Pubblicato da Les Flâneurs Edizioni, Vuoto è il nuovo romanzo della pugliese Ilaria Palomba presentato al Premio Strega 2023. Il romanzo si destreggia fra la dimensione onirica e la costante inquietudine che si sussegue, pagina dopo pagina. Una storia in cui aleggia un senso di morte perpetuo e che, tuttavia, induce alle riflessioni più pure e radicate grazie al viaggio nell’inconscio della protagonista. Personaggio principale del libro una donna, Iris Palmieri, poetessa dominata dalla propria vita disordinata e dall’oppressione del suo stesso Io.
Il contesto in cui Vuoto è ambientato si snoda fra la Puglia e Roma, il tutto nel giro di un anno. Il libro si divide in otto sezioni in cui si evince un certo tipo di continuità fra un capitolo e l’altro, tranne che per l’ultima parte. Un viaggio tra passato, presente e futuro che si sussegue in concatenazioni di eventi fluttuanti, come in una dimensione irreale, che portano la protagonista a sezionare in modo chirurgico la sua psiche, gli avvenimenti del suo passato e le sue emozioni.
Le paure che Iris percepisce appartengono a un episodio mai metabolizzato avvenuto durante la sua adolescenza; rivede le spiagge del Salento e d’un tratto, il suo essere la pone di fronte a una realtà non portata alla luce per troppo tempo.
Quel senso di vuoto, fallimento e solitudine inducono Iris a cercare di colmarlo con ogni mezzo. L’angoscia divorante, nel corso delle pagine, verrà ‘’saziata’’ dalla protagonista attraverso l’uso di droghe, la compulsione a sperimentare ogni tipo di promiscuità e il sesso sfrenato. Emblematica sarà l’amicizia con Giulio, un ragazzo più giovane di lei, con il sogno della letteratura e della fama letteraria: la brama e l’amore verso la poesia, oltre che la spiccata sensibilità del ragazzo, legheranno i due personaggi in un rapporto di tenerezza confidenziale. Ma Giulio, come Iris, ha una sua fragilità: un giorno si toglie la vita gettando la protagonista nella confusione, lei che, come si evince nel corso della lettura, ha più volte tentato di abbandonarsi alla morte. Come numerose personalità letterarie, Antonia Pozzi e Sylvia Plath, decedute lasciandosi cullare dalla dolcezza silente della morte, Giulio agisce negando la sua presenza alla Terra; Iris, invece, coltiva un imperante e insistente senso di colpa dopo la dipartita dell’amico.
Il rimpianto di non aver fatto nulla per salvargli la vita si insinua nel suo precario equilibrio interiore. Intanto, anche il matrimonio con Federico vacilla; non le resta che la letteratura, unico punto fermo radicato, sola scaglia luminosa che riluce in un mare di grigiore funereo. L’incontro con una scrittrice, però, la illuminerà sulla vera essenza della passione letteraria portandola a rivalutare quelli che, fino a quel momento, le erano parsi pensieri di salvezza: la scrittura non dona, è chi scrive che deve donare qualcosa alla scrittura.
Nonostante il precario equilibrio, le problematiche e l’inquietudine tangibile che tiene il lettore incollato e sospeso in una dimensione di attesa, Iris continua a scrivere: le verità apprese dalla conversazione con la nota scrittrice non arrestano il suo fluire verso la ricerca attraverso la letteratura. Iris non demorde, si riconosce grazie alla scrittura e si riflette in essa, anche se tutto sembra dissolversi in problemi più grandi di lei; disguidi con gli editori, progetti naufragati, una carriera che sembra sempre più sfumata e sbiadita, ma che la protagonista non etichetta come mera sussistenza materiale. Quella di Iris è una scrittura trascendentale, che accarezza i corridoi reconditi della coscienze, solletica dubbi, si pone quesiti, cerca delle risposte: sembra quasi che ripercorra sì i suoi dolori personali, ma che faccia propri anche i dolori dell’intera società che la trasportano in un circuito di intenso sentire.
Lo strato di pelle di Iris si assottiglia, dandosi alla luce in tutta la sua sensibilità più pura: sente il corpo come una gabbia, analizza e avverte intensamente le brutture in cui la società è immersa, le ingiustizie, la compassione per la gente che vive ai margini, ma soprattutto denuncia una porzione di sistema che minimizza ogni pensiero indipendente, ogni sogno di diversità, incasellandolo nella depressione. Il messaggio veicolato è importante: Ilaria Palomba, attraverso la voce di Iris, esprime una verità tagliente; se un’idea non appartiene al modello che la società propina come ‘’giusta’’ o ‘’fattibile’’ è subito tacciata come un ‘’disturbo’’, quando invece è solo uno schema differente rispetto ai modelli sociali vigenti. Un’altra peculiarità del libro è il rimando, quasi malinconico, a una dimensione antica che non c’è più: le semplici cittadine costiere, la natura incontaminata ormai braccata da blocchi di cemento asettico. In questo caso si riferisce alla Puglia, ma qualsiasi lettore che si approccia a questa problematica condividerà tali riflessioni: terre imbevute di tradizioni ataviche volte, ormai, a una mercificazione stantia che ha eliminato il loro fascino ancestrale.
Questo romanzo dai monologhi interiori affilati, dai flussi di coscienza che giungono al lettore come una lama che scarnifica le coscienze, è a conti fatti un percorso di continua ricerca che cerca di scovare un’appartenenza o una propria dimensione. Iris arriverà ad accettare quel vuoto che aveva, da sempre, cercato di riempire addirittura introiettandolo con fierezza: il vuoto che tanto aveva combattuto è adesso fregio di ciò che ha contribuito a rendere la protagonista unica, nelle sue immense e caleidoscopiche sfaccettature.
L’accettazione del passato, il trasformarsi della propria interiorità, si lega a una continua impellenza volta alla ruminazione interiore, sempre attiva, che si interroga attraverso quesiti. Sono costanti, infatti, i rimandi filosofici: il senso di morte sembra sedurre Iris e, al contempo, la protagonista sembra quasi bramarla. Il funereo presiede una continuità all’interno dell’opera così come l’angoscia che emerge nel corso della lettura. Sembra, infatti, di percepire alcuni rimandi relativi a Emil Cioran o Nietzsche ma, anche, all’accezione classica del termina ‘’angoscia’’ introdotto per la prima volta da Kierkegaard (“Il concetto dell’angoscia’’, 1844). Secondo il filosofo danese l’esistenza, di fronte all’uomo, è fonte di innumerevoli possibilità; l’angoscia è il sentimento del possibile in cui si cela l’alternativa che è la morte. A tale situazione di angoscia esistenziale l’uomo rispondere in due modi: con il suicidio, proprio come accade a Giulio amico di Iris, o con la fede.
Per Kierkegaard, quindi, l’angoscia è intesa come rapporto dell’Io con il mondo; quello stesso tormento che Iris sente, e che chi si cimenta nella lettura percepisce fin dalle prime pagine. Un libro che è un sogno onirico, un estremo viaggio in cui l’inconscio si mescola con il chimerico e il concreto, in cui il turbamento e l’irrequietezza si avviluppano all’attenzione del lettore trasportandolo in una storia surreale, i cui confini fra realtà e sogno si assottigliano e si inglobano, pagina per pagina.