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Annalina Grasso

Giornalista, social media manager e blogger campana. Laureata in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con L'Identità, exlibris e Sharing TV

‘L’urlo’ di Allen Ginsberg: ribellione al conformismo e rinnovamento della poesia americana

Ginsberg

Allen Ginsberg è nato a Paterson, nel New Jersey, nel 1926. Frequentò la Columbia University ma ne venne presto espulso per indisciplina. Entrato in contatto con Kerouac, Borroughs e Corso, divenne insieme a loro uno dei maggiori esponenti della beat generation. Iniziò verso la metà degli anni Cinquanta la diffusione dei suoi messaggi di protesta contro la civiltà consumistica e partecipò a diverse manifestazioni contro la guerra e a difesa dei diritti civili. La sua opera più significativa, il poemetto L'urlo del 1956, fece enorme scalpore e fu censurata per oscenità; in seguito però divenne, insieme al romanzo di Kerouac Sulla strada, un best seller e uno dei manifesti della beat generation, Nell'opera il poeta critica la società materialistica contemporanea che disumanizza l'individuo, a cui non resta altro che la fuga, nella pazzia o nell'anarchia.

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Stefan Zweig, raffinato scrittore appartenente all’età d’oro della ragione, in cui è la psicoanalisi il motore delle sue opere

Zweig

Scrittore, poeta, giornalista, drammaturgo e traduttore; Stefan Zweig, appartenente ad un’agiata famiglia ebrea, nacque a Vienna nel 1881 e morì suicida a Petrópolis, in Brasile, nel 1942. Famoso soprattutto per le sue novelle e le innovative biografie, Zweig è stato il primo scrittore ad inserire la psicanalisi nella narrativa. Negli anni Venti e Trenta fu uno dei massimi successi letterari, tra gli scrittori più letti e tradotti al mondo. Giorgio Kurschinski ci rivela che in Francia è oggi “uno dei due o tre scrittori di lingua tedesca mai dimenticati”, tanto da aver meritato nel 2003 un busto commissionato dalla presidenza del senato, collocato accanto a quelli di Verlaine e Stendhal nei giardini del Luxembourg. Dalle sue opere sono stati recentemente tratti i film Una promessa (2014), Grand Budapest Hotel (nomiantion agli Oscar 2015) e Stefan Zweig: Farrel to Europe, in corsa per gli Awards del 2016.

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Pietro Citati, scrittore, saggista e critico letterario. Un’interessante e coinvolgente disquisizione letteraria su Fëdor Dostoevskij

Pietro Citati

Un libro su Dostoevskij? Non ci ho mai pensato, è troppo difficile. A parlare, con fare schivo e disarmante, è Pietro Citati, il più poliedrico e avvincente scrittore italiano dei nostri tempi. La sua penna non ha confini: abita ogni recesso della letteratura mondiale. Di cui coglie, sui quotidiani e in corpose monografie da quasi mezzo secolo, i misteri inesauribili e inafferrabili, la natura fuggevole e cangiante, sbrogliando e ricucendo infinite tele romanzesche. Legge e rilegge, scandaglia vite e scompone testi, di ogni epoca e poetica, inabissandosi nello scheletro di genialità letterarie, per poi riemergere con incastri narrativi prima di lui inimmaginabili: autori e personaggi, romanzi e testi poetici vengono spogliati, sviscerati e ricostruiti (o meglio, riscritti) con un ineguagliabile impulso narrativo che invade, con prepotenza, lo scopo critico dei suoi articoli. Impossibile, dunque, distinguere il Citati critico dal Citati narratore: nelle sue pagine, autore e opera divengono protagonista e trama di un inedito e appassionante romanzo critico.

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L’adattamento di Raúl Ruiz del capolavoro di Marcel Proust

Proust

Ruiz distilla il lavoro di 2300 pagine di Proust in sole due ore e cinquanta minuti, incentrando il film sul volume conclusivo, mentre pesca liberamente dalle sei parti che lo precedono. Il film è costruito da una serie di flashback negli ultimi giorni dell’autore ormai sul letto di morte, quando è in lotta con la malattia per completare il volume finale. Lo scrittore (interpretato da André Engel), scavando nella memoria aiutato da una pila di fotografie, evoca visioni di se stesso prima come bambino precoce (Georges Du Fresne) e poi come adulto (Marcello Mazzarella), età in cui frequenta i dorati reami dell’alta società, dissezionandoli e rendendocene indietro una cronaca minuziosa e caustica.

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I sessisti moderati.l’affaire Weinstein e ‘Vice’

Weinstein

L'affaire Weinstein è stata delirante se pensiamo come ha riportato sulle prime pagine personalità dello show-bizslittate col tempo nel dimenticatoio della storia. Quei maledetti “15 minuti di celebrità” li vogliono tutti e allora perché non cavalcare lo scandalo delle molestie sessuali per risorgere dall’oltretomba. Nel girone dell’inferno statunitense, dove regna la doppia morale puritana, gli uomini sembrano incapaci di controllare una libidine gonfiata da una società delle immagini frustrante e auto-contemplativa che ti fa vedere ovunque culi, cosce e tette, con il divieto sacrosanto di toccare. Il linciaggio mediatico non perdona. I lib-lib, monopolisti della democrazia, sono lì che ti aspettano per farti la festa, anche se nel gioco delle parti, a volte, le parti si invertono.

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L’Italia negli occhi dei grandi stranieri, da Cioran, Goethe, Borges a Pasolini, passando per Churchill

Italia

Diciamo subito le cose come sono: l’Italia la si ama o la si odia, tertium non datur. Gli unici che hanno il diritto di amarla e oltraggiarla al contempo sono gli italiani stessi. Gli stranieri hanno sempre visto l’Italia come una terra in bianco e nero, gonfi di pregiudizi positivi o negativi che fossero, mentre l’italiano vive nel grigio di sentimenti contrastanti: a volte si pensa all’Italia come al paese più bello del mondo, altre volte si sogna un bombardamento al napalm dal Brennero a Pachino. Curiosamente – ma non ci sorprende – l’opinione dell’Italia e degli italiani nel passato era ben diversa dall’immagine dei Berlusconi pizza e mandolino che ci viene spiattellata in faccia ogni volta che varchiamo i confini. Oggi si ha la sensazione che molti stranieri ritengano l’Italia un paese meraviglioso e ricco di un patrimonio che non ha eguali nel mondo, peccato però per la gente che vi abita, rozza, inconcludente e ritardataria. Sarà pur vero, saranno le esigenze del tardo capitalismo, ma la flemma che ci ha da sempre caratterizzati veniva additata come il pregio di un popolo in grado di vivere senza affanni.

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‘Napoli velata’ di Ozpetek: un melodramma barocco pretenzioso impigliato nell’ambiguità delle menti e dei corpi

Ozpetek

Napoli e Ozpetek. Un bell’incontro sulla carta perché sia la città, sia il regista sono allergici alle definizioni univoche e costringono a non ricorrere alle etichette prestampate. Vorremmo, però, subito pregare che si rivolga altrove chiunque pensi di scovare in queste righe un riscontro al grottesco ping pong tra gli amatori e gli odiatori del brand Gomorra. Secondo noi, infatti, in Napoli velata non c’è niente che evochi una sorta di arrivano-i-nostri contro i loschi mercanti di finzione ovvero, per essere ancora più schietti, il fatto che Ozpetek abbia scoperto e si sia innamorato della Grande Bellezza partenopea fa onore alla sua sensibilità d’uomo e d’artista, ma conta molto poco sul piano della qualità di questo mystery impigliato nell’ambiguità delle menti e dei corpi. Per pareggiare le storie di funesta delinquenza (ahinoi) suggerite a getto continuo dalla cronaca, tra l’altro, non mancano affatto le opere votate al napoletanamente corretto e non si capisce perché le piroette oleografiche della serie Sirene non influenzerebbero lo spettatore-cittadino come le crudezze di O’stregone o Sangueblù, né perché gli stupendi appartamenti sul mare di I bastardi di Pizzofalcone compiacerebbero il popolo meno dei vicoli di Forcella o le Vele di Scampia.

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Gli schiavi delle feste del Natale

lavoratori di natale

Essere sfruttati lavorando durante le Festività, nella volgarità dei centri commerciali, sintetizza al meglio tutte le contraddizioni di un modello di sviluppo condannato all'esplosione. Siamo nel pieno delle festività del Natale e negli ultimi giorni è riemersa la proposta di legge – presentata dal Movimento Cinque Stelle con in testa Michele Dell’Orco primo firmatario- che prevede la chiusura degli esercizi commerciali almeno sei dei dodici giorni festivi previsti durante l’anno. Il ddl, approvato nel 2014 alla Camera, risulta ormai fermo da tre anni al Senato. Tuttavia essendo agli sgoccioli dello scioglimento delle Camere, la legge potrebbe essere approvata in brevissimo tempo. Manca però la volontà politica di Pd e Forza Italia.

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