Se c’è una lezione che la triste giornata di ieri ci ha insegnato, e della quale si dovrebbe far tesoro, è quella – l’ultima – del compianto Tullio De Mauro (Torre Annunziata, 30 marzo 1932 – Roma, 5 gennaio 2017).
Uomo libero, colto e raffinato, Tullio De Mauro aveva dedicato la vita al Paese, con un impegno non solo politico, ma anche sociale (si tengano a mente, a tal proposito, le correlazioni ‘Smithiane’ tra padronanza della lingua e fluidità dell’economia di uno Stato). Quanta inutile fatica, si potrebbe essere portati a pensare, in un periodo storico buio e miope, come quello in cui viviamo. Sì, perché i giovani non leggono più, o leggono davvero poco; perché l’italiano medio, dati alla mano, coglie con fatica il significato di un breve e semplice testo, e non pare, a causa di ciò, soffrire; perché il classico utente delle principali fonti del web, e dei social network più in vista, riesce a stento a verificare la veridicità di una notizia.
Perché, dunque, continuare a farsi strada in un ginepraio senza un’apparente via d’uscita, ed anzi, con prospettive future anche peggiori? Tullio De Mauro conosceva bene la situazione di un’Italia culturalmente in ginocchio. Un’Italia sulla scia peccaminosa dell’abbandono progressivo dell’uso pieno della lingua più pura. Un’Italia che De Mauro vedeva sempre più superficialmente anglofona. “Superficialmente” perché, come aveva più volte notato il linguista traduttore dell’illustre Ferdinand de Saussure, se da un lato l’italiano medio ricorre sempre più spesso agli anglismi, sempre meno italiani possono dirsi realmente ferrati in una lingua straniera. E sapeva, De Mauro, che la lingua italiana, un tempo controllata e misurata, andava sbilanciandosi – come aveva puntualizzato in un intervista decentemente recente – verso il turpiloquio, verso le parolacce liberalizzate anche in ambienti politici e culturali (i giornalisti si compiacciono nell’usarle, aveva detto). Era a conoscenza, infine, l’ottimo ed instancabile Tullio De Mauro, della tragedia dell’ignoranza italiana quale instrumentum regni. Un tasso catastrofico d’impossibilità al raziocinio, che, in una scala di cinque livelli – numeri e studi tutti suoi – relegava ai terribili primi due posti la maggioranza della popolazione in età lavorativa.
Cosa fare, dunque? Cosa pensare? È forse, l’Italia, una nave che affonda, e da abbandonare pena la tragica fine? Tullio De Mauro conosceva altro, oltre alle ferite di un’Italia martoriata. Sapeva l’Italia non essere l’unica vergogna mondiale, ed anzi essere seguita di pari passo dalla Spagna. Sapeva l’ignoranza strumentale avviluppare gran parte di Paesi europei primi per civilizzazione ed evoluzione del sistema d’istruzione, nonché più della metà della popolazione adulta degli USA. Sapeva, Tullio De Mauro, che il politico, lo scrittore ed il giornalista tendono alla parolaccia più che mai, ma non hanno, essi, la forza di deformare una lingua forte, complessa e profonda, come “quella di Dante”.
Ecco come reagire, all’alba del primo giorno senza Tullio De Mauro. Guardando al peggio, e muovendoci verso il meglio, in maniera consapevole, severa, ma ottimistica.