Seta è il terzo romanzo di Alessandro Baricco, edito dalla casa editrice Rizzoli nel 1996, ultima opera del ciclo narrativo “ottocentesco”, che ha ispirato anche il film omonimo del 2007 diretto da Francois Girard. Seta si ispira più allo stile della sceneggiatura cinematografica e del racconto che a quella del romanzo di ampio respiro, modalità che quasi “preannuncia” la struttura di Novecento, infatti è diviso in 65 brevi sequenze e privilegia gli spazi bianchi, i sintagmi brevi, paratattici, e l’iterazione cantilenante, dividendo sovente il complemento oggetto dal verbo:
Hervè Joncour aveva 32 anni.
Comprava e vendeva.
Bachi da seta.
Seta si differenzia dai precedenti romanzi anche per la semplicità e la ‘leggerezza’, come la seta, appunto, metafora e pretesto propulsivo del racconto e della sua ‘trasparenza’; la presenza di chiari indicatori temporali che delimitano l’epoca in cui si svolge la storia, siamo nella Francia del 1861; la mancanza di un vero gruppo di protagonisti, non è un romanzo corale, l’azione ruota interamente attorno a Hervè. La trama narra le vicende di Hervè Joncour, un ex militare che abbandona la carriera scelta per lui dal padre per mettersi in affari con un imprenditore nel settore tessile, Baldabiou, proprietario di una filanda a Lavilledieu. Il compito di Hervè è viaggiare lungo la via della seta dalla Francia al Giappone, dopo un’epidemia che ha coinvolto i bachi da seta in Africa, per acquistare bachi da seta sani. Il viaggio dura molti mesi, dato che ancora non era stato aperto il canale di Suez, che lo tiene spesso lontano dalla moglie Helèn.
Il tema del viaggio richiama molto le lunghe assenze del signor Rail di Castelli di rabbia ed Helèn ha vari punti in comune con Jun, la quale attende paziente il ritorno del marito a casa. Così come nel primo romanzo di Baricco, anche qui si inserisce un tradimento all’interno della coppia, ma in Seta non si concretizzerà mai, è solo immaginato. Hervè si invaghisce di una ragazzina conosciuta in Giappone, in casa di Hara Kei, l’uomo che commercerà con lui i bachi da seta, ma non riuscirà mai ad avvicinarla davvero, crederà infatti per lungo tempo di aver ricevuto da lei una lettera d’amore per poi scoprire tredici anni dopo la morte della moglie che era stata proprio lei, Helèn, a scriverla, desiderando per amore di far cessare quell’insana ossessione e al tempo stesso di sovrapporre la sua immagine a quella dell’amante e ricevere così, indirettamente, le fantasie del marito.
Lo stile narrativo di Seta che tende a isolare segmenti di racconto entro cornici bianche, richiama la Leggenda di San Giuliano Ospitaliere di Flaubert, come contenuti invece il tema del viaggio e il mistero vagheggiato dell’Oriente collegano l’opera alle Città invisibili di Calvino. Seta è diventato un vero e proprio caso editoriale che ha fatto discutere i salotti della critica letteraria: Spiega il critico Bianciotti:
«Ma che cosa sta succedendo? Ho incomiciato a domandarmi. Un quarantenne italiano scrive un romanzo di 100 rade paginette e ha un successo mondiale; lo stesso è accaduto a Christophe Bataille, con le 90 pagine del suo Signore del tempo già pubblicate in Italia da Einaudi; e presto sentiremo parlare di Eduardo Berti, un argentino, vero e proprio fenomeno in America Latina. I suoi testi brevi cominciano dalla Francia la scalata all’Europa. Risultati impensabili qualche tempo fa, anche perché nessun editore avrebbe mai creduto in romanzi così esili. Stiamo andando verso la brevità. Seta mi ha fatto venire in mente Calvino e Augusto Monterroso portato ad esempio nelle Lezioni americane per il racconto più corto mai scritto. Questa è la tendenza attuale. La gente ha fretta e perciò sente il bisogno di leggere romanzi concisi e possibilmente ben scritti. Vuole delle nane bianche, quelle stelle piccole ma ad altissima densità di materia. Come le opere di Borges, le novelle di Kafka o i racconti di James».
Calvino la chiamava «rapidità». E, ascoltando Bianciotti, è facile intuire quanto bisogno abbia dell’«esattezza». Ma c’è un’altra caratteristica che accomuna i romanzi di Baricco ai suoi omologhi per brevità e successo: «La lontananza dall’attualità. Pare proprio che l’inconscio collettivo sia in cerca di pace e serenità. Altrimenti perché al tempo del rock e del rap, alla radio, qui in Francia, non si sente altro che musica barocca? Antichi strumenti e delicate note, contro la “pesantezza”, che so?, di Mahler. E, mutatis mutandis, contro il peso del presente nella letteratura e fors’anche nella vita» (Bianciotti). Un modo di interpretare la «leggerezza», insomma. Non mancano che la «visibilità» e la «molteplicità». Chissà se Calvino sarebbe soddisfatto.
Hervè Jancour è il reale protagonista del romanzo, unico punto focale della storia che lascia gli altri personaggi solo sulla soglia della scena, è un nomade, un uomo alla continua ricerca di qualcosa che sia lontana dalla sua vita apparentemente felice e convenzionale a Lavilledieu e la trova nel fascino misterioso ed erotico del Giappone, rappresentato per lui dalla sensualità di una giovane fanciulla conosciuta alla ‘corte’ del commerciante Hara Kei:
D’un tratto,
senza muoversi minimamente,
quella ragazzina,
aprì gli occhi.
Hervè Joncour non smise di parlare ma abbassò istintivamente lo sguardo
su di lei e quel che vide, senza smettere di parlare, fu che quegli occhi
non avevano un taglio orientale, e che erano puntati, con
un’intensità sconcertante, su di lui: come se fin dall’inizio non avessero fatto
altro, da sotto le palpebre.
La giovane senza nome diviene così la sua vera motivazione per ritornare in Giappone, nascosta sotto la falsa ambizione professionale. Durante l’ultimo dei suoi quattro viaggi in Giappone scopre le condizioni di un Paese in lotta, si trova ad attraversare una guerra civile e a dover abbandonare per sempre il suo proposito di rivedere la ragazza che popola le sue fantasie. L’immagine del Giappone che viene rappresentata è quella di un Paese in transizione verso un nuovo ordine, visto ancora legato al fascino e alla tradizione che ha reso da sempre l’Oriente oggetto di fantasie nell’immaginario collettivo, un Paese agli antipodi del mondo, scrigno di segreti inconfessabili e rituali a noi sconosciuti, regno della sensualità, della legge dell’onore e di uno stile di vita dove la lentezza, la leggerezza, la sacralità assumono un significato distante da noi occidentali.
-Il Giappone è un Paese antico, sapete? La sua legge è antica: dice che ci sono
dodici crimini per cui è lecito condannare a morte un uomo.
E uno è portare un messaggio d’amore della propria padrona.
All’ordine di Hara Kei, venuto a conoscenza dell’ossessione della sua giovane amante per il commerciante francese, Hervè Joncour abbandona per sempre l’Oriente senza opporsi particolarmente e accetta questa condizione offertagli dalla vita con rassegnazione. Hervè è infatti un individuo che subisce la storia e lo sviluppo, senza né volere e né potere incidere sul loro corso:
Era d’altronde uno di quegli uomini che amano assistere
alla propria vita, ritenendo impropria qualsiasi
ambizione a viverla […].
Compì 33 anni il 4 settembre 1862. Pioveva la sua vita, davanti.
ai suoi occhi, spettacolo quieto.
È un inetto, uno spettatore passivo della sua vita, è un vinto dalla vita per non aver mai attraversato la linea di confine tra il reale e l’immaginato, perdendo di conseguenza tutte e due le donne della sua vita, quella reale e quella immaginaria. Vive un’esistenza a metà, fra Lavilledieu e la meta dei suoi viaggi, non essendo mai realmente in nessun luogo, infatti nonostante siano specificati i nomi delle località in cui si trova a vivere o a sostare in realtà sono tutti luoghi simbolici, potrebbero trovarsi lì o in qualsiasi altro posto senza fare alcuna differenza, sono luoghi della mente alla pari della Locanda Almayer di Oceano mare e di Quinnipak di Castelli di rabbia. Hervè vive una menzogna creata per lui dalla moglie per divenire parte delle fantasie del marito, infatti Helèn chiede a Madame Blanche, una prostituta giapponese trasferitasi da tempo in Francia, di tradurre per lei una lunga appassionata lettera d’amore che rappresenta l’amplesso mai consumato fra il marito e l’amante, immaginando di essere lei, per poi spedirla con falso mittente a Hervè. L’uomo crederà per anni di aver ricevuto davvero quella lettera dal Giappone, ignaro del ruolo giocato nella vicenda dalla moglie.
Quando viene a sapere la verità l’accetta con la solita rassegnazione e cambia il corso della sua esistenza, trovando finalmente un baricentro. Hervè Joncour racchiude in sé molte delle caratteristiche riscontrate precedentemente nei primi due romanzi di Alessandro Baricco presi in analisi, non a caso Seta concentra l’attenzione del lettore interamente su di lui, poiché è un personaggio contenitore che ha in sé il desiderio di evasione di Dann Rail e al tempo stesso la frustrazione del desiderio insoddisfatto a lungo di Jun Rail, la lungimiranza di Hector Horeau e di Pekish per il progresso e la rassegnazione di Bartleboom e di Plasson dopo aver perduto l’ardore che accendeva i loro sogni. In realtà la perdita dell’utopia non svanisce lasciando solo vuoto dietro di sé, conduce Hervè e dunque tutti i personaggi baricchiani su di una nuova riva, che è la normalità, un ritorno a casa. Al quale sembra aspirare Baricco stesso.