Con l’arrivo della stagione autunnale, per gli appassionati d’arte non mancano gli eventi dedicati ai grandi nomi e retrospettive interessanti. Dopo il successo della mostra in Palazzo Fava a Bologna, dal 1° ottobre Edward Hopper (Nyack,1882- New York, 1967) torna nella capitale in una straordinaria retrospettiva. Oltre 60 opere realizzati tra il 1902 e il 1960 e una sezione inedita saranno esposti negli spazi dell’Ala Bransini del Complesso del Vittoriano fino al 10 febbraio 2017.
La mostra
Le opere di Hopper sono state eccezionalmente prestate dal Whitney Museum di New York, che di Hopper custodisce l’intera eredità. La rassegna, curata da Barbara Haskell (del museo newyorkese) in collaborazione con Luca Beatrice, ripercorre la straordinaria produzione dell’artista tra cui celebri capolavori come: South Carolina Morning (1955), Second Story Sunlight (1960), New York Interior (1921), Le Bistro or The Wine Shop (1909), Summer Interior (1909), interessantissimi studi (come lo studio per Girlie Show del 1941). A questo si aggiunge anche il prestito eccezionale dell’olio su tela Soir Bleu, dipinto da Hopper a Parigi nel 1914. Oltre ai capolavori di Hopper, inoltre, il percorso offre una sezione della mostra tutta inedita, che testimonia dell’influenza della tecnica del pittore sul grande cinema a lui contemporaneo: film di Philip Marlowe, lavori di Hichcock, primi fra tutti Psycho e La finestra sul cortile e di Antonioni. Così come in Profondo Rosso Dario Argento si ispira a Nighthawks per ricostruire la sequenza del bar.
Edward Hopper: pittore della solitudine
Conosciuto in tutto il mondo per la sua capacità di ritrarre il senso della solitudine nelle classi medie della società americana a lui contemporanea, Hopper è stato un artista lontano dalle tendenze astratte o surreali che contraddistinsero i nuovi linguaggi artistici della prima metà del Novecento scaturiti dagli sconvolgimenti sociali e politici. Per Hopper nacque l’esigenza di andare oltre la realtà apparente, in modo da indagare e riprodurre la realtà interiore: l’inconscio dell’animo umano. Lui stesso infatti sosteneva che dipingeva quello che provava, non quello che vedeva.
Ogni suo dipinto “fissa” una scena sempre silenziosa i quali personaggi dipinti appaiono fermi come se ripresi nell’attimo di un pensiero, di un momento di solitaria riflessione. Il senso di vuoto, di alienazione, di grave incomunicabilità sono nelle opere di Hopper la rappresentazione di un mondo sempre più moderno, sempre più avanzato, sempre più veloce e che, proprio per questo, gli appare (ed è) moltiplicatore di solitudine ed incomunicabilità, e che, a ben vedere, è uguale ancora oggi con il boom dei social network.
Hopper si dedicò soprattutto al disegno, spaziando nelle varie tecniche pittoriche. In esposizione gli acquarelli parigini, i paesaggi e gli scorci cittadini degli anni ’50 e ’60 e, infine, le immancabili immagini solitarie di donne rivelano come la mano di Hopper è riuscita a rappresentare in modo reale la solitudine dell’attesa del vivere, tra pausa degli eventi e meditazione solitaria attraverso la nitidezza di uno scatto fotografico. E per il suo stile così inconfondibile e sui generis, fatto di sofisticati giochi di luci fredde, di colori non vivaci che conferiscono alle sue opere un’atmosfera metafisica, che Hopper, pittore del “silenzio”, oggi risulta essere tra gli artisti più noti e amati dal grande pubblico.