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Giorgio Perlasca: uno dei “Trentasei Giusti ” al mondo nel saggio di Deaglio

27 Gennaio, il tempo per un attimo si arresta e ritorna al 1945, quando Le Forze alleate riaprirono i cancelli di Auschuwiz, riportando alla luce l’infamia di Hitler e delle leggi razziali, che prima devastarono e poi consumarono un’intera popolazione di Ebrei. In questa data, ogni anno si celebra il Giorno della Memoria. Una memoria ricostruita soprattutto da uomini e donne che hanno vissuto da protagonisti l’orribile olocausto, mostrandoci un pezzo di storia che non dovrà mai più ripetersi.

Alcuni Testamenti importanti ci sono anche nella letteratura come il libro Se questo un uomo di Primo Levi o il Diario di Anna Frank, che attraverso i loro occhi ci fanno vivere l’incubo dello sterminio degli  ebrei.

Nel 1991 un giornalista, Enrico Deaglio, ha riportato un’ulteriore testimonianza, raccontando la storia di Giorgio Perlasca. Il titolo del saggio è La banalità del bene.                                                                         In questo saggio Deaglio tesse la trama del saggio seguendo due fili precisi: La prima parte del racconto viene riportata oralmente dallo stesso Perlasca che sta tenendo un’intervista con il giornalista. Nella seconda parte il lettore apprende le vicende attraverso le parole del diario che Perlasca scrisse durante quegli anni.

L’incredibile vicenda di un commerciante padovano

Perlasca nacque a Como da una famiglia cattolica. Dalla città natale è costretto a trasferirsi a Trieste, dove aderisce al fascismo. L’ammirazione di Perlasca per D’Annunzio fu l’oggetto di uno screzio con un professore e che gli costò l’espulsione per un anno da tutte le scuole. Deaglio riporta testualmente le sue parole: “A dire il vero non sono il tipo da sgobbone, non finii  l’istituto tecnico. Ero uno a cui piaceva divertirsi, stare con gli amici e giocare a Pallone”. Nel 1936 andò come volontario, prima in Abissinia poi in Spagna. Da veterano, venne richiamato alle armi. Erano gli anni del “Manifesto della razza” e delle leggi razziali: gli ebrei cominciavano ad essere considerati una razza inferiore. Al giovane Perlasca, la realtà delle leggi razziali stava stretta: le considerava inique.

Questo suo essere “fuori dalla linee”, spinse i suoi superiori a spedirlo in licenza agricola. Quando scoppiò la guerra Perlasca aveva trent’anni e lavorava nella SAIB (Società Anonima Importazione Bovini), fu inviato a Budapest come diplomatico. In quel periodo i nazisti ungheresi avevano ormai occupato la città, imprigionando tutti i diplomatici del posto. Grazie ad un permesso per una visita medica, Perlasca riuscì a fuggire, trovando rifugio da alcuni conoscenti. Il servizio militare prestato in Spagna, qualche anno prima agevolò la sua entrata nell’ambasciata Spagnola, dove ottene un passaporto spagnolo. Da allora il suo nome sarebbe stato Jorge Perlasca. Da quel momento sarebbe cambiata la sua vita.

Perlasca: gli anni della sua formidabile impresa

Nel frattempo la guerra dilagava e ben presto tutti gli ebrei ungheresi “parassiti e contagiosi bacilli della tubercolosi”, come li definiva Hitler, andavano sterminati.

L’ambasciata da quel momento diventò il campo base per un operazione rischiosa: Jorge insieme ad un gruppo di persone, cominciò a rilasciare salvacondotti falsi, che impedirono alle SS di catturare gli ebrei, perché protetti da un paese neutrale, la Spagna. Gli Ebrei strappati dai vagoni merce venivano protetti e ospitati in otto case rifugio, istituite preventivamente da Perlasca e il suo seguito. Mentre la guerra, inesorabile, continuava a seminare morte e terrore, l’ambasciatore spagnolo Sanz Briz scappò. Il governo lo accusò di essere fuggito. Perlasca approfittò della situazione e si autonominò ambasciatore spagnolo. Consegnò un documento al ministro degli Esteri dove si leggeva che l’ambasciatore si è trasferito per svolgere al meglio le sue funzione e che esisteva una precisa nota di Sanz Briz che nominava Perlasca suo sostituto per il periodo della sua assenza” come riporta lo stesso Deaglio.

Quel magnifico “impostore”, in compagnia di un gendarme che issava il vessillo spagnolo, girando per le strade riuscì a portare in salvo più 5000 Ebrei Ungheresi.

La fine della guerra e il ritorno a casa

La guerra stava volgendo ormai a termine, l’Armata Rossa entrò a Budapest, Perlasca venne imprigionato per un breve periodo. Dopo poco ritornò nella sua casa padovana dove condusse una vita normalissima. Nessuno seppe mai delle imprese eroiche di cui fece promotore.

Negli anni Ottanta, un gruppo di donne riuscì a rintracciarlo per rendergli un meritato omaggio, e così la storia di Perlasca cominciò ad essere raccontata. Giorgio Perlasca fu insignito del titolo “uomo giusto” e dichiarato eroe in molti paesi europei

L’intento didascalico del saggio

Il Saggio inizia con una domanda che Perlasca pone a Deaglio: “Che cosa avrebbe fatto al posto mio, vedendo massacrare delle persone innocenti?”. Stava svolgendo il suo lavoro da diplomatico eppure non riuscì ad essere indifferente alla barbarie che si consumavano sotto gli occhi distratti del mondo. Tutti sapevano ma nessuno mosse un dito per cercare di evitare un genocidio innocente. Si comportò come se l’altruismo, il coraggio e la solidarietà fossero delle qualità innate, insite in ogni uomo. Come se fosse una cosa semplice, banale e che tutti avrebbero dovuto fare. Una banalità nel fare del Bene appunto.

Il titolo è come un déjà vu: nel lettore riecheggia  immediatamente il libro di Hannah Arendt, la banalità del male. La scelta non è causale. Deaglio lo utilizza volutamente per riportare una storia completamente opposta. Alla banalità del male di Eichmann, descritta dalla Arendt oppone la banalità del bene di Perlasca.

Nonostante la sua impresa fosse stata grande, Perlasca non si è mai sentito un eroe, anzi come riporta Deaglio nel suo saggio “Per far parte dei modelli vigenti dell’eroismo, gli mancavano molte qualità. Troppa modestia e poca attitudine a scalare il palcoscenico”.

Perlasca accettò di raccontare la storia, per far comprendere alle generazioni future che,non basta guardare ma è necessario vedere ed agire, invitando tutti a non aver paura di pronunciare quel monosillabo così breve ma così carico di coraggio, NO e che il più delle ci dà la possibilità di arrestare violenze e soprusi.

About Melania Menditto

Mi chiamo Melania Menditto. Sono una giornalista pubblicista iscritta all'ordine dei giornalisti della Campania. Amo la Letteratura, il Teatro, la Poesia, la Scienza forense, la Musica. Da sempre ammaliata dal Mondo di carta, sogno di farlo esplorare ai tanti, grandi o piccoli che siano.

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