Moscou dans les sous bois, “Mosca nei sottoboschi”, opera del 2007 che potrebbe apparentemente sembrare un reportage o una cronaca dei fatti, è in realtà solo una testimonianza delle osservazioni fatte da Annette Carayon, insegnante di linguistica presso l’Università di Mosca e al servizio del ministero degli Affari esteri, sulla Russia degli anni ottanta e su quella dei giorni nostri, con al centro un enorme salto generazionale e con un territorio completamente stravolto dalla storia che noi tutti conosciamo, fatta di accadimenti che hanno lasciato alcuni aspetti immutati ed altri che invece si presentano come delle novità. Annette li registra tutti, con l’occhio lucido ed attento di chi vuole fornirci gli strumenti per arrivare ad una lettura nostra su quello che è il ”mondo Russia”, scevra da ogni influenza o pregiudizio di sorta.
Annette Carayon annota nel suo testo, il racconto degli incontri quotidiani fatti nei luoghi dove ha insegnato durante gli anni più critici per l’Unione Sovietica, ovvero quelli che hanno visto la caduta del regime comunista, la fine o l’inizio di un’epoca. E ci ritorna con l’imparzialità di chi si limita a raccontare, senza l’intenzione di imporre il proprio punto di vista, una città fatta non da moscoviti ma solo da alcuni moscoviti. La Mosca descritta da Annette è infatti quella di tutte le persone che, di volta in volta, si propongono sul suo cammino: professori e colleghi di lavoro, amici, vicini, passanti e sconosciuti ma ognuno con il proprio nome e la propria versione dei fatti; l’umanità intera nella sua varietà e complessità, sovietica, s’intende.
Il senso di meraviglia che pervade il testo è una condizione costante, in quanto, pur conoscendo bene la città e chi la popola, Annette scopre ogni giorno qualcosa che rovescia le certezze acquisite e fornisce nuove chiavi di lettura su ciò che è diventata la società russa, stremata, in balia degli eventi, facilmente influenzabile da paesi come la Cina ed impotente difronte a delle situazioni ingovernabili. Eppure la forza dei russi risiede proprio in questo: nell’accettare la trasformazione accogliendo un’idea di democrazia che sembra piuttosto assurda agli occhi di noi occidentali, preservati dalla catastrofe ed ignari sul ”dopo”.
Tuttavia, la Russia, grazie al suo forte senso patriottico, riesce a sopravvivere e a tenere la testa alta, ogni azione è motivata ed ha un senso che sottintende la volontà di voler resistere, quando tutto attorno sembra crollare. Ogni capitolo di questo diario di Annette, si presenta come inserito nel meccanismo delle scatole cinesi, o forse dovremmo dire più propriamente, come una matrioska nella matrioska? Simulacro di un identità che, faticando ad essere celebrata, si autocelebra e definisce anche i suoi limiti? Le storie che s’intersecano si riferiscono ad episodi molto differenti ma uniti dal collante della memoria; chi ha vissuto la guerra da piccolo comprende le attuali guerre giornaliere non meno di chi, ormai invecchiato, ne ha preso parte attiva, poi c’è chi lavorava ed ora ha perso tutto, continua a farlo, continua a lavorare.
L’uomo di Russia non ha timore o paura, si schiera e si difende. Si tratta più o meno dello stesso meccanismo delle scatole cinesi che incastra eventi distanziati anni luce nel tempo, implicandoli. Anche Mosca, del resto, non può prescindere dalla sua origine, dalla sua storia e dal suo passato, eternamente vincolati. E non è collocabile in nessun luogo che non sia quello dell’universo sovietico, anche questo, eterno punto interrogativo.