Ci siamo, e viene voglia di dire “finalmente”, il prossimo 6 novembre sapremo chi la spunterà nelle Presidenziali Usa tra Donald Trump e Hillary Clinton.
Dal nostro angolo di osservazione europeo la campagna elettorale per le Presidenziali USA sta scivolando via stancamente tra tante polemiche e pochi contenuti. Scandali sessuali, provocazioni, frasi ad effetto e sciacallaggio reciproco, sono gli elementi di una sceneggiatura davvero deludente per chi si aspettava che il Paese più importante dello scacchiere internazionale potesse prendere nell’immediato futuro decisioni responsabili per il proprio e l’altrui destino. L’ultimo serratissimo confronto tra Clinton e Trump, tenutosi ieri a Las Vegas, non ha fatto altro che ricalcare inevitabilmente il copione già visto. A trionfare, pur nella sconfitta, è stato ancora una volta Donald Trump, miliardario e uomo potente, che, con il suo stile tutt’altro che politicamente corretto, ha dichiarato che non è sicuro che riconoscerà l’eventuale vittoria dell’avversaria perché le elezioni sono, a suo dire, truccate.
Razzista, provocatore, maleducato e antipatico, Trump è riuscito a proiettare su di sé le attenzioni del ceto meno colto degli Stati Uniti, la cui icona vivente è Homer Simpson, che ha trovato nel magnate la proiezione di quello che vorrebbe essere. Idee facili, comprensibili e a buon mercato che rappresentano un riscatto nei confronti dell’apparato di potere.
E così, anche gli USA stanno provando sulla propria pelle il significato della crisi della democrazia. Clinton e Trump nel loro rush finale stanno recitando due versioni differenti della stessa idea del mondo e, pur con idee differenti in campo economico e sociale, non mettono mai in discussione lo stile di vita americano che sta contribuendo alla distruzione del pianeta.
Ben diverso sarebbe stato l’esito di questa campagna se a spuntarla come candidato alle Presidenziali Usa tra i Democratici fosse stato Sanders con la sua visione radicalmente differente dell’economia, dell’ambiente e della società. Stiamo, invece, rigirando il solito minestrone con la Clinton, che come dice ripetutamente il suo avversario è al potere da 30 anni, e Trump, che non può contare neanche sull’appoggio del suo intero partito ed incarna la pancia del Paese.
In campo economico i due candidati hanno ribadito le classiche posizioni dei rispettivi partiti. Da un lato troviamo una certa attenzione nei confronti dell’equità sociale con i temi dei salari minimi e dei diritti, dall’altra la professione di liberismo con una diminuzione delle tasse per i ceti più abbienti. Il vero campo minato dell’intera campagna delle Presidenziali è stato l’immigrazione con i muri di Trump e i proclami di integrazione della Clinton. Restano sullo sfondo, e non è un dettaglio da poco, le paure dettate dal terrorismo, dalle scie delinquenziali che attanagliano molte città e da un uso fuori controllo delle armi. Questi gli ingredienti con l’aggiunta, sul finale, della sagoma di Putin con lo spionaggio informatico tra Usa e Russia.
Insomma, un B-Movie a tutti gli effetti che non meriterebbe neanche di essere recensito e che siamo costretti a guardare sino alla fine, anche perché non sappiamo che fine abbia fatto il telecomando.