Quella degli Who è musica selvaggia, libera e ricca di contenuti: è il rock di quattro ragazzi di Londra, padri di una rivoluzione che dura da oltre cinquant’anni. Nell’eterna lotta tra Beatles e Rolling Stones, ogni tanto ci imbattiamo in qualcuno che dice “meglio gli Who”. Costui è un pazzo, direbbe qualcuno, e avrebbe torto marcio: capaci di affascinare il pubblico più trasversale, creare show incredibili e restare sulla cresta dell’onda per oltre cinquant’anni, la band inglese è ancora uno dei motivi per credere nel rock’n’roll, e in questo articolo, vi raccontiamo le dieci canzoni migliori del loro sconfinato repertorio.
I hope i die before i get old. Ecco, se c’era bisogno di una canzone simbolo per i giovani degli anni ’60 (ma allarghiamo il campo fino ai giorni nostri), gli Who fanno centro al primo colpo. My Generation, oltre che dare il là alla carriera della band inglese, diventa manifesto dei giovani ribelli del tempo, quelli additati dalla società come perdigiorno, insolenti, contrari all’ordine prestabilito. Se il testo risulta uno dei più iconici della società, grande novità è la struttura del brano: partendo dal canto di Roger Daltrey, che balbetta in molti punti della canzone a mo’ di sospensione (sarà Keith Moon a svelarci il mistero dietro questo atteggiamento), fino alla struttura melodica (figlia delle influenze r’n’b di Townshend) che mette da parte la chitarra per concedere l’assolo (e che assolo ragazzi) al basso di John Entwistle. Sono passati 42 anni da questo brano, ma il tempo sembra non essere passato affatto!
The Kids are Alright – My Generation (1965):
Chiunque, ascoltando The Kids are Alright, potrebbe notare uno stile molto asciutto, dalle venature pop molto simili a quello che sarebbero stati i Monkees oltreoceano. L’incredibile capacità tecnica permetteva agli Who anche questo e, a distanza di anni, possiamo accorgerci di quanto fossero capaci di scrivere hit di facile ascolto non tradendo la loro struttura musicale. Il brano, uno dei più briosi della band, divenne un vero e proprio inno della generazione Mod (e lo è ancora oggi).
Substitute – Substitute/Circles (1966):
Parlando di questa canzone, Keith Moon disse di non ricordare se avesse effettivamente suonato o no in questo brano, evocando non solo un divertente parallelismo con il titolo ma, indirettamente, il suo rapporto con alcool e droghe. Ancora oggi, Substitute è uno dei brani più amati dai fan, immancabile nei live della band. Townshend scrisse la canzone adattando lo stile di Smokey Robinson, realizzando un brano in perfetto stile beat, a metà tra Beatles e Byrds, con un testo banale solo in apparenza: “I can see right through your plastic mac. I look all white, but my dad was black”.
Magic Bus – Magic Bus: The Who on Tour (1968):
Nonostante oggi sia una delle canzoni più identificabili degli Who, ai tempi Magic Bus non riscosse il successo sperato. A torto, perché anche in questo caso il solito lavoro di Townshend permise al brano di staccarsi dalla classica collocazione rock per abbracciare ritmi di chiara ispirazione blues se non addirittura bluegrass (considerando l’uso dell’armonica), per poi muoversi verso un ritmo dal fascino latino (Keith Moon infatti userà delle percussioni particolari utilizzando le bacchette Claves). Per gli amanti dei Simpson, impossibile non ricordare Homer chiedere a gran voce l’esecuzione di questo brano (anche se le cose non andranno come auspicato).
Pinball Wizard – Tommy (1969):
Tra tutte le canzoni che comporranno quell’opera rock chiamata Tommy, Pinball Wizard è sicuramente la regina. Se non bastasse la coinvolgente storia di questo fantomatico “re del flipper” ad incantare l’ascoltatore, ecco che la perfetta commistione tra chitarra acustica ed elettrica scuotono i timpani, senza contare i momenti in cui le voci si raddoppiano donando al brano una dimensione ancora più coinvolgente, quasi a portarci dentro la sala del flipper! P.S. non perdetevi la cover di Elton John.
Baba O’Riley – Who’s Next (1971):
Si può davvero scrivere qualcosa in merito a questo capolavoro? Difficile dirlo, e forse come poche altre volte, servirebbe delegare alle emozioni questo compito. Baba O’Riley è senza dubbio una delle canzoni più iconiche della storia musicale del ‘900, capace di coinvolgere chiunque sia nell’ascolto lirico che musicale, grazie ad un intro assurdo che vede la fusione di organo, tastiera (che eseguirà il riff perpetuo del brano) e batteria; ecco che poi la voce di Daltrey ci porta nella dimensione del racconto, finché un breve assolo di chitarra dà il là al violino di Dave Arbus che disegna una melodia inconfondibile e sognante (idea di Keith Moon). Che altro aggiungere? “Don’t cry, don’t raise your eye, it’s only teenage wasteland”.
Baba O’Riley
Getting in Tune – Who’s Next (1971):
Una delle chicche nascoste di Who’s Next, Getting in Tune è un elogio alla musicalità di Townshend, che modula la dinamica del brano come vuole, passando da morbide sequenze liriche (dove spicca il piano), a momenti di rock puro, che in qualche modo servono a dare una risonanza maggiore ad entrambe le parti. “Non posso fingere che ci sia un qualche significato nascosto nelle cose che sto dicendo, ma io sono in vena, proprio in vena” canta Roger Daltrey, alleggerendo in qualche modo la funzione narrativa dell’artista, in un modo che sembra ricordare il pensiero di Michelangelo Antonioni: “io ho fatto il film, adesso ognuno ci veda quello che vuole”.
Behind Blue Eyes – Who’s Next (1971):
Un ascoltatore casuale potrebbe pensare di imbattersi in una delle classiche ballad che le rock band amavano ogni tanto inserire all’interno dei loro album. E in effetti, il candido arpeggio iniziale, subito unito alla voce flebile di Roger Daltrey, sembrano andare in questa direzione. Ecco che poi, come al solito, gli Who fanno quello che vogliono, donando al brano una spinta rockeggiante inaspettata ma azzeccata come non mai. Di sicuro, dietro gli occhi azzurri, si nasconde un talento sconfinato.
I’m One – Quadrophenia (1973)
Costruita sullo schema delle ballad, I’m One è una delle canzoni “minori” maggiormente amate dai fan, che hanno subito trasformato l’adorazione del pezzo in un piccolo culto. Ballad, come dicevamo all’inizio, che nasconde la solita scarica elettrica sul ritornello, nel momento in cui il destino da perdente del protagonista sembra prendere la consapevolezza che sì, anch’egli, è un essere unico e speciale che potrà mostrarsi al mondo.
Won’t get Fooled Again – Who’s Next (1971)
Il rock più selvaggio, pregno di contenuti. È questa la costante degli Who, che sembrano non voler mai abbandonare i fan al semplice ascolto, ma ricordare loro la continua lotta per la sopravvivenza e la ribellione. Won’t get Fooled Again è l’ennesimo messaggio in questa direzione, un mantra da adottare come linea guida. “Combatteremo nelle strade con i figli ai nostri piedi, e le morali che loro adorano saranno spazzate via”. La rivoluzione culturale secondo quattro ragazzi di Londra.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/musica/quadrophenia-who-canzoni/