizioni commentate, degli autori classici, e specialmente le poesie di Poliziano, di Foscolo oltre che del già menzionato Leopardi. Da queste analisi si percepisce l’attenzione che De Robertis aveva nei confronti dei valori lirici ed un raffinato gusto per lo stile ai fini di creare un collegamento tra fra critica militante e cultura accademica, tra critica dei classici e dei contemporanei.
Totalmente concentrato nella lettura, De Robertis fa di questo sua convinzione un vero e proprio principio; non bisogna aggredire gli scrittori secondo De Robertis, ma bisogna entrare nel loro mondo in punta di piedi, discretamente, dato che la bellezza delle parole (il critico fa riferimento soprattutto alla poesia) non è facilmente accessibile e solo un modo giusto di leggere può permetterci di carpire se non tutto, almeno parte del segreto di un romanzo, di una poesia, di un racconto, di una novella.
L’approccio critico di De Robertis è simile a quello del suo collega ed amico Renato Serra, il quale si opponeva in gran parte alla critica rappresentata da De Sanctis e da Croce; <<De Robertis lavora con accresciuta coscienza storica dell’estetica>> come giustamente nota Giovanni Titta Rosa in “Vita letteraria del Novecento” (Secondo volume), allargando i suoi orizzonti critici, esercitando una grande esperienza poetica e letteraria.
Se Leopardi attraverso lo “Zibaldone” e “Le operette morali” ha fornito al critico un gusto raffinato, “I discorsi sulla lingua italiana” di Foscolo gli ha fatto ricordare quell’idea di arte vichiana e carducciana. Da qui, secondo Titta Rosa, <<si vede come questo lettore, che affida il suo giudizio critico al principio del “saper leggere”, le sue carte in regola le ripeta dai grandi; anche se poi gli può capitare di spenderle, ma con oculata discrezione, a contatto di varie occasioni>>.
La linea seguita da Giuseppe De Robertis è sincera e vera ma il suo è un metodo che necessita di una scelta; egli sa leggere perché, in fondo, sa scegliere i suoi scrittori, lasciandosi guidare dalle loro parole.