L’aggiudicazione milionaria, per la precisione di 56 milioni di euro, dell’opera di Gustave Klimt “Bauerngarten”, ha riacceso i riflettori dei grandi media italiani sul tema arte e sul suo mercato. A volte considerato frettolosamente come un mercato minore, l’arte ha dalla sua numeri sorprendenti. Secondo i dati raccolti dal TEFAF Art Market Report 2016, curato da Clare McAndrew di Arts Economics, nel 2015 l’arte ha mosso capitali per 63,8 miliardi di dollari e si tratta di soldi veri non certo immaginati.
Nel pieno della crisi finanziaria, il mercato dell’arte ha avuto una crescita esponenziale e la cosa non deve certamente sorprendere perché l’opera d’arte è considerata il bene rifugio per eccellenza che garantisce nel lungo periodo rendimenti impensabili sia per l’oro che per i diamanti. Una crescita molto rilevante di questo mercato si è avuta anche in Italia dove, sempre secondo il TEFAF Art Market Report 2016, nel 2015 si è avuto un giro d’affari di 637 milioni di dollari.
A questo punto molti saranno incoraggiati a prendere il pennello e a cominciare a dipingere anche perché, in fondo, quello che viene presentato come arte contemporanea in realtà richiede poche capacità tecnico/pittorico. Ma qui arriva l’inghippo. L’utilizzo dell’arte come bene rifugio necessita la scelta di artisti e di opere che rientrano nelle categorie già storicizzate, quindi figure rinomate che con le loro creazioni hanno già contribuito alla scrittura della storia dell’arte.
Ne consegue che molti artisti contemporanei rimangano a bocca asciutta e il mercato tradizionale ne risenta in maniera considerevole al punto che molte gallerie rinuncino ad ospitare nei loro spazi espositivi artisti viventi.
Si da il caso però che l’arte contemporanea sia un aspetto fondamentale della storia di ogni società e, non essendoci un vero mercato, viene lasciata in balia di sé stessa, nella vana riproposizione manieristica di avanguardie scadute da tempo e di qualche millantatore alla ricerca del proprio posto al sole. Così, agli occhi profani, nasce il mito dell’artista come personaggio strano che costruisce opere astruse che però non hanno assolutamente nulla di contemporaneo se non la data di composizione.
La questione è seria ed è l’ennesimo impoverimento che il mercato causa alla cultura. Chi conoscerà mai il Picasso dei nostri giorni? Chi investirà su di lui? Probabilmente nessuno e quando appenderà il pennello al chiodo lasceremo alle generazioni future solo l’ennesimo pattume che qualcuno si affretterà a definire “arte”.