“Lime and limpid green, a second scene, a fight between the blue you once knew”.…sono i primi due versi del primo pezzo del primo disco dei Pink Floyd, UK press. Sono nubi di gas grandi miliardi di volte il sole e incendiate da lampi di luce cosmica milioni di anni fa, quando solo l’Africa era abitata, prima che il mondo si sparpagliasse in continenti, e solo quegli uomini videro in cielo quel bagliore. Ed è il colore che parla da solo. È tutto ciò che rimane di fronte all’orizzonte degli eventi, quando tutto ciò che è umano e conosciuto viene spazzato via, che i buchi neri sono la parte sconosciuta e cattiva della natura – se però il colore è viola, allora sono campi di lavanda visti dalle nuvole (color field). Sono tele irregolari: si tratta dell’esponente del Minimalismo e dell’Hard edge painting, Ellsworth Kelly, si vola, e il profumo lo si sente fin qua.
Allo Stedelijk museum di Amsterdam c’è un lavoro di Claes Oldenburg che ricorda le geometrie di un’opera di Kelly; e le due opere in questione sono: The Saw del 2005 nel caso di Oldenburg e White Angle del 66 conservato al Guggheneim, quella di Kelly; ma a dire la verità di pannelli monocromatici disposti perpendicolarmente uno all’altro dando la sensazione di qualcosa di tutto spiegazzato, Elsworth Kelly ne ha composti parecchi; e Kelly e Oldenburg hanno comunque in comune molto altro, e il tratto distintivo che più li espone a una facile comparison è quello della landscape art: oggetti da esporre open air, large scale objects, che devono dare il senso e una direzione nuova alla percezione del paesaggio urbano (si tratta di scultura contemporanea o di installazioni permanenti).
L’Age d’Or è un film di Buñuel, e nel film c’è pure una giraffa di stoffa che dalla finestra papale vola, no ma non per terra, ma sugli scogli con fragranza dritto dritto in un mare grosso di onde grosse e la chimera surrealista per Kelly finisce qui. Basta: nessun elemento antropomorfico o umano o di vita biologica resterà sulla tela. L’uomo ha inghiottito tutto. “Floating down the sound resounds the icy waters underground”: sono i versi successivi della stessa canzone. È rimasta sola l’orma del passante e il suo bastone, ora già, un’altra lastra ghiacciata al sole, e l’espressione astratta dell’uomo e il suo pensiero, dove il cielo è il mare e la voce del padre, e il logos apofantico, alla fine: abstract expressionism – una derivazione di chiara origine tedesca che rimanda a Mondrian e Kandinsky.
L’elaborazione da parte di Ellsworth Kelly dei materiali esposti da Mondrian e Kandinsky porta dunque alla produzione di campi di colore monocromatici e alla costruzione di espressioni astratte del pensiero dell’uomo ricondotto ai suoi termini ultimi e minimali.
L’abbandono della sorpresa surrealista, della sua natura doppia e divisa tra realtà conscia e surrealtà inconscia porta Ellsworth Kelly alla costruzione di una realtà sintetica, di sintesi, con prodotti che sono degli statements, quasi degli imperativi categorici, che si impongono inequivocabilmente alla visione senza per altro confondersi con essa, ma allontanandosi, meglio, dalla stessa percezione, diventando interrogativi enigmatici imperiosi: non c’è più nulla di umano da guardare, non più niente di mortale, ma solo la natura immortale ed eterna, ovunque, sempre uguale a se stessa.
L’opera d’arte non ha più nulla da spiegare, più nessuno da esorcizzare: solo si manifesta per quello che è; e può essere un pensiero, un concerto, un gesto, una parola, molte volte uno sguardo; e molte volte è discreta tanto quanto altre volte può essere detonante, e in ogni caso Ellsworth Kelly sembra abbia proprio voglia di rivendicare l’impersonalità dell’arte, il suo valore assoluto in quanto tale, il suo voler essere assolutamente obiettiva e oggettiva, ricavando tutto il suo valore solo dal suo immenso e sconfinato voler essere (art for art’s sake, Allan Poe, 1850, seguendo Gautier, 1835; ma di fatto Kelly forma la propria dorsale artistica proprio a Parigi, ed è questo il sangue nuovo che scorre di ritorno in tutto il contemporaneo).
C’è qualcosa di agghiacciante in tutto questo, in tutte queste visioni monocromo; c’è qualcosa di sorprendente in queste agghiaccianti misure di colore monotono; non si può non far finta di niente: la natura è un ricordo, una lezione del passato, e la vita biologica ha lasciato per sempre l’arte contemporanea trasfigurata in eterno in puro spirito nell’alienazione e nella paranoia delle terre desolate del nostro futuro: “Jupiter and Saturn, Oberon, Miranda And Titania, Neptune, Titan. Stars can frighten” – fine della prima strofa del primo pezzo del primo disco dei Pink Floyd, UK press.
Fonti
Si veda: https://www.musee-orangerie.fr/fr/node/879, ma adesso “the time is gone, the song is over, thought I’d something more to say”, Pink Floyd, 1973 (pink-floyd-lyrics.com).
photo: incidentalcomics.com