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La via smarrita

“La via smarrita” di David Valentini: filosofia in versi

“Se la poesia non viene naturalmente come le foglie vengono ad un albero, è meglio che non venga per niente”; si esprimeva in questi termini il grande poeta inglese John Keats, e come dargli torto? Nella compagine letteraria italiana attuale, spesso ci si imbatte in opere “furbette”, in linea con le strategie del marketing editoriale, ma impersonali, artificiose, che comunicano poche emozioni al lettore. La via smarrita (Eretica Edizioni, 2015) del giovane autore romano David Valentini, classe 1987, rappresenta un’eccezione nel nostro panorama letterario, in primis perché si tratta di una produzione in versi, in secondo luogo perché l’autore registra con passione e rapidità alcuni dei momenti chiave della nostra esistenza.

La raccolta poetica presenta 59 poesie, molte delle quali scritte in versi sciolti e altre in rima (soprattutto baciata, ma anche alternata, incrociata ed incatenata), ed è divisa in sei sezioni: la prima sezione, intitolata Anamnesi, raccoglie una sola poesia: Primo mattino, scritta nel Luglio 2007 e rivisitata più volte. Essa simboleggia l’inizio e il “risveglio” della volontà di scrivere in un periodo di sterilità intellettuale, indicandone sia l’inizio della giornata sia il primo giorno della propria vita.
La seconda sezione si intitola Primi ricordi e include 25 opere, perlopiù esperienze sensoriali e riflessioni di vita vissuta del periodo 2007-2009. La terza sezione, Lucciole su carta, è la più lunga e vede l’affiorare dei temi cari all’autore, quali i problemi legati al ricordo, alla necessità di scrivere per lasciare traccia di sé, alla vita fuori dalla patria natale, al tempo, ecc. La quarta sezione, Quadretti osceni, contiene 6 poesie dedicate a situazioni di quotidiana brutalità, come una violenza familiare o una tomba dedicata a un bambino mai nato. È un tentativo di fuoriuscita dal pensiero personale, una sorta di esplicitazione di ciò che viene esperito a livello puramente “emotivo” nelle prime tre sezioni.
La quinta sezione, Amori perversi, contiene 3 poesie dedicate alle tre “muse” ispiratrici: la nostalgia, la malinconia e la solitudine.
La sesta e ultima sezione dà il nome alla raccolta e contiene due poesie: Notte di pioggia e La via smarrita. Queste due segnano un cambiamento radicale di stile e di prospettive, per cui si è visto necessario concludere la raccolta.

David Valentini con lucidità e ricercatezza nelle parole, accompagna il lettore in un viaggio interiore il cui senso si evolve e si manifesta lirica dopo lirica, verso dopo verso. Si evincono echi montaliani ed ungarettiani nella raccolta, intrisi di musicalità e misticismo; parole isolate, cariche di significato come dimostra la lirica Senza ispirazione:

Idee

emozioni

parole

effimere

caduche

spezzate

rose

ferite

morte.

 

L’autore presenta un “elenco” di parole drammatico, che rappresentano una crisi artistica, poetica ma anche esistenziale. A tale lirica fa da eco Increativo:

Fantastico veliero

fatto di carta

con sopra scritta

una poesia interrotta.

L’incompiutezza ha un fascino particolare, una bellezza mistica di quello che poteva essere e non lo è stato che probabilmente attrae ancora di più il lettore; non a caso Valentini ha intitolato una sua lirica proprio Poesie interrotte.

Le illusioni e l’inafferrabile, l’oblio, il disincanto e la malinconia sono sublimati attraverso riferimenti materiali, simbolici mitologici, quotidiani. Valentini ci offre un percorso esistenziale evolutivo in cui ognuno di noi può riconoscersi, avvalendosi di un lessico ricercato ma abbastanza comprensibile, senza cedere a sentimentalismo, alla retorica e alla ridondanza. La via smarrita non soffre dunque di sbalzi di ritmo perché non sente il bisogno di giustificare, di rendere didascalico e quindi noioso, un assunto filosofico. Prendiamo in esame la lirica Un’esistenza (da Lucciole su carta):

Dividermi così

fra brulicanti frammenti

di specchio sparsi

e un muto grido,

non passare-attraverso;

scorre, scivola via

questo lento agitarsi

di me.

 

Valentini mostra la frammentazione dell’io, lo smarrimento della propria identità in maniera efficace e “psicoanalitica”: la crisi esistenziale passa attraverso l’usuale immagine di uno specchio, riflesso di noi stessi, ed un ossimoro, muto grido. Tale figura retorica viene utilizzata anche per descrivere lo stato d’animo del poeta, lento agitarsi di sé che scivola via.

Non manca una donna salvifica, un’innocente salvatrice (della quale Valentina fornisce successivamente un ritratto in Storia di lei) in cui grazia e voluttà si incontrano e si fondono, una donna che può essere tutto e il suo contrario:

Chi sei tu,

fanciulla di grazia e voluttà,

maestosa nel tuo silenzio,

pungolante di malinconia?

E come mi hai tratto fuori,

volteggiando leggiadra di danza,

da questo mondo così in odio?

 

Ma a che giovano le risposte

quando per te ora io canto

questa vita mia patetica?

Ed è per questo che ti ringrazio,

mia innocente salvatrice.

 

Una vita smarrita può acquistare nuova linfa e significato grazie ad una persona cui noi attribuiamo una funzione salvifica? O magari veniamo salvati incosapevolmente? Valentini presenta ottimi spunti anche per una riflessione più specifica, riguardo i nostri sentimenti, i nostri rapporti, la nostra concezione dell’amore.

Ma non è solo la vita ad essere smarrita, la stessa bellezza, che secondo Dostojevskij dovrebbe salvare il mondo, è smarrita come si legge della lirica Effimero:

Quel tuo sguardo di miele denso

nebbia un giorno e poi vacuo abisso

ma prima d’allora fatalmente

da me fuggirà e con altri occhi

d’altri occhi s’incornicerà,

immemore di questo fiato d’amore

nel tempo turbinante, vortice

d’ogni bellezza smarrita.

 

Il poeta associa lo sguardo ad un elemento materiale per poi lasciarlo sfociare nell’immaterialità, in un vacuo abisso; uno sguardo ormai dimentico di un sentimento d’amore che risucchia ogni bellezza smarrita.  La “positività” dello sguardo dunque è in relazione a qualcosa di concreto mentre la sua “negatività”, poiché si dissolve, fa riferimento all’astratto.

La vita e il suo travaglio (come recita una delle poesie di Valentini), racconta il poeta che per colmare il vuoto lasciato dall’egoismo, ama in maniera disinteressata. Sorprende con quanta maturità Valentini analizza la condizione del poeta stesso e il senso, il valore dell’arte, un’arte impiccata specchio della nostra demenza. Ma com’è l’anima del poeta? Ce lo dice proprio Valentini applicando una calzante similitudine e due metafore:

Come rami intrecciati

nodosi aggrovigliati

sabbia di fantasia

e mattoni di follia.

 

C’è spazio anche per suggestioni mitologiche nell’opera di Valentini come si può notare dalla lirica Fonte Mneme:

Lentamente titillava

sorseggiava, si abbeverava

alla fonte fresca del passato,

ogni goccia assaporava

di antichità-un sottile iato

d’eternità li divideva.

Si abbeverava avidamente

il ragazzo e rischiò, d’un tratto

che liquido il grumo si strozzasse in gola.

Lentamente si abbeverava

il vecchio e cadde, d’un tratto

nel lento gorgoglio che via lo trascinò.

 

Mneme nella mitologia greca è la figlia di Zeus e Mnemosine e l’autore qui utilizza questa figura mitologica per offrire al lettore una poesia visiva, che presenta due figure speculari: il ragazzo e il vecchio, l’alba e il tramonto della vita, l’avidità, la fretta, la voracità tipicamente giovanili e la lentezza, la calma, tipicamente senili). Dal punto di vista stilistico, Valentini si avvale dell’onomatopea (titillava, sorseggiava, gorgoglio) dell‘enjambement (d’eternità, il ragazzo, il vecchio) e dell’anastrofe (si abbeverava avidamente il ragazzo, lentamente si abbeverava il vecchio, via lo trascinò).

La raccolta si chiude con la lirica che dà il titolo all’opera: La via smarrita, che ci consegna un Valentini inquieto, ma estremamente consapevole del compito della poesia: una continua ricerca, un incessante porsi domande. Il poeta si chiede chi è, condensando l’esperienza di uomo e di poeta (“Chi sono io, volli sapere, lo chiesi un giorno allo specchio...”) richiamandosi al celebre Chi sono?, lirica-manisfesto di Aldo Palazzeschi, ma discostandosene in quanto quella di Valentini non è una canzonetta dove rende più visibile il suo cuore alla gente, deformato da una prospettiva tutta esteriore attraverso una lente che ne mette in evidenza il mascheramento.

David Valentini è un talento da seguire, sensibile e profondo, questo giovane autore dimostra già con la sua raccolta d’esordio di riuscire a mettere in poesia concetti filosofici, di dare un seguito alle sue riflessioni, approfondendole, nonostante tenda a ripetere spesso gli stessi concetti e termini, muovendosi con intelligenza e personalità tra nichilismo, crepuscolarismo, ermetismo, e poesia arcana senza mai contraffarre il proprio intimismo lirico o lasciandosi andare ad un languido vittimismo di un certa specie di crepuscolarismo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

About Annalina Grasso

Giornalista, social media manager e blogger campana. Laureata in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con L'Identità, exlibris e Sharing TV

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