Alla Technion University, in Israele, un esperimento conferma l’esistenza della radiazione di Hawking.
Il mondo ama le eccezioni, e il loro strabordare dai confini delle leggi. Quando si dice che un buco nero è un pozzo dal quale nulla può sfuggire, nessuna particella materiale, e neanche la luce, si può venir colti, oltre che da un sentimento di claustrofobica angoscia, anche da un sospetto lieve. Possibile? Possibile che da una porta chiusa, seppure ermeticamente, non possa filtrare un capello dorato di luce? Che la parete bianca sia priva di macchia, che la montagna inamovibile non sussulti? E l’effetto tunnel quantistico? E la fuga da Alcatraz? E le tentazioni di Sant’Antonio? Perfino negli spot dei disinfettanti, i pubblicitari si cautelano per bene lasciando quel piccolo batterio di sorta (“pulisce fino al 99,9999% …”). Non si tratta dell’assurdità della perfezione, che anzi pare non intimorire per nulla la fisica: leggi che non falliscono mai (o quasi?), come la conservazione della massa energia, costanti sempre perfettamente costanti come la velocità della luce, particelle completamente identiche. Qui si tratta di qualcosa di diverso, di una vibrazione fondamentale delle forme ideali. Un’incrinatura nell’iperuranio; è la crisi del bianco e del nero. Sarà pure un atteggiamento da malfidati, ma la coscienza del compromesso, e la propensione al “ma”, sono care a molti di quelli che osservano un mondo, così complesso come il nostro, per attitudine o mestiere. E dunque? A quanto pare, qualcosa scappa dal buco nero.
La radiazione di Hawking è confermata dal fisico Jeff Steinhauer
Questo qualcosa sarebbe una debole radiazione termica la cui esistenza fu ipotizzata da Hawking nel 1974, (da qui il nome radiazione di Hawking) studiando la teoria quantistica dei campi nello spazio-tempo curvo. E solo adesso Jeff Steinhauer, fisico dell’Israel Institute of Technology, ne conferma l’esistenza osservando le particelle emesse da un modello di buco nero simulato in laboratorio. Un buco nero è un oggetto estremamente denso (tecnicamente, è un corpo interamente contenuto all’interno del proprio orizzonte degli eventi), caratterizzato da un’enorme attrazione gravitazionale, al punto che nulla vi sfugge, né materia, né luce. Ecco perché appare completamente nero. Forse. Quando Einstein pubblicò la sua teoria della relatività generale, nel 1915, dimostrò che la materia è responsabile della curvatura del cronòtopo (lo spazio- tempo di Minkowski), e che questa curvatura è a sua volta responsabile della forza di gravità: per usare una famosa analogia, è come se la terra scivolasse su un tessuto spaziale tridimensionale curvato dal sole. E’ dunque naturale ipotizzare l’esistenza di oggetti estremamente massivi e densi, tali da costituire dei pozzi in cui tutto può entrare e nulla uscire. Dei buchi nel telo. Creare un buco nero è “semplice”: basta comprimere tutta la massa di un corpo all’interno del proprio raggio di Schwarzschild (la distanza dall’orizzonte degli eventi). Per esempio, per rendere la terra un buco nero, la si dovrebbe comprimere all’interno di una sfera di circa un centimetro di raggio! Non è cosa da poco, ma un processo del genere si può manifestare spontaneamente nel cosmo, ed è in particolare ciò avviene nella fase finale (il collasso gravitazionale) della vita di stelle sufficientemente massive. Data la loro natura, è possibile osservare i buchi neri solo con metodo indiretto: per esempio, studiando la danza di una stella che ruota attorno a un centro di massa invisibile e deducendone la presenza di un sistema binario stella-buco nero; o tramite misura di peculiari emissioni di raggi X emessi da particolari sistemi, per esempio vortici gravitazionali di materia attorno a un sospetto “nulla”. La gravitazione, sia newtoniana che relativistica, nasce e si sviluppa come teoria classica, cioè al di fuori dell’ambito speculativo della meccanica quantistica, e un primo tentativo di unificazione teorica (“gravità quantistica”) è la teoria quantistica dei campi nello spazio-tempo curvo.
Un’evidente previsione di quest’ultima è l’emissione, da parte dei buchi neri, di radiazione elettromagnetica, e dunque di energia: è noto come il principio di indeterminazione di Heisenberg implichi che il vuoto non è statico (altroché), ma sede di un’energia di vuoto e di fluttuazioni quantistiche che generano continuamente coppie di particelle e anti-particelle (virtuali) che si annichilano, cioè si annullano reciprocamente; a causa dell’intensa forza gravitazionale nei pressi dell’orizzonte degli eventi, tali coppie possono diventare reali e, mentre una particella viene inghiottita dal buco nero, l’altra può uscirne.
Radiazione di Hawking: il buco nero perde energia-massa
Il buco nero, in un tempo molto lungo, perderebbe cioè energia-massa (che sono equivalenti, dato che ), evaporando. Il buco nero non sarebbe più nero, cioè completamente “assorbente”, ma “grigio”. Utilizzando onde sonore in luogo di onde luminose, confinandole in laboratorio in un modello acustico di buco nero, e sfruttando un particolare stato della materia a bassissime temperature, detto “condensato di Bose-Einstein”, Jeff Steinhauer ha verificato non solo la possibilità di un’emissione di questo tipo, ma anche la sua natura quantistica; è stato infatti osservato, nelle coppie di particelle coinvolte, lo straordinario effetto quantistico dell’entanglement, di quella promessa, che si scambiano talune particelle prima di separarsi, di ricordare l’un l’altra per sempre, al di là dello spazio e del tempo.
Non è difficile immaginare come lo studio del buco nero, una delle entità più squisitamente misteriose dell’universo intero, e soggetto di studio principe della moderna cosmologia, possa riservare contributi interessanti a quella ricerca fondamentale che oltrepassa la fisica e l’uomo, e che tende alle sublimi domande: esiste una teoria del tutto? Com’è nato il mondo, ed eventualmente, perché?