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Sinatra, Elvis, Dylan, Springsteen: macroscopia di una storia leggendaria

Con Frank Sinatra si racconta una storia dei due mondi, di due epoche, quasi, del novecento; e c’è di fatti con lui un pre e un post guerra mondiale, e una visione d’insieme che va all’inseguimento del futuro da costruire consonante a nuove canzoni e melodie per nuovi altari popolari – il pop appunto, il sinonimo più trascurato di cultura di massa, dal quarto d’ora celebre per chiunque a the medium is the message, la macchina è il messaggio, la produzione, il progresso, e in questo caso la ricostruzione anche di una musica nuova; e il pop è anche un sottogenere della cultura di massa e un genere musicale con linee di confine assolutamente precise.

Il primo punto è che comunque il punto di vista è squisitamente maschilista, ma non poteva essere diversamente, perché oltre alla Monroe, Patty Smith, Madonna, Tori Amos, Cat Power qualcuna del periodo beat, o degli anni trenta/cinquanta, qui non si riesce ad andare. E allora sotto con Frank Sinatra e le bobby soxers, alle quali farà poi seguito l’hop sock dell’era del rock and roll; ma è questo un discorso, seppur interessantissimo e di costume, le calze, le calze rosse, il baseball, la nascita delle cheerleaders, non volendo entrare nello specifico di traduzioni e tradizioni d’oltreoceano, dal quale in ogni caso si sta alla larga per non dare a tutto il lavoro il tono di un’improvvisazione sul tema american music (oh, I like american music, Violent Femmes, Why do birds sing… Do androids dream of electric ships?, racconti da universi distopici).

Subito dopo gli esordi prebellici, dunque, Frank Sinatra oltre che per la sua voce, e il formidabile controllo in grado di esercitare su di essa, è conosciuto come il pack master del Rat Pack, approssimativamente Las Vegas, anni cinquanta, (Only The Lonly, 1958 e seconda metà del 2018, deluxe edition per il 60mo) in cui a volerli ricordare in blocco si raccoglievano: Errol Flynn, Ava Gardner, Nat King Cole, Robert Mitchum, Elizabeth Taylor, Janet Leigh, Tony Curtis, Mickey Rooney, Lena Horne, Jerry Lewis, Cesar Romero e i membri originali del Holmby Hills Rat Pack, la casa di Humphrey Bogart, erano Frank Sinatra, Judy Garland, Sid Luft, Humphrey Bogart, Swifty Lazar, Nathaniel Benchley, David Niven, Katharine Hepburn, Spencer Tracy, George Cukor, Cary Grant, Rex Harrison, Jimmy Van Heusen; e con questa denominazione si arriva fino agli anni sessanta con la seguente formazione: Sinatra, ancora, sempre leader con Bogart, Dean Martin, Sammy Davis Jr., Peter Lawford, Joey Bishop, Marilyn Monroe, Angie Dickinson, Juliet Prowse, Buddy Greco, Shirley MacLaine; arrivando poi a the Jack Pack con JF Kennedy (al momento di scrivere, molti di questi sono solo dei nomi, ma nell’ultimo disco in uscita a momenti, Dylan dedicherà proprio una canzone a JFK; e i tre precedenti compreso il penultimo triplo sono praticamente delle raccolte di tunes già suonati e cantati dallo stesso Frank Sinatra).

In tutti i casi è evidente che anche nel caso di Frank Sinatra, come nel caso già osservato dei Velvet Underground, il cinema abbia fatto da catalizzatore di un vero e proprio movimento culturale, di una scuola di pensiero, di un’avanguardia come si direbbe in Europa, e questo lo si può constatare da Gershwin in avanti; e da Fitzgerald a scendere la storia che si propone sembra essere più o meno sempre la stessa, cinema e musica raccontano le due facce della stessa medaglia in una vera e propria e splendida configurazione multimediale – e il discorso Frank Sinatra potrebbe finire in questo istante senza nominare nemmeno una sola sua canzone.

Di fatto nessuno potrebbe negare che la carriera di Frank Sinatra sia strettamente e intimamente legata al cinema, se consideriamo che ha vinto un Oscar e un Golden Globe con From Here To Eternity e per miglior supporting actor, soprattutto.

The Song Is You, allora, è un box set di cinque CDs che raccoglie tutte le prime registrazioni di Sinatra con la Tommy Dorsey Orchestra, i suoi primi tentativi solisti come band leader, registrazioni radiofoniche varie degli esordi, il tutto proprio a partire dal 1942.

Musicalmente parlando, sperando che non sia la solita coincidenza si segnalano: Sinatra At The Sand con Count Basie e Quincy Jones (quello di Soul Bossa, uno dei produttori più importanti del music business americano), ma in questo disco si perde la metà del senso se non si capisce la lingua perfettamente: Frank Sinatra è un performer, un entertainer prevalentemente, lo stereotipo degli artisti di genere a seguire, si potrebbe dire, musica da club in qualche misura, dove la scena è prevalentemente quella di Las Vegas (è del maggio 2018 l’uscita tripla deluxe su cd e in digitale dal titolo Standing Room Only, con tre concerti: Las Vegas ’66, Philadelphia ’74, Dallas ’87); il successivo con Duke Ellington; My Way, ovviamente, 1969; eh, già…That’s Life, di tre anni prima, e della title track il testo è quasi lo stesso di Helter Skelter – ed evitiamo di commuoverci: si va avanti – ; Strangers In The Night, che risulta essere anche questo del 1966; e, siamo in tempi di fusion, non solo con Miles Davis e Bob Dylan, tempi di globalizzazione dei generi (Masoko Tanga, The Police, una delle conclusioni più di pregio), il disco di bossa nova appunto con Antonio Carlos Jobim del ‘67, complementare alla registrazione di Gilberto/Getz.

Arrivati a questo punto, in attesa di sapere qual è la “Best Band You Never Heard In Your Life”, tra quella di Imaginari Diseases, The Petit Wazoo del 1972; The Mothers 1970, cd quadruplo che esce adesso; The Mothers 1971 al Fillmore east; Live In NY 78; Roxy And Elsewhere, 1974; You Can’t Do That On Stage Anymore (volumi vari); Joe’s Camuflage, addirittura sui rehearsals e basta del 75, con lo scheletro di Any Dawners? che verrà pronto per You Are What You Is; Broadway the hard way, 1988, The Best Band You Never Heard, appunto, sul 1988 anche questo, band di dodici pezzi che durò meno delle Mothers 1970, in cui se stupisce la perfetta resa musicologica di Stairway to heaven, con la sua Purple Haze in medley con Sunshine of your live sembra già di sentire qualcosa di Pork Soda….con modi già sperimentati con The Torture Never Stops, versione Thing-Fish, pezzo con cui stava vincendo un Grammy alla prima cerimonia degli stessi… favoloso Frank Zappa, petit wazoo, Grand Wazoo, Waca Jawaca, Chunga’s Revenge, Drawing Witch, Them Or Us, Apostrophe…..Zoot Allure…..Overnite Sensation, You Are What You Is, e possiamo andare avanti all’infinito, e chissà quale altro miracoloso live di Zappa con l’ennesimo fantassolo esiste da far uscire; e poi c’è Joe’s Garage – e quando lo si ascolta per intero Joe’s Garage? – che oltre che ricordarci che un ragionamento sul music business Zappa lo aveva già fatto subito agli esordi con We’re Only In It For The Money, è da ascoltare assieme a The Wall di cui è a conti fatti la versione allegra… per cui Frank Zappa….che tra tutti è sempre un po’ quello più difficile da mettere da parte…e in attesa di una risposta o di uno studio chiarificatore, si diceva, poi ti casca l’occhio su John McLaughlin che pubblica con la sua Mahavishnu Orchestra The Inner Mounting.

Cioè McLaughling non ha colpi pop tipo Camarillo Brillo, Sharleena, Be In My Video, Disco Boy, ma alla fine chi è meglio McLaughlin o Frank Zappa?, ascoltiamo Noonword Race, ascoltiamo i Deep Purple,  McLaughlin è poi il chitarrista della svolta elettrica di Miles Davis con cui Zappa compete alla grande, e con McLaughlin Miles Davis pubblica Bitches Brew (Tomago Rat?) che fa cinquant’anni quest’anno – ma il discorso di fusione è “gioco vecchio oramai”, e comunque, attenzione, sono ben cinque in meno di Subterranean Home Sick Blues di Bob Dylan e dell’esplosiva propulsione elettrica con la quale si apre Bringing It All Back Home (1965), l’album della svolta elettrica o della confutazione folk dello stesso Dylan, che traghettando in direzione rock a partire da ambienti affatto folk e tradizionali, precorre anche Hot Rats e di ben quattro anni e il video è una gran bella botta – strepitoso Dylan – e tutto questo per dire solo che tre sono i grandi discorsi di fusion o di integrazione di genere che si possono fare, quindi: uno con Zappa, uno con Dylan e uno con Miles Davis; e il primo in battuta è proprio Bob Dylan con la doppia uscita del 1965: Bringing It All Back Home e Higway 61 Revisited. E il discorso, cioè, a voler solo sottolineare la portata colossale di Bob Dylan, questo lo si può proprio finire qui.

Si segnala: degli anni ottanta l’uscita clamorosa Dylan & The Dead coi Grateful Dead, e loro poi sono tra i migliori a suonare Bob Dylan dal vivo (meglio anche dei Birds; si veda Postcards Of The Hanging); il documentario di Martin Scorsese sul tour Rolling Thunder Revue; e il Nobel vinto per la letteratura – e tutti i discorsi cominciano da qui, e qui si chiude il discorso sulla fusion con la giusta dignità, con una citazione sulla doppia dorsale dell’abiura di Syd Barrett in Jugband Blues e della confutazione di John Keats e di una delle sue odi: “Information is not knoweledge. Knoweledge is not wisdom. Truth is not beauty. Beauty is not love. Love is not music. Music s the best”, Packard Goose, Frank Zappa, Joe’s Garage – ma c’è un errore ancheadesso: tutti i discorsi iniziano qui: Elvis Presley, ed Elvis, si sa, è il numero uno. Ma anche qui è contesa tra Beatles e Presley su chi sia il numero uno: Elvis alla fine è un po’ un tipo alla Frank Sinatra perfettamente conteso e condiviso tra musica e cinema.

Invece la discografia del piccolo collezionista dopo 33 anni con Bruce Springsteen si è fermata alle Seeger Sessions: di Magic si apprezza l’immensa Radio Nowhere, ma mancano: Wrecking Ball, Working On A Dream, Magic, appunto, High Hopes, ma questo è un disco a parte, e si riprende con Western Stars, vero ritorno alla grandezza originaria del Boss – Bruce Springsteen è al colonna sonora di una vita intera, e Blinded By The Light è un film evidentemente tratto da una storia vera. Springsteen inoltre si è reso protagonista di un show&tell per alleggerire con Calvin&Hobbes, sold out per quasi due anni ininterrotti, a Broadway, ma il Boss è il Boss, ragazzi, non c’è niente da fare. Il 99 segna l’anno della rinascita con i concerti di reunion della E Street Band culminati nel bellissimo Live in NYC del 2001 soprattutto in DVD. Poi ci sarà lo strepitoso The Rising, e il resto non è nemmeno più storia ormai, ma si divide tra mito&leggenda dei giorni nostri.

Ad ogni modo il postulato di estetica abbracciato da Keats e confutato in Joe’s Garage – la bellezza è verità – era già stato messo in discussione dagli U2 in The Playboy Mansion, 1998. Springsteen invece si è allineato alle intenzioni filosofiche di Kant in qualche maniera, arrivando a dire in No Surrender: I wanna sleep beneath peaceful skies in my lover’s bed, with a wide open country in my eyes and these romantic dreams in my head…il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me.

While singin’ the blues, allora, a real Bob Dylan experience – e a scanso di equivoci, per non sbagliare, è meglio che ti fai una big babol: “the pump don’t work ‘cause the vandals took the handle” – Subterranean Homesick Blues, Bob Dylan, 1965.

 

Fonti: https://le-citazioni.it/frasi/176448-frank-zappa-informazione-non-e-conoscenza-conoscenza-non-e/

sinatra.com

elvis.com

zappa.com

bobdylan.com

brucespringsteen.net

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