LA BRUTTEZZA IN FEDERIGO TOZZI (“Il Podere”, “Ricordi”, “Con gli occhi chiusi”)
Nei romanzi di Federigo Tozzi, persino i personaggi che si presentano positivi, scoprono quasi subito un particolare sgradevole. Ed ecco che l’avvocato Neretti, a quale ricorre il protagonista del Podere Remigio Selmi: egli è un ex compagno di scuola di Remigio che dovrebbe cercare di risolvere i problemi relativi alla difficile successione nella proprietà del podere che Remigio ha ereditato dal padre. Neretti gli insegna però a manovrare in maniera astuta le cambiali e l’ingenuo Remigio non si rende conto che in quei consigli c’è nel losco. Ma, non appena il protagonista della vicenda esca dalla scena, Tozzi fornisce un ritratto dell’avvocato come se volesse smascherarlo:
“Aveva trentadue anni; piuttosto magro, con un ciuffetto nero e due anelli d’oro alle dita. Quando rifletteva, teneva la bocca chiusa e mandava a ogni momento il fiato giù per il naso, strizzando gli occhi rotondi; come se fossero stati troppo grossi per le loro palpebre”.
Non sentendosi osservanto, l’avvocato sa di non dover più recitare una parte e scopre i suoi connotati sgradevoli; è un ritratto che sfocia in una caricatura priva di intenzioni umoristiche, ma precisa testimonianza del vero, della realtà. I tratti fisici sembrano essere accentuati ancor di più dalla cattiveria e dal sadismo che Tozzi sceglie per caratterizzare quell’uomo.
Tozzi perseguita i suoi personaggi, singolare è l’uguaglianza che egli pone tra la vita e la gente che conosce: i personaggi sono le incarnazioni della vita, inquietanti e moleste; è evidente la crisi razionale e deterministica della persona, crisi che era stata indicata dal filosofo Carlo Michelstaedter in Persuasione e la rettorica, che presenta un apagina sul terrore che i bambini hanno dell’ignoto, quando finiti i giochi restano soli a guardare l’oscurità (“si trovano con la piccola mente a guardare l’oscurità”).
Le figure proposte dallo scrittore toscano non hanno un ordine, eppure il loro mostrarsi e sparire, narra davvero il bisogno stesso di narrare di Tozzi, rievocando e muovendo dei personaggi nel tempo, che fanno aspettare una storia nel tempo. Chiedono una storia, glielo si legge in volto, la storia di quel male inflitto all’autore. E quindi possiamo vedere nei Ricordi, l’uomo “con i piedi deformi e ripiegati in dentro che andava a sedersi, tutto il giorno, sotto le Logge dei Lanzi” e “il compagno di scuola, “un imbecille grasso, con gli occhi porcini e un braccio paralizzato al quale mancava il pollice”. Tozzi non si lascia impietosire nemmeno da una menomazione, anzi pare rincarare la dose nel provare ribrezzo per questo ragazzo che oltre ad essere sfortunato è anche un imbecille.
Non v’è dubbio che Tozzi, nelle sue descrizioni, nei suoi racconti, rasenti momenti surrealistici, si tratta ovviamente si un surrealismo ante-litteram, ma lo scrittore ha anticipato la scrittura automatica oer quel moto di associazione libera con cui si susseguono le mostruose immagini, organizzando persino una logica temporale plausibile. I questo senso Tozzi è un artista, in quanto il suo io interviene della sua totalità.
Naturalmente è presente il dato autobiografico, basti pensare a come Tozzi descrive lui stesso nel romanzo Con gli occhi chiusi con una “camminatura da epilettico”; ossessionato dalla malattia nervosa, Tozzi ricorda sua madre, ammalata di epilessia. Nel suo caso, l’atto volontario che organizza, rispettandone la dispersività e la discontinuità, la materia di Con gli occhi chiusi dall’atto che costruisce il successivo Tre croci, romanzo troppo decantato.
Ritornando al romanzo Con gli occhi chiusi, Tozzi sottolinea anche l’aspetto deformato della padrona della casa di appuntamenti che frequenta Ghisola, la ragazza di cui si innamora il protagonista Pietro:
“Anna lasciò la trina; e arrossendo mise una mano sopra la tavola, alla luce; facendola vedere da ambedue le parti: era piccola e grassoccia, con le unghie corte e gonfie”.