Mentre nel mondo si addensano fosche nubi e gli equilibri internazionali rischiano di saltare definitivamente, qui in Italia a sinistra si cerca di trovare il bandolo della matassa e una identità che da troppo tempo sembra essere smarrita.
Sgomberiamo subito il campo da possibili equivoci o fraintendimenti: non è il momento storico per pensare a scissioni o alla nascita di nuovi soggetti politici di sinistra. Il tempo stringe e alle porte si affacciano scenari che non promettono nulla di buono. È bizzarro che oggi a pensare ad una possibile scissione dal PD siano proprio coloro che nel lontano 2007 si ostinarono a voler dare vita, mediante quella che all’epoca fu definita una vera e propria fusione fredda, ad un organismo che racchiudesse al proprio interno i DS e la Margherita.
Da allora sono trascorsi 10 anni durante i quali la politica è cambiata profondamente. I Ds nel 2007 erano il primo partito in Europa per numero di iscritti, se ne contavano poco più di 615 mila, mentre la Margherita contava al suo interno, secondo le statistiche ufficiali, circa 430 mila iscritti. Dalla fusione dei due partiti nasceva, dunque, un soggetto da più di un milione di militanti.
Le statistiche implacabili ci raccontano invece di un PD che oggi non raggiunge neanche i 400 mila tesserati. È importante riflettere su questi numeri perché quando si parla di congressi, primarie, politiche di governo e di politica in generale non si può non pensare che i primi interlocutori debbano essere gli iscritti che si devono poter riconoscere nelle scelte del proprio partito.
All’indomani delle vocazioni maggioritarie, dei patti del Nazareno, delle politiche economiche poco chiare, dei provvedimenti contro i lavoratori e dei governi trasversali, il cittadino non trova più un modello di sintesi nel partito e vive un senso di smarrimento, incarnato suo malgrado dal rottamatore Renzi.
Un tempo il partito, nella sua rigidità dogmatica, rappresentava una risposta affidabile in grado di narrare una visione del mondo che poteva essere condivisibile o meno, ma rappresentava qualcosa di unico a cui moltitudini di uomini e donne dedicavano la propria vita.
Oggi tutto questo non esiste più. È difficile, ad esempio, capire quale sia esattamente la linea economica che guida il governo, o comprendere le esatte strategie in materia di sviluppo. Il manifesto dell’inadeguatezza della classe dirigente sta tutto in un ministro dell’economia che non conosce il prezzo di un litro di latte. Siamo ai titoli di coda dove traspare l’immagine di un PD salottiero molto più orientato agli accordi sotto banco che alla ricerca di un vero consenso.
L’incapacità, l’approssimazione e l’incompetenza, che hanno infettato tutte le forze politiche, hanno partorito il mito della casta e generato la voglia di fuga dei cittadini alla ricerca di un altrove al di fuori dei partiti che purtroppo non può esistere. Nel frattempo si sono distrutte le sentinelle presenti sui territori con figure inadeguate che ricoprono ruoli di primo piano nella vita delle comunità e che incarnano alla perfezione la mediocrità del sistema partitico nazionale. Un rampantismo inedito, in particolare a sinistra, che ha spazzato via scuole di formazione e la salita nei gradi della struttura partitica per lasciare spazio a giovani arroganti assetati di potere.
Ora è il momento della responsabilità. Il PD ha il dovere di rimettersi in carreggiata e di fare una scelta definitiva di campo aprendosi a tutte le forze della sinistra democratica. Un tempo le tesi congressuali servivano a questo. Tutto il resto è una commedia chiamata Leopolda.
Di fatto, la democrazia per funzionare ha bisogno dei partiti e i partiti per esistere necessitano della militanza. Se mancano questi elementi il sistema si collassa e nascono forze antisistema che sono destinate ad assumere una rilevanza sempre maggiore.