Verrebbe da dire, parafrasando il grande Ennio Flaiano, che la situazione è grave ma per niente seria. Così, quando l’Associazione Italiana Editori (AIE) ha presentato alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria i risultati di un’indagine sulla presenza delle librerie in Italia, nessuno è rimasto sorpreso nel constatare la drammaticità della situazione.
687 comuni con più di diecimila abitanti non ha librerie e, neanche a dirlo, la concentrazione più alta di questo dato molto poco lusinghiero si ha nelle cittadine meridionali, nelle isole e nel nordest. Dati allarmanti che sottolineano ancora una volta la fragilità del sistema editoriale italiano. Se da un lato il numero dei lettori cala con percentuali crescenti ogni anno, dall’altro aumenta il numero di proposte editoriali immesse sul mercato, ignorando le più elementari leggi della domanda e dell’offerta.
In questi giorni si stanno consumando sui media i processi mediatici con analisi, testimonianze e accuse da parte dei librai costretti molte volte a chiudere le proprie attività perché incapaci di sostenere i costi di gestione di una impresa troppo spesso antieconomica.
Tra gli indiziati numero uno ci sono gli shop online, Amazon in testa, che possono garantire prezzi più vantaggiosi ai consumatori che, senza scomodarsi dalle proprie poltrone, ricevono sulle proprie scrivanie i titoli ricercati.
L’accusa è più che legittima, ma nasconde il vero problema. Chi compra il proprio libro online è, con buona probabilità, un lettore abituale e appartiene quindi ad uno spicchio di quel 42% di Italiani che dichiara di aver letto almeno un libro nell’ultimo anno. Circa 6 italiani su 10 non leggono neanche un volume in 365 giorni. Numeri da paese incivile che non sembrano destare preoccupazione se non correlati direttamente a fattori di carattere economico.
Eppure tra quei dati c’è un elemento sorprendente: la quota di lettori risulta superiore al 50% nella popolazione tra gli 11 e i 19 anni, il che lascia intuire che in moltissimi casi “non lettori” si diventa e che spetta alle agenzie formative intervenire sugli studenti perché continuino nel loro cammino virtuoso.
A questo punto però si entra in un terreno minato perché i problemi diventano molteplici e giocano un ruolo determinante gli insegnanti che in alcuni casi, per la legge dei grandi numeri, appartengono a quel 58% che non legge. Cosa accade? Che influenza hanno le imposizioni di letture? Perché i ragazzi si disaffezionano al libro?
Sono tutti interrogativi senza risposta che si intersecano con una istituzione scolastica che è sempre meno orientata verso la cultura e mira a qualcosa di diverso, a dire il vero, poco definibile. I ragazzi, dal canto loro, sono costretti a un carico eccessivo di impegni che sottraggono tempo prezioso alla loro ricerca individuale e alla lettura che, inevitabilmente, viene percepita come evasione impegnativa che può essere soppressa.
I docenti che lottano per diffondere i libri devono poi scontrarsi con la carenza endemica delle biblioteche scolastiche, con librerie che spesso contengono titoli datati con nessun appeal per i giovani lettori, e che, come riportato nell’indagine degli editori, condannano circa 3,5 milioni di studenti a convivere nelle proprie scuole con un patrimonio librario inferiore alla media o in alcuni casi del tutto assente.
D’altro canto la Buona Scuola incentiva la creazione di inutili e presto obsolete aule digitali diffondendo nei ragazzi la certezza che il libro e la conoscenza appartengano al passato. E così le librerie muoiono, la cultura langue e i grandi editori cercano, senza una vera politica editoriale, colpi sensazionalistici capaci di catturare i lettori da 1 libro all’anno comprendendo, loro sì, che la vera fascia di mercato da conquistare non è quella dei lettori forti.