Pochi giorni dopo la tanto celebrata festa della donna, la speranza comune è che la società sia, finalmente, arrivata ad un punto di vita, sviluppo e maturità in cui l’associazione mentale che scatta pensando alle donne comprenda almeno un concetto tra i quali: intelligenza, forza, fierezza, tenacia, desiderio di libertà ed indipendenza.
E ci si può facilmente illudere che sia veramente così; il 2014, per esempio, ha regalato svariati esempi di personalità femminili brillanti: Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana che raggiunge lo spazio, Fabiola Gianotti è diventata direttrice al Cern, a Ginevra, il premio nobel per la pace 2014 è andato a Malala Yousafzai, e così via.
Ma poi, nelle librerie si inciampa in Sophie Kinsella e nel suo best seller I love Shopping e si capisce come il femminismo sia grondante di eccessi e di lati oscuri e ci si ci chiede come la protagonista di tale scempio letterario possa essere così evanescente, superficiale, nonché meschina (come dimostra l’invenzione del molestatore). I love shopping altro non è che il tripudio di tutti gli stereotipi più noti per farsi beffa del genere femminile, con compiacenza delle donne stesse (cominciato con Il Diavolo veste Prada, di Lauren Weisberger), è l’incarnarsi della bionda senza cervello, è il mito corrotto del vendere il proprio corpo in cambio di denaro e successo, è l’importanza assoluta dell’aspetto esteriore e del mito del marchio, dell’abito griffato. È una bellezza falsa, lontana anni luci dalla bellezza del dandy e dell’esteta.
La trama segue le giornate di Rebecca, una giovane giornalista di provincia che, dopo essersi trasferita nella grande città in cerca di successo, resta intrappolata nel fascino delle vetrine costose e luccicanti, del lusso e degli sprechi, finendo col cedere ad una frivolezza stupida ed infantile, che la porta a nascondere la testa sotto al cuscino ad ogni difficoltà, anziché affrontare le responsabilità del quotidiano. Si tratta di un personaggio al limite della credibilità e del ridicolo, ma che non può e non riesce a provocare né empatia né sorrisi sarcastici, tantomeno simpatia o il desiderio di un lieto fine, ma soltanto sdegno con i suoi comportamenti che rappresentano un vero e proprio insulto nei confronti dei veri lavoratori, delle persone che sì, sono ambiziose, ma che comprendono che sono necessarie costanza e sforzo, orgoglio, spirito e voglia di lavorare su se stessi per raggiungere gli obiettivi che si sono preposti.
E ancora una volta, un libro alla portata di tutti, un romanzetto rosa noioso che non riesce ad essere ironico e che può facilmente finire nelle mani di menti basiche, come quelli delle ragazzine che si affacciano alla società, che sognano il principe azzurro per sistemarsi; ciò non è altro che l’immagine di una esistenza devota alla vita facile, uno specchietto per le allodole, che cadranno in trappola, come dimostrano le vendite stesse di questo volume e dei successivi, dei Best Seller. E in effetti il personaggio vacuo di Rebecca è poco credibile (nonostante l’autrice abbia spesso tenuto a sottolineare retoricamente che c’è una Rebecca in tutte noi), irritante ma che dà una speranza a tutte le ragazze senza cervello, della serie se ce la fa Rebecca ad accalappiarsi un uomo ricco pur essendo sciocca e meschina, può farcela chiunque! E non è un caso se, spulciando nel web, la maggior parte dei commenti siano positivi e provengano da donne che si immedesimano nella protagonista o che vorrebbero avere la sua fortuna.
Non solo I love shopping, ma anche I love shopping A New York, con mia sorella, in bianco, per il baby, mini shopping, a Hollywood trasposizione cinematografica annessa (brutta copia de Il diavolo veste Prada e di Sex and the City, peraltro). Insomma, l’importante è comprare, spendere, apparire. Questa è la società consumistica e del falso, in cui conta solo possedere, impegnarsi poco, essere approssimativi, ma emergere comunque. Non c’è dubbio che delle donne frivole abbiano trovato il libro divertente ed entusiasmante innalzandolo a loro manuale di vita.
L’unica speranza è che prima di questo, qualche lettore sia inciampato nel noto Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry e abbia memorizzato un unica breve frase: l’essenziale è invisibile agli occhi.