L’uomo ha rinunciato alla comprensione del mondo, crede di poterlo plasmare a propria immagine con potere demiurgico, di doverlo trasformare in direzione dell’utile immediato, di qualcosa di produttivo, tutt’al più di informativo, mai di formativo: bombardarci di informazioni, pressanti, continue, veloci, per non informarci di (e su) niente, nel quadro finale disegnato dall’homo videns. Dall’homo digitans. Varianti dell’homo communicans. Varianti di un pensiero atrofizzato ormai incapace di leggere e studiare, assopito, adagiato sulla comodità del blog, del link, dell’immagine, del social, del tweet: pochi caratteri per dire, commentare, partecipare a un dibattito. Pochi caratteri per dire ciò che avrebbe bisogno di approfondimento, competenza, letture. Ecco allora un mondo nel quale il mito della velocità ci dà l’impressione della conoscenza in tempo reale, quando, diversamente, assorbiamo il mero fluire limaccioso di immagini che non riusciamo a interrogare, comprendere. Non ne siamo capaci per difetto di passione, curiosità, per ignoranza della grammatica e della sintassi di quello stesso mondo che pretenderemmo di trasformare: meglio le sue immagini riflesse, più comodo per la pigrizia mentale che ci attanaglia tutti. Così i fantasmi di una realtà a noi ignota nel suo dipanarsi, assurgono a totem di quella realtà medesima che vorrebbero comunicarci come vera, giusta, autentica, solidale, laddove sono allineati – feticci dell’Assoluto più dispotico e prepotente mai visto in millenni di storia – i valori liturgici che sorreggono la nuova Teologia della socialità obbligata.
Philippe Muray ha definito in maniera esemplare tale concezione come Impero del Bene, laddove non vi è più spazio e diritto di cittadinanza per l’enigma, il totalmente altro, il differente punto di vista, l’opposizione, la seduzione del negativo (povero Nietzsche), destrezza, ebbrezza del brivido, vertigine dell’ignoto, per cedere il passo all’imperativo paranoico di una democrazia fondata su simulacri e finzioni. Allineamenti appiccicosi, nello stesso tempo persecutori di ogni individualità, di ogni pensiero autonomo. Quindi un sistema di cose nuovo e cremoso ha sconfitto su tutti i fronti il Male, grazie alla Banca Mondiale dei diritti dell’uomo che attraverso il linciaggio (dell’altro, del differente, del non omologato, del dissonante), ha creato la nuova socialità 2.0 (o 3.0, 4.0…). Un più moderno Illuminismo – avamposto della nuova bontà – che ci conduce contro sessismo, razzismo, discriminazioni di ogni tipo, maltrattamenti di animali, traffico d’avorio e di pellicce, responsabili delle piogge acide, xenofobia, inquinamento, devastazione del paesaggio, tabagismo, pericoli del colesterolo, aids, cancro eccetera eccetera.
Così dobbiamo quasi vergognarci di essere carnivori, di amare il circo con gli animali (nel ricordo dei nostri anni giovanili), di essere eterosessuali, bianchi; di avere un lavoro, un’istruzione, di credere al conflitto e alla lotta intesi come terreno della dialettica civile, di volere una famiglia nel rispetto della tradizione dei padri, come essi avevano e ci insegnavano; di aver avuto una madre e un padre (e non genitore 1 e genitore 2), di pensare che la competizione onesta e leale sia un valore nella vita, di reputare l’odierno sistema scolastico come una fabbrica di potenziali ignoranti (tutti promossi, tutti somari), di credere a ragione veduta che un professore vecchio stampo valga più di un’intera fabbrica di computer e di tutte le connessioni in fibra del mondo. Dobbiamo vergognarci, siamo colpevoli di aver accettato l’antica socialità, quando in ogni cosa si celava ancora il Male nelle sue infinite sfaccettature. Siamo liberi e benefici oggi: viva la libertà, viva l’amore (che vince sempre, eh!), viva l’Open day nelle scuole-aziende! viva il Nulla socializzato!
La nuova Teologia della socialità obbligata e la tirannia della verità comunicata (esse coincidono più di quanto immaginiate) ci danno la possibilità di reperire velocemente informazioni disparate con l’uso integrato di media, immagini e testi contenenti l’idolatria di questa realtà manipolata alla radice; ci inducono a pensare che viviamo il passaggio da una sottomessa cultura passiva a una emancipata cultura partecipativa; ad una più complessa e, aggiungo io, sofisticabile, intelligenza collettiva cui guardare da nuovi illuminati. Ma questa mistificazione (concettuale e pratica) ha il fine di organizzare la mente e la conoscenza in una sola direzione: quella impressa dai custodi, dai guardiani, dai legionari dell’inganno libertario. Dai cantori del nichilismo che ci vendono a poco prezzo. Anzi, ci regalano come il più utile e gradito dono, la conquista più grande. La hybris più completa e degenerativa della cultura occidentale ormai ha assimilato in sé, come valori assoluti, la schizofrenia identitaria, il nichilismo totalizzante, la svalutazione della memoria dei popoli (dove ogni cosa viene fatta confluire in un calderone di qualunquismo sociologico e antropologico), il terzomondismo ideologico. E badate, vi scongiuro, non fatemi apparire come un becero intollerante.
Il mondo non è più il mio mondo, come me lo hanno consegnato gli avi, bensì una controfigura in senso globalistico che vorrebbero farmi assumere – inondandomi di immagini e prescrizioni sempre più veloci e inintelligibili – come l’unico mondo possibile in una società civile, caritatevole, morale, armoniosa, umana (“Restiamo umani” è uno degli slogan), della fratellanza universale sotto la spinta del Papa ‘rivoluzionario’ e gli esempi dei governi ‘liberi’ a Sud del mondo, al passo coi nostri tempi. Al passo col Bene, col Sorriso, con l’Empatia universale, con la libertà di essere liberi sotto il vessillo della velocità, della fibra ottica, del tempo reale e, più giga, tera hai, più mondo avrai; più sarai ipocrita e solidale, più sarai alle porte del Regno dell’Infinita Umanità. Maleodorante carosello di luoghi comuni e banalità un tot al chilo. Nessun Sud del mondo, quindi, siamo tutti Nord. Siamo tutti liberi, umani, carnefici del Male (che fortunatamente è solo un ricordo).
Il nostro, purtroppo, è un mondo perversamente cibernetico, che ricade appieno negli ambiti di quella scienza del controllo e della comunicazione, secondo la definizione di cibernetica proposta da Norbert Wiener, ritenuto il “padre fondatore” di tale scienza, oggi, più patologia oncologica, che conoscenza ontologica, sapere, disciplina, scienza, nella loro accezione originaria. La Bellezza poi, non è altro che la musealizzazione della stessa. E ciò vale anche per la Bellezza della natura. Nessuno che si sforzi di capire i primordiali dettati etici, oltre che estetici della Bellezza, della Natura. Ormai semplici cose da esibire, delle quali e in nome delle quali ci si sente autorizzati a disquisire cazzata su cazzata, senza penetrarne l’intima essenza (Ah Novalis! Dove sei?). E quale filosofia potrebbe mai consolare questa filosofia dell’omologazione?
Anzi, quale filosofia dovrebbe consolare l’uomo di questo secolo, già fiduciario e segnacolo – per usare un modo di esprimersi indù – del kali-yuga, l’età oscura che copre il mondo col velo della nera dea Kali?
«Quei greci, tutti omosessuali…
A: Socrate è un uomo
B: Ogni uomo è mortale
C: Ogni uomo è Socrate
Quindi ogni uomo è omosessuale»
Woody Allen – Sillogismo di “Amore e Guerra”
«FILOSOFO: [Altro sillogismo] I gatti sono mortali.
Ma anche Socrate è mortale. Dunque, Socrate è un gatto.
VECCHIO SIGNORE: Socrate dunque era un gatto.
FILOSOFO: La Logica ce l’ha appena dimostrato.
VECCHIO SIGNORE: Però, è bella la Logica.
FILOSOFO: Sì, ma a condizione di non abusarne»
Eugène Ionesco – Sillogismo e dialogo de “Il Rinoceronte”
«A: Tutti i tedeschi sono uomini
B: Angela Merkel non è un uomo
C: Quindi Angela Merkel non è tedesca»
Esempio di Sillogismo Barocco
Perché questi sillogismi? Non è per sfoggiare qualcosa, non ho nulla di cui fare sfoggio, tranne la mia malinconia sofferente. Tra l’altro questi sono sillogismi “birichini” che trasgrediscono la regola del sistema architettonico altamente organizzato da Aristotele col suo procedimento logico, quantunque esprimibili nella loro veste formale, sia pur con risultati paradossali, esilaranti. Ricorderete che per il filosofo greco il sillogismo – inferenza fra due premesse e una conclusione – era il modello perfetto di ragionamento deduttivo, il fondamento tecnico di ogni scienza dimostrativa (così, detta alla spicciola, è evidente, no?). Quindi, chiedo ancora, più a me stesso che a voi: perché questi sillogismi? Per dire, con l’ironia di quegli esempi stravaganti, che il pensiero dei nostri tempi, un pensiero massacrato dal più inverecondo utilitarismo di dozzina, mercificato, fondato su “assoluti mercantilistici e finanziari”, è un pensiero che ha perduto capacità di interrogazione, di penetrazione, di stupore, di interpretazione e spiegazione del mondo, anche attraverso il paradosso e l’assurdo dell’argomentazione. Una concezione culturale che ha messo in un cantuccio Omero e Dante, per la quale contano i salotti televisivi, le “belle voci”, i “bei colori”, le “belle opinioni”, dove il saper fare si è capovolto nella coazione a dover fare. Un dover fare alieno di qualsivoglia idea in sé, maturata, compresa. Un pensiero assillante, maniacale, illogico, quantunque segua una sua logica mostruosamente opportunista, che ha declassato il nostro cervello a un ammasso meccanico formato da ingranaggi, mentre i nostri neuroni si comportano come supporti informatici di un calcolatore elettronico. Processori cerebrali che elaborano le informazioni registrate dal programmatore in quel software. Certo, lo so, l’ottimista di turno obietterà che il pensiero non ha mai smesso di pensare, che anche oggi numerosi filosofi, romanzieri e fisici sopraffini si interrogano su scienza e conoscenza. Ma è la prospettiva a essere cambiata.
L’uomo si è modificato purtroppo in un semplice consumatore di prodotti creati dal delirio di onnipotenza del mercato, dei mercati economici, azionari, commerciali, culturali, religiosi, eccetera. Una società succube del progressivo, imperante, colonialismo finanziario, di un industrialismo che pesa sulle nostre teste più di una sentenza dell’Inquisizione. Un uomo lasciato solo con i simulacri tribali di questa modernità votata alla perversione di una pruderia mielosa, appiccicosa come la colla per catturare i topi; fatta di immagini che ci rendono abulici e incapaci di guardare oltre quelle fotografie manipolate sapientemente alla base. Un uomo disumanizzato nel nome di un’idea sociale posticcia, educato alla scuola del conformismo, schiacciato dal bisogno di approvazione e di successo, abitante di un mondo governato dalle apparenze, spogliato della propria individualità, solo e disarmato nella moltitudine che gli si affolla intorno. Quel soggetto definito pensante (forse mendicante del pensiero), oggi logorato, sfibrato dallo spettacolo, dalla comunicazione spettacolare degli eventi, dall’ipnosi volontaria, privato della sua capacità di logica e di pensiero, intrappolato all’interno di miti universali, che non sono in nessun modo manifestazioni del sacro, dis-velamenti ontologici, parole che raccontano il mondo nella sua “temporalità segreta”, che si riappropriano del mondo medesimo e della temporalità non lineare. Solo immagini proiettate sul muro della nostra mente ormai inaridita, come i prigionieri della caverna platonica. E quando filosofi, romanzieri e fisici sopraffini credono di mostrarci il mondo, non si rendono conto che il mondo imposto alla nostra fruizione, è un mondo di forme che utilizziamo passivamente, complici più o meno consapevoli di quel delirio di onnipotenza del mercato delle immagini e dell’idolatria consumistica.
Nessun sapere, privo di sapienza, potrà mai, più, paragonarsi alla bellezza di un sillogismo aristotelico o all’intreccio di virtù e conoscenza di un dialogo platonico, per non tacere della profondità di un aforisma di Nietzsche e della magnificenza di un verso dantesco. E non vado oltre, registrando però, a mio malincuore, che gli stessi rapporti fra gli uomini sono regrediti a relazioni formali fra gli stessi, con l’aggravante di essere (noi tutti) “brutalizzati” da aggressive ideologie umanitarie, astratte (anch’esse formali), alle quali non puoi opporti in adesione al “politicamente corretto”, che in quanto astratte, formali, sono una forma di totalitarismo al servizio del mercato, dei mercati, delle ideologie dell’oblio. Dei mercanti della cultura e della politica. Dei telepredicatori. Dei moralisti. Dei servi acquiescenti. Dei monopoli religiosi. Delle chiese laiche. Di quella “cultura del piagnisteo” (concetto espresso da Robert Hughes in un libro dall’omonimo titolo), “cadavere del liberalismo degli anni Sessanta” e “frutto dell’ossessione per i diritti civili e dell’esaltazione vittimistica delle minoranze”. Di una barbarie che ci appartiene e ci domina. Lo stesso Hughes non esitava a scrivere:
I barbari tuttofare che oggi vanno per la maggiore si chiamano multiculturalisti.
A tutto ciò che rinnego hanno dato l’odiosissimo nome di politically correct, forma di lebbra sociale che ci devasta con le sue pustole. Quanto di più ipocrita e oppressivo possa aver inventato l’etica così poco libertaria dell’attuale società fondata sui mercati finanziari e il profitto, sul potere delle tecnocrazie bancarie e burocratiche, laddove non esistono più identità culturali e tradizioni. Laddove globalismo e globalizzazione (concetti aberranti, massificanti, liberticidi, che ci imprigionano in una cella invisibile) vengono spacciati per valori universali, universalismo. Col ‘piagnisteo’ a corredo.
Già, la triste “comunità umana” dei viaggi low cost e delle offerte last minute, del business plan e della Whatsapp generation. Un’impalpabile “comunità umana” senza volto, che ritiene valori universali ciò che invece reputo dis-valori, tenuta insieme dal mito della comunicazione globale (un’ottusità di fini e della comprensione delle cose); che ha bisogno di un continuo “trattato di pace” per poter vivere le illusioni quotidiane che ci insinuano nell’animo, lentamente, i Signori della guerra: «Ecco, vi ho dato il potere della conoscenza in tempo reale», ci dicono le sentinelle del nulla globalizzato, i custodi dell’intelligenza collettiva divenuta valore supremo. E mentre fanno questi proclami e ufficialmente studiano la politica per la pace (dopo averci donato il “fuoco” della comunicazione, della velocità e, a sostegno di tali “doni”, gli anglicismi più vuoti e inutili), nella penombra dei loro antri sulfurei decidono quale guerra combattere dopo averla “santificata” (tuttavia la più conveniente). Stabiliscono cosa farci immagazzinare in termini di valori e informazioni e quale trattato di pace stipulare per farci coltivare la certezza che viviamo al sicuro, nel migliore dei mondi possibili, nella democrazia più vera, moderna. Quella stessa democrazia che come Occidente decaduto, tramontato rispetto alle radici che lo avevano fondato, dobbiamo poco democraticamente esportare ad ogni costo in tutto il mondo.
Nei fatti, una colonizzazione di popoli, tradizioni, culture antropologiche e religiose nel nome di un’idea astratta, come è astratta la democrazia imposta con le armi, anch’esse santificate dai promotori di autenticità democratica, che sono poi gli stessi fabbricanti di armi e di morte: anche se si sta parlando di “morte democratica” e nel nome del valore supremo. Siamo tutti propaggini di questo guardare avanti senza scopi e identità, tutti così simili, fragili, ipnotizzati dentro le illusioni di un social network. In modo che il nostro tweet, da noi creduto un importante cinguettio, una “parola detta” in pochi caratteri, è appena, tirandola per le orecchie, una parola afona, fiacca, soffocata dalla sua stessa parvenza di espressione. Una parola tradita in partenza dal suo volersi legittimare come parola, non perché breve, ma perché non racconta, non “dice”; perché rispecchia l’omogeneizzazione culturale verso il basso, la prigionia dell’uomo dentro un pensiero acefalo. Però moderno, santificato.
Non ci stiamo ad essere folla, anonimo fra gli anonimi, soggetto incapaci di esprimere un pensiero proprio, ostaggio di best seller e premi Nobel assegnati per meriti spesso inesistenti. Rileggiamo Gioberti, uno che non piacerebbe a molti, uno che non sposerebbe nessuno dei pensieri cardine di questa società fondata su assoluti ingannevoli, ipocriti, multiculturali. Pugnalate pure a tradimento, conficcate le vostre lame dentro le nostre carni, tanto siamo degli sconfitti. La gente ama assistere alla sconfitta altrui, ama vedere l’altro in ginocchio. Lo chiama amore per il prossimo. Ovvero, il prossimo che sarà messo in ginocchio.
Fonte: https://www.lintellettualedissidente.it/societa/conformismo-politically-correct/