“Amon. Mio nonno mi avrebbe ucciso”, è il titolo del libro-testimonianza che Jennifer ha scritto con grande dolore e senso di liberazione per una storia drammaticamente ingombrante. L’esordiente scrittrice è figlia di una tedesca e di un nigeriano, e ha scoperto a 38 anni di essere la nipote di un assassino nazista. Suo nonno infatti era Amon Göth, uno dei boia di Hitler, fra i principali responsabili dell’Olocausto.
Olocausto, uno dei temi più delicati e difficili da trattare, in qualsiasi formato esso venga presentato: ci sono libri e film passati alla storia, indelebili nella memoria, e che portano con sé l’obbligo morale di diffonderli, farli conoscere, perché se capire è impossibile, conoscere è necessario. Olocausto, un tema che si può provare ad affrontare solo facendosi un esame di coscienza, solo dopo aver riflettuto sul valore della vita, sulla storia che si ripete, solo dopo aver tempestato e messo in crisi l’io, perché non si può avere la certezza di sapere chi saremmo stati o cosa avremmo fatto, se alle scuole elementari fossimo stati nutriti di ideologia nazista. Olocausto, un tema che sfidiamo, senza mai essere pronti .
Senza dubbio si tratta di un argomento che ha mille diverse sfaccettature, non tutte conosciute, perché mentre la scuola giustamente insegna la storia, mostra i dati dell’incredibile numero di vittime e, talvolta con scarsi risultati, insegna il rispetto della diversità, pochi sono gli studenti che si trovano a riflettere su un lato di questo atroce periodo storico, che ha messo in crisi una generazione specifica, o meglio due: i figli delle vittime, con un misto di odio, rancore ed incredulità, ma non solo.
Pochi riflettono sull’ombra che i genitori, o i nonni, nazisti hanno proiettato e continuano a proiettare, sulla propria discendenza. Figli e nipoti segnati da un’oscura presenza, da una lotta lunga ed intrinseca, nel definire la propria posizione nei confronti di persone che un bambino per natura è portato ad amare, ma che la società dipinge come mostri, non meritevoli di tale amore, che agli occhi esterni è sbagliato, crudele.
La storia dei figli e dei nipoti dei grandi generali nazisti passa troppo spesso inosservata, vittima del pensiero comune che le vittime sono solo da un lato, o è bianco o è nero, i buoni e i cattivi, la ragione ed il torto. La violenza, le atrocità non sono messe in dubbio, ma è necessario andare più a fondo e capire le conseguenze di una mentalità atroce ed errata, per scoprire che le radici sono ancora radicate sotto terra, ed hanno grande influenza sui frutti, che pur cadendo il più lontano possibile dall’albero originario, avvertono dentro di sé un lato che deve rimanere nascosto, perché portarlo a galla è impensabile. Questa è la storia di persone come Monika Goth, figlia di Amon Goth, non un semplice padre, ma l’uomo passato alla storia in Schlinder’s List, per la sua abitudine di svegliarsi fucilando dal terrazzo gli ebrei del campo di Plaszow, il suo campo di divertimento.
Pochi si documentano sulla generazione di Hitler, vissuta nell’ombra. Neanche Jennifer Teege sapeva molto di loro, pur essendo una persona attenta e curiosa, pur avendo vissuto in Israele, pur essendo tedesca. Una tedesca particolare, dalla pelle ambrata, figlia di madre tedesca e padre nigeriano, un mix quantomeno inusuale quando Jennifer nacque, l’unica bambina nera della sua scuola. Da un lato, una vita assolutamente normale, quella di Jennifer, una volta entrata nella famiglia Teege, che la adottò dopo un periodo di affidamento. Normale, finché, a 38 anni, un libro tra tanti le cambia la vita, un libro sulla sua famiglia, quella biologica. E Jennifer si scopre nipote di Amon Goth, uno dei più crudeli capi nazisti della storia. Proprio lei, che porta in sé sangue nigeriano, proprio lei che ha vissuto per anni in Israele, creando forti legami con le persone che vi vivono, lei che crede nel rispetto e nella dignità, lei, nipote di Amon Goth. Una sola conclusione è possibile: suo nonno la avrebbe sicuramente uccisa.
Dopo il periodo di depressione, dopo i viaggi per Plaszow ed alla casa di Amon, dopo essere riuscita ad affrontare la propria famiglia adottiva e la madre biologica, dopo aver trovato il coraggio di parlare nuovamente con i vecchi amici di Israele, Jennifer Teege ha scritto il suo libro, la sua cura, forse, in cui descrive al mondo cosa significa scoprire la propria identità.