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Annalina Grasso

Giornalista, social media manager e blogger campana. Laureata in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con L'Identità, exlibris e Sharing TV

L’amore è dialogo, preludio di una relazione stabile che cresce mentre si consuma, come ci suggerisce il dipinto di Friant ‘Les Amoureux’

amore

Forse, da sempre, abbiamo dell’amore un’immagine incompleta e unilaterale. Confermata da secoli di letteratura e di storia dell’arte. È l’amore come passione incontenibile, come desiderio che non sa trattenersi e che si libera andando ad abbracciare e a baciare la persona amata. Tutta la storia dell’arte, in fondo, è costellata da raffigurazioni di questo tipo. E se l’amore fosse anche altro? È quanto ci suggerisce uno splendido quadro di Émile Friant (Dieuze, 16 aprile 1863 – Parigi, 9 giugno 1932), intitolato "Les Amoureux" (1888), “Coloro che si amano”. Sullo sfondo, un suggestivo paesaggio fluviale, con dolci colline verdi immortalate, verosimilmente, quando l’autunno inizia a sopraggiungere. In primo piano, i due innamorati: raffigurati – questo l’aspetto più interessante – in maniera diversa e non convenzionale rispetto a secoli di tradizione artistica. Non si baciano, né si abbracciano: non è l’elemento della passione amorosa a prevalere. Parlano tra loro, in dialogo. Che siano innamorati e non semplici interlocutori è rivelato, oltre che dal titolo, dallo sguardo con cui ciascuno contempla l’altro.

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Oscar 2018: vince ‘La forma dell’acqua’, premiato anche il film dell’italiano Guadagnino per la migliore sceneggiatura non originale

Oscar 2018

In una serata degli Oscar che ha rispettato tutti i pronostici dei bookmakers e che non riservato sorprese o scossoni il vero vincitore è stato La Forma dell'acqua di Guillermo del Toro, che ha vinto quattro Oscar, tra cui quello per il miglior film. Subito dietro, anche se per Oscar minori, Dunkirk di Christopher Nolan con tre, seguito da Tre manifesti a Ebbing, Missouri, che ha vinto per il migliore attore non protagonista e la migliore attrice protagonista, Francis McDormand. Con due Oscar invece L'ora più buia, che ha vinto sia per il make up che con il migliore attore, Gary Oldman. Due Oscar anche per Blade Runner 2049, ma non quello per la scenografia che vedeva in corsa l'italiana Alessandra Querzoli. Soddisfazione anche per Coco, il film animato della Pixar, vincitore di categoria e per la migliore canzone originale. Un Oscar è andato anche a Get Out, migliore sceneggiatura originale, e a Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino per quella non originale di James Ivory. Un Oscar anche a I, Tonya per l'interpretazione da non protagonista di Allison Janney in una serata che non vede film sconfitti malamente tornare a casa a mani vuote.

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Elezioni politiche 2018: vince la realtà, il cosiddetto populismo che fa ancora storcere il naso ai radical chic che vivono su un altro pianeta

elezioni politiche 2018

Dal trionfo del Movimento 5 Stelle alla débâcle del Partito Democratico, dal successo della Lega al tonfo di Forza Italia: come cambia lo scenario politico italiano dopo le elezioni del 4 marzo? A guardare le mappe spennellate di colori politici, l’Italia è divisa in due: Lega Nord e Lega Sud. Il meridione e le isole sono macchiati del giallo del Movimento 5 Stelle, il settentrione è zona targata Lega. I veri vincitori sono loro, i partiti cosiddetti populisti, i partiti della realtà. I perdenti? Innanzitutto il Partito Democratico dell’ex-premier in bicicletta Matteo Renzi, che ha dimezzato i consensi, insieme alla fotogenica e onnipresente Emma Bonino e ai colonnelli fuoriusciti (dalla casa democratica e dalla storia) Bersani, D’Alema, Grasso e compagnia. Non se la passa bene nemmeno Forza Italia, che guadagna la seconda posizione all’interno della coalizione del centrodestra.

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‘Il dottor Semmelweis’ di Céline, perfetta metafora della classe dirigente italiana

Il dottor Semmelweis

L’importante è esagerare, dicono. L’importante è partecipare, davvero? La pena che i buoni devono scontare per l’indifferenza alla cosa pubblica è quella di essere governati da uomini malvagi, sosteneva Socrate. E chi non ha ali non deve mettersi al di sopra di abissi, asseriva Nietzsche. Non basta fare il bene, bisogna anche farlo bene, affermava Diderot. Un incipit di tutto rispetto, non c’è che dire. Ma il proliferar di tale verbo filosofico e millenario dove ci porta? Negli occhi di Ignazio Filippo Semmelweis, protagonista de Il dottor Semmelweis di Louis-Ferninand Céline.

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‘Il filo nascosto’, l’ultimo capolavoro di P.T. Anderson che accosta con rigore narrativo i misteri della creazione artigianale a quelli dei rapporti di coppia

Il filo nascosto

Mentre gli uomini amano svestire le donne, lo stilista Reynolds Woodcock, fulcro della moda britannica, che abbaglia anche la famiglia reale, ama vestirle per trasformarle in feticci privati di una volontà di dominio che le sublima nel momento in cui le imprigiona. Se Day-Lewis con il suo sguardo sfuggente ed enigmatico giganteggia –ancorché non gli giovi l’eccessiva affettazione del doppiaggio italiano- nel ruolo inventato a partire da figure storiche del cinico e anaffettivo protagonista di Il filo nascosto è perché P. T. Anderson gli costruisce attorno, appunto, come con l’ago, il filo e il centimetro, una tela di comportamenti, gerarchie, nevrosi e rituali su cui la cinepresa indaga cercando di scioglierne l’intrinseco rebus. Quasi sempre serrato nelle stanze del lussuoso edificio che riunisce abitazione e atelier del sarto più venerato della Londra anni 50, il film candidato a sei Oscar, ma in ogni caso già iscritto al novero dei cult-movie, utilizza il tema della moda come un mezzo anziché un fine, riuscendo ad avvicinare con una rigorosa strategia narrativa (sino a correre il rischio di estenuare gli spettatori) i misteri della creazione artigianale/artistica a quelli dei rapporti amorosi/morbosi di coppia.

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Salviamo la scuola dall’anacronismo politico

scuola italiana

Lavinia Flavia Cassaro, l'insegnante di Torino che ora rischia il posto per aver augurato la morte alle forze dell'ordine, rappresenta uno dei tanti modelli diseducativi che vorremmo sinceramente sparissero dalle nostre scuole. Sembra che l’aria che si respira possa tranquillamente provenire da uno dei film di Elio Petri: le strade sono in fermento, i caschi della celere non occupano le gradinate degli stadi ma l’asfalto, ed il neo prototipo dell’anarchico da copertina si scaglia contro i tutori dell’ordine costituito. Cortei e fumo, disordine controllato, di nuovo il nemico nero da combattere, l’incombere di vecchie paure con l’ombra che torna a distendersi sul martoriato stivale del Belpaese. “Anacronismo che avanza!”, potrebbe essere lo slogan di una moderna corrente di pensiero, che ripesca modelli dal passato, per far fronte alla voragine politico-sociale, apertasi nel tessuto di questa nostra Italia che stenta a trovare una propria identità.

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Haruki Murakami: narratore di storie normali dominate dalla Τύχη che trascende l’uomo

Murakami

Cosa rappresenta quel piccolo uomo nato il 12 gennaio 1949 in Giappone? Haruki Murakami nasce a Kyoto ma il periodo fondamentale della sua formazione, umana ed artistica, lo passa a Tokyo, dove arriva nel 1968. Per chi non ne fosse a conoscenza, il 1968 non è solo la stagione di Charles Manson e le Brigate Rosse. Il 1968 è una stagione pregna di significato, una stagione di scontri e rivendicazioni che scuote il mondo intero come un terremoto . Anche il Giappone non viene risparmiato da queste scosse telluriche e lo stesso Murakami, un adolescente solitario con il vizio della buona musica e della letteratura, è inglobato in questa spirale; vi assiste, si eclissa ma ne resta segnato, come si può evincere dalla morte del marito della signora Saeki, che in Kafka sulla Spiaggia trova una morte tragica quanto assurda, ucciso in mezzo ai moti rivoluzionari senza alcuna ragione.

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Arti figurative, musicalità dei versi e richiami eterogenei nei misteriosi ‘Canti Orfici’ di Dino Campana

Dino Campana

Storia vecchia come il mondo quella che associa i poeti ad una qualche forma di pazzia. Già Platone d’altronde era stato chiaro: un uomo è incapace di poetare o dare responsi se non è fuori di sé, invasato, finché la sua mente vacillante non c’è più. Dino Campana la fama del folle inizia a cucirsela addosso sin da giovanissimo con le azioni più che con l’inchiostro della penna: le fughe improvvise, il misterioso vagabondare tra i monti, i subitanei furori, la tormentata storia d’amore con Sibilla Aleramo, le minacce a Papini reo di aver perduto il suo prezioso manoscritto, tutti elementi che avrebbero presto portato a una precisa diagnosi e a una fatale condanna: schizofrenia, sia internato.

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