Varanasi, municipal corporation, di 3.682.194 abitanti, tra le più antiche agglomerazioni urbane al mondo.
“Si arriva a un momento nella vita in cui tra la gente che si è conosciuta i morti sono più dei vivi. E la mente si rifiuta d’accettare altre fisionomie, altre espressioni: su tutte le facce nuove che incontra, imprime i vecchi calchi, per ognuna trova la maschera che s’adatta di più”. [Le città invisibili, Italo Calvino].
L’India è per estensione, popolazione, etnie, per divisioni federali, religiose, di casta, più vicina all’essere un continente che non un semplice stato. A questa repubblica federale viene associato invariabilmente il concetto di spiritualità. Come tutte le affermazioni categoriche, davanti alle opportune contestualizzazioni, non regge. L’India di oggi, infatti, complici povertà ed occidentalizzazione di sogni e stereotipi, è una “zona grigia spirituale”. Queste persone percepite dai più come colorate, buffe e con una spiccata spiritualità, lo sono poi davvero? Più probabilmente, come in ogni luogo, c’è gente di ogni sorta e valore. Talvolta, ad esempio, e non così di rado, capita di assistere in India a sceneggiate di stampo partenopeo.
Nello stato dell’Uttar Pradesh sorge una roccaforte della spiritualità mondiale: Varanasi (Benares per gli anglofili), la città santa. Una metropoli di più di tre milioni e mezzo di abitanti che vive una inscindibile simbiosi con la Ganga, il fiume Gange; tale sincronia porta città e corso d’acqua ad essere nei fatti un’unica entità. Madre Ganga culla, attira, ritiene, irradia qualunque essere. Quasi fosse una seconda luna. L’unico modo di orientarsi nella parte vecchia di Varanasi è “sentire” la Ganga, altrimenti il dedalo di vicoli che si dipana dai Ghat (questo il nome dei templi per abluzioni che si tuffano nel fiume sacro) risulterà indecifrabile. A complicare le cose, oltre a persone, motociclette e biciclette, in quegli stessi vicoli sono incontri all’ordine del giorno quelli con vacche sacre, capre, galli, scimmie, rane.
Imperdibile il Kashi Vishwanath Temple dove tutti gli hindu si recano almeno una volta nella vita a rendere omaggio a Shiva a cui il tempio è dedicato. Potrebbe essere arduo per gli occidentali esservi ammessi, in base al servizio di sicurezza del giorno, ma con un po’ di insistenza e reiterati tentativi le meraviglie del più importante tempio induista potrebbero aprirsi a voi. Risalendo in direzione nord dall’Assi Ghat, il più a meridione, incontriamo numerosi altri Ghat. Luoghi di preghiera e aggregazione ma anche di festa e convivialità. Tutti con ampie scalinate che, sommerse con l’alta marea, con la bassa ci conducono in acqua.
Ogni anno decine di milioni di fedeli compiono pellegrinaggi a Varanasi. Durante lo Shivaratri, tra le più importanti celebrazioni hindu, gruppi di dozzine di persone in abbigliamento interamente arancione, il colore simbolo di Lord Shiva, corrono come forsennati per stradine larghe, di regola, intorno al metro e mezzo, incuranti di qualunque cosa travolgano, sempre bonariamente, intonando mantra a squarciagola. Numerosi i Sadhu (in seno ai quali tanti ciarlatani) che popolano strade e piazze.
Il luogo in cui l’energia della città raggiunge l’apice assoluto è il Manikarnika Ghat, quello adibito ai riti funebri. Una pedana lignea di una dozzina di metri quadrati, a pochi passi dal fiume, raccoglie anche cinque pire funerarie contemporaneamente. Non si usa più, per ragioni economiche, il sacro e profumato legno di sandalo, ma si cosparge legname a buon mercato con qualche pizzico di polvere di quel pregiato albero. Sulla pedana lavorano soltanto donne. A loro è affidato questo compito oltremodo delicato. A pira esaurita le ceneri vengono restituite a Madre Ganga. Nel culto induista si ritiene che morendo nella città santa si venga liberati dal ciclo delle reincarnazioni e si sia liberi di ricongiungersi con il Brahma. Ed ecco che poco distante dalla pedana crematoria si staglia a picco sul fiume un fatiscente edificio al cui interno chi volesse può recarsi ad aspettare la morte. E non pensiate di trovarvi tristezza, angoscia, malattia o miseria (se non economica). Per lo più anziani sorridenti pregano, chiacchierano e fissano la Ganga con benevola serenità.