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La pelle di Malaparte

‘La pelle’: il viaggio nel ventre di Napoli di Curzio Malaparte

Kurt Erich Suckert, in arte Curzio Malaparte ha raccontato il canto del cigno della Napoli durante la seconda guerra mondiale nel suo romanzo più conosciuto, La pelle, un viaggio inquietante ed atroce nel ventre di Napoli (1950).

Lo pseudonimo è stato da lui ideato basandosi in chiave umoristica sulla paranomasia del termine “bonaparte”. Definito “cinico e compassionevole”, sostenitore in un primo momento del fascismo, giungendo in seguito ad opporsi ad esso, Malaparte è stato uno scrittore dallo stile realistico e a tal proposito Eugenio Montale ha detto di lui: «Un parlatore squisito e un grande ascoltatore pieno di tatto ed educazione».

La fama di Malaparte è cresciuta soprattutto all’estero con i romanzi Kaputt (diario di guerra che evidenzia le atrocità di quest’ultima tra cui le deportazioni degli ebrei rumeni, e spesso accusato di autocompiacimento) e La pelle. Quest’ultimo romanzo, continuazione di Kaputt, è stato pubblicato nel 1949 presso le edizioni Aria d’Italia e ripubblicato con Adelphi, non è altro (così come il romanzo precedente) che un resoconto autobiografico in cui l’autore narra dell’occupazione alleata in Italia dal 1943 al 1945 e ambientato per la maggior parte a Napoli. Si tratta infatti dell’esperienza di guerra dell’autore stesso quando ha svolto funzioni di ufficiale di collegamento aggregato all’Alto Comando Americano in Italia.

Prima dell’incipit, Malaparte  ha apposto tale dedica: «All’affettuosa memoria del Colonnello Henry H. Cumming, dell’Università di Virginia, e di tutti i bravi, i buoni, gli onesti soldati americani, miei compagni d’arme dal 1943 al 1945, morti inutilmente per la libertà dell’Europa».

Malaparte, che durante la seconda guerra mondiale ha lavorato come giornalista, pone a confronto l’innocenza degli americani con la disperazione di un popolo ormai sconfitto, una città vinta in un mondo di vinti, mettendo soprattutto in dubbio e concentrando la sua attenzione sulle interpretazioni moralistiche del conflitto. Il soffermarsi sulla situazione partenopea, la sua decadenza, la disperazione degli abitanti che sono disposti a far di tutto pur di sopravvivere (addirittura vendere i propri cari, o la dignità), è un po’ come evidenziare la presunta fine dell’Occidente. Napoli è vista dunque come metafora dell’Europa.

Tra le scene descritte nel romanzo non possiamo non annoverare la bellissima descrizione dell’eruzione del Vesuvio. Gli uomini che scappano, il caos totale, Vesuvio visto come forza purificatrice che può debellare il morbo insinuatosi nella città. Quindi una “rinascita”: distruggere per ricostruire, cancellare per ridisegnare.

La Pelle è una “rivelazione d’orrori” e Malaparte rimanda continuamente a tumulti provenienti dai vicoli della città, voci, clamori, una città che si sente attaccata. L’autore è stato spesso accusato non solo di aver descritto i “giorni bui” dell’occupazione alleata, interpretandoli secondo la sua visione, ma addirittura di provare gusto con queste macabre descrizioni (corpi straziati, sangue ovunque, miseria), oltre alle pagine definite “dello scandalo” dove emergono dettagli come le parrucche bionde sui sessi delle brune per invogliare i neri, la figliata omosessuale, insomma scene forti, inconsuete, che restano impresse quasi fossero un oltraggio ai napoletani.

Il critico Emilio Cecchi si è espresso negativamente nei confronti del romanzo di Malaparte, definendo l’autore un “fabbricante di bolle di sapone terroristiche”. Malaparte dal canto suo ha raccontato a suo modo come aveva partecipato alla liberazione di Napoli e di Roma insieme alla Vª Armata del generale Clark attraverso il tema dell’ orrore dei vinti e gli abusi dei vincitori, rappresentato in una Napoli che era stata popolata da un ciarpame di fatti e di misfatti, alcuni veri, altri  inventati di sana pianta, con uno stile che va dalla decadenza dannunziana all’espressionismo, dal barocco al surrealismo. Secondo alcuni infatti l’intento dello scrittore è stato quello di mostrare che tutti (o quasi) gli americani erano stupidi, mentre che gli italiani, e soprattutto i napoletani erano ignobili e squallidi; tra le due misere categorie si illumina di luce propria  l’unico  onesto, intelligente, raffinato che era proprio Curzio Malaparte, ascoltato dai generali americani ai quali impartiva lezioni di buone maniere e di storia italiana, e rispettato da tutti. Considerazioni legittime ma probabilmente l’intento di Malaparte andava ben oltre l’autocelebrarsi come unico detentore della cultura e dell’educazione italiana, sebbene ci presenti immagini e situazioni “d’alta macelleria” che mirano a colpire la coscienza e la sensibilità di ognuno di noi.

La pelle è un romanzo iperrealista, intriso di lirismo, arricchito di precise descrizioni ambientali (alla Maupassant: <<Simile a un osso antico, scarnito e levigato dalla pioggia e dal vento, stava il Vesuvio solitario e nudo nell’immenso cielo senza nubi, a poco a poco illuminandosi di un roseo lume segreto, come se l’intimo fuoco del suo grembo trasparisse fuor della sua dura crosta di lava, pallida e lucente come avorio: finché la luna ruppe l’orlo del cratere come guscio d’uovo, e si levò estatica, meravigliosamente remota, nell’azzurro abisso della sera>>, e ancora: <<Gli anni, la pioggia, il sole, l’abbandono, hanno stancato, addolcito quel rosso vivo, dandogli il colore della carne, qua rosea, là chiara, più in là trasparente come una mano davanti alla fiamma della candela. E fossero le screpolature, fossero le verdi macchie di muffa o quei bianchi, quegli avori, quei gialli smorti, propri della carne umana già stanca, già vecchia, già solcata di rughe, già prossima all’ultima, meravigliosa avventura del disfacimento. Grasse mosche erravano lentamente su quel muro di carne, ronzando..>>.

La vera oscenità del romanzo non sta tanto del descrivere il cannibalismo pagano puramente estetico, che ha irritato e scandalizzato la Chiesa, ma la tragedia che investe vincitori e vinti i quali si divorano a vicenda, l’umanità perduta di una città, il suo nichilismo, la sua inquietudine. I limiti de La pelle sono semmai individuabili nella resa dei personaggi e nella trama stessa, assoggettate dalla “bellezza” delle descrizioni rese nei  minimi particolari secondo un periodare frenetico, così come il susseguirsi delle scene e degli eventi. Malaparte dunque non è più scrittore, né uno storico; il suo intento è quello di fornire un’opera d’arte. Nel 1950 il romanzo, proprio per le sue crude descrizioni della vita quotidiana (spesso sfocianti in grottesco) è stato condannato dal Vaticano e messo all’ Index Librorum Prohibitorum.

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