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Emanuele Ricucci

Emanuele Ricucci è nato a Roma il 23 aprile 1987. Scrive di cultura per Libero Quotidiano. Ha scritto, tra gli altri, per Il Giornale, Il Tempo e Candido, mensile di satira fondato nel 1945 da Giovannino Guareschi. È stato assistente del Sottosegretario di Stato per la Cultura, Vittorio Sgarbi, già collaboratore per la comunicazione del Gruppo Misto Camera dei deputati (componente NI- U-C!-AC). È autore di satira ed è stato caporedattore de Il Giornale OFF, diretto da Edoardo Sylos Labini, approfondimento culturale del sabato de Il Giornale, e nello staff dei collaboratori di Marcello Veneziani. Conferenziere, ha collaborato a numerose pubblicazioni. Ha studiato Scienze Politiche e scritto sette libri: Diario del Ritorno (Eclettica, Massa 2014, con prefazione di Marcello Veneziani), Il coraggio di essere ultraitaliani. Manifesto per una orgogliosa difesa dell’identità nazionale (edito da Il Giornale, Milano 2016, scritto con il giornalista di Libero e de Il Tempo Antonio Rapisarda e con il sociologo Guerino Nuccio Bovalino), La Satira è una cosa seria (edito da Il Giornale, Milano 2017. Tradotto in lingua tedesca, è in previsione l’uscita in Germania con la prefazione di Pierfrancesco Pingitore e la postfazione del prof. Francesco Alfieri. Il libro è stato apprezzato, tra gli altri, da Friedrich Wilhelm von Herrmann, ultimo assistente privato di Martin Heidegger) e Torniamo Uomini. Contro chi ci vuole schiavi, per tornare sovrani di noi stessi (edito da Il Giornale, Milano 2017). Questi ultimi prodotti e distribuiti in allegato con Il Giornale. Antico Futuro. Richiami dell’origine (Edizioni Solfanelli, Chieti, 2018, scritto con Vitaldo Conte e Dalmazio Frau), Contro la folla. Il tempo degli uomini sovrani (Passaggio al bosco, Firenze 2020, con critica introduttiva di Vittorio Sgarbi) e Caduta Matti. Racconti e mostri della follia contemporanea (Passaggio al bosco, Firenze 2021). Tra gli altri, ha prodotto alcune pubblicazioni “tecniche” (si citano, tra gli altri, il catalogo del museo di Palazzo Doebbing, seconda stagione espositiva, “Dialoghi a Sutri. Da Tiziano a Bacon”, 2019, e “Sutri remota e assoluta. Il Parco regionale dell’Antichissima Città di Sutri, un museo naturale”, 2020). Dal 2015 scrive anche sul suo blog Contraerea su ilgiornale.it. È stato consulente per la comunicazione della Fondazione Pallavicino di Genova e direttore culturale del Centro Studi Ricerca “Il Leone” di Viterbo.

A Natale riscoprite di San Casciano dei Bagni di Siena!

San Casciano

La terra d'Italia ha partorito. Un pezzo dopo l'altro: "guardami", sembra dire, "io sono viva, ancora! Sono eternamente viva e mi rifugio nei morti che sono più vivi di voi, ma che siete già morti". L'italiano ignorerà, un'altra volta. Passerà dritto mentre attacca l'asino dove vuole il padrone, mentre è colto dall'ennesimo attacco di panico dovuto alla polarizzazione, mentre farebbe di tutto pur di avere istantanea gratificazione: l'unica lotta che si ricorda di condurre. Ignorerà, troppo preso dal voyeurismo politico, dalle trappole del prossimo natale progressista e stitico, solo lucette, niente Dio nelle case di chiunque, troppo invadente, troppo impegnativo, troppo richiamo a un mondo di integrità che suggerisce nella più privata coscienza di costruirsi un pensiero critico per ribaltare le sorti di una generazione diretta verso l'autoannullamento.

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Il Bene è morto

Bene

È morto il Bene. La secchezza (spirituale) odierna è disarmante. Il Bene, come accaduto per secoli, e persino il male non hanno più “delle conseguenze trascendenti. Paradiso e inferno sono luoghi del folklore” (Piro, 2019), le identità che costruivano l’essenza più profonda degli uomini prima che diventassero prodotti di scarto del processo economico capitalistico e le comunità prima che divenissero società contemporanee, sono state accuratamente demolite attraverso un processo di demonizzazione, riferendosi alla sfera emotiva, cioè ricollegate all’errore di difenderle e praticarle ancora che, se commesso, porta a un’alienazione dalla maggioranza e a una riconsiderazione individuale immediata, che preme sulla sfera emotiva di ognuno, generando un non-riconoscimento persino all’interno dei gruppi più stretti di frequentazioni.

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Tossicità. L’emozione ha sostituito la ragione

tossicità

Toxic town. Tossicità. Tossicità che castra ogni libera determinazione dei rapporti. Paroloni? Neanche troppo. L’epoca dell’infantilismo comincia così, sostituendo la ragione con l’emozione per leggere e gestire i fatti del mondo, in uno stato di agitazione emotiva permanente in cui l’opinione autoritaria soppianta l’idea autorevole. Sembra un’insulsa – e un po’ pretestuosa – cantilena, ma in realtà è la traduzione lirica di gran parte dell’incubo psicologico che anima le nostre vite sociali. Un esempio sta nell’ideologizzazione di ogni cosa esistente, atto primo del peggior politicamente corretto.

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Essere donne tra gli estremismi femministi di oggi

donne

Solo un pensiero verticale e salato: strappate le donne dalle mani dell’estremismo femminista. Ma anche gli uomini. Poveri maschiacci occidentali di cui è sempre colpa. Per non riuscire a lavorare sotto una valanga di stress, per essere sempre meno padri e amanti focosi, per non riuscire più a stabilire rapporti di virilità - che come abbiamo visto in un recente articolo di questa dinamitarda rubrica, non è una parolaccia - alla base dell’educazione e del rapporto con i propri figli, che generano ritualità necessaria a identificare e fortificare i ruoli, le funzioni, a generare esempio, non a partorire mostri del patriarcato. Sempre colpa loro, o meglio nostra, anche mia, luridi immaturi, infanti della coscienza, violentatori preventivi, indegni di vivere il migliore dei mondi possibili, quello in cui il progresso sociale si fa, troppo spesso, estinguendo tutto ciò che si pone come alternativo all’imposto.

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No al Cristo pupazzo dei Pride!

Cristo

Mentre aspettiamo il consueto svilimento del Natale e dei suoi simboli, del suo spirito sacro, vengono in mente quei tre giovani vestiti da Cristo che mimano un atto sessuale con la croce, come a Bologna nel 2015 in un circolo Arcigay, il Cristo satirico e gay del collettivo Porta Dos Fundos, su Netflix, o quello “effeminato” – come titolava il Corsera - della Settimana Santa di Siviglia apparso quest’anno. E così via in una via crucis. Oplà! Sarebbe ora di dire basta al Cristo pupazzo. Il Cristo pupazzo è la sofferenza dello spirito in una carne arlecchina che nulla ha a che spartire con quella mistica e sofferta di Giovanni Testori, grande drammaturgo, tra i più potenti scrittori del Novecento, cattolico e omosessuale illuminato: “Credo di poter dire che non riuscissi mai a fare a meno di Dio, a fare a meno di Cristo. Anzi, tanto più cercavo di allontanarlo, tanto più me lo sentivo ricadere addosso”. Ecco, che il Dio di un tempo sciatto possa cadergli addosso a coloro che lo rendono un inservibile pupazzo, e che possa pesargli nella coscienza. Poiché, in questo processo di svilimento, non si riesce proprio a intravedere un’estensione dell’arte.

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Virilità, ‘oltre il maschio debole’

Virilità

Prima ancora di diventare cavia per la scienza, punturina performante per qualche film porno inglese, oggetto d’antiquariato fascista su qualche bancarella sul lungomare estivo di Cattolica od ossessione per qualche collettivo femminista, la virilità appare tipo la Madonna, come manifestazione d’origine: nudità dell’uomo innanzi a sé stesso. È forza fisica che si accompagna alla compattezza intellettuale – nel ricordo della Kalokagathia - e alla rettitudine morale – un padre che si fa esempio per manifestarsi al figlio – è la prosperità e la morte, la guerra e la fertilità, il mondo selvaggio di Ercole che doma il leone e di San Michele Arcangelo che azzitta il demonio sotto i suoi calzari: il governo delle forze prorompenti della vita e della natura, così del proprio spirito.

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Il Cristo personale tra complessità e semplificazioni alla Murgia

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La cristianità ha un problema con la semplicità. Ma non perché i suoi fedeli, oggigiorno, si avvicinino pericolosamente al rifiuto della materialità come fine primo della vita e del bisogno terreno, così come predicato dal Poverello d’Assisi o come risultato dell’esempio dei santi. Più che di semplicità, infatti, potremmo parlare di semplificazione, in un senso chirurgico e profondo rispetto a quello evocato, come sicuramente ricorderete, dalla fu Murgia Michela mentre svolgeva il suo perfetto e fantascientifico compitino ideologico, quando affermava che i cattolici adorano un Dio bambino perché rifiutano la complessità. Ebbene, tra la provocazione e la disperazione che aggrediscono il cuore di default e la comicità volontaria che deflagra felicissima da certe affermazioni, la scrittrice sarda, tra le righe di una rotonda sciocchezza, non sparava una sentenza del tutto infondata quando accostava la disabitudine alla complessità alla vita odierna della Fede.

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