“Qual è l’ istante esatto in cui nasce una rivoluzione? Vorrei ritrovare nella mia memoria quel giorno dell’ inverno 1917, quando a un tratto diventò visibile, non solo per gli iniziati, per gli uomini al potere, ma per la folla, per un bambino, per me. Il giorno prima, la rivoluzione era una parola uscita dalle pagine della Storia di Francia o dai romanzi di Dumas padre. Ed ecco che le persone grandi dicevano (senza ancora crederci): Stiamo andando verso una rivoluzione… Vedrete, tutto questo finirà con una rivoluzione!”. Negli ultimi anni è cominciata una riscoperta delle opere di Irène Némirovsky da parte delle case editrici italiane, come l’Adelphi con la pubblicazione di Suite Francese nel 2005, in seguito al settantesimo anniversario della morte della scrittrice ucraina deportata nel 1942 ad Auschwitz. L’opera di diffusione dei suoi scritti comprende anche opere inedite come la raccolta di racconti Nascita di una rivoluzione, edita da Castelvecchi editore nel 2012, comprendente due scritti pubblicati per la prima volta nel 1938 e l’ultimo solo postumo nel 2011. Illuminante la prefazione di Susanne Scholl a quest’edizione, dal titolo Cosa fa la rivoluzione con gli uomini e cosa fanno gli uomini con la rivoluzione, nella quale pone gli interrogativi fondamentali su cui si basa la raccolta della Némirovsky, soprattutto se sia giusto o meno anteporre un ideale alla vita e ai diritti del singolo. Le sommosse cominciano sempre con i migliori propositi, ovvero l’euforia per il futuro, una “gioiosa sensazione d’attesa”, come afferma la Scholl, dettata dal rifiuto e dal disprezzo del passato. Ma nel loro svolgersi le rivoluzioni attraversano sempre un punto di non ritorno, dopo il quale non si può che fallire, ovvero la perdita dell’umanità. Ecco le parole di Susanne Scholl in proposito:
“E ancor prima di formulare i loro obiettivi, i rivoluzionari iniziano a uccidere. (…) La lezione di tutte quelle rivoluzioni del passato che si sono concluse con la perdita di ogni valore umanitario sembra ormai essersi dissolta nella miseria morale dei sopravvissuti.”
E ciò che resta non è altro che vuoto. Il vuoto riempie la falla creatasi in seguitoalla morte di ogni ideologia. È proprio questo di cui parla il racconto che da il nome alla raccolta, Nascita di una rivoluzione, ovvero un ricordo di infanzia della stessa Irène, quando era ancora una bambina appartenente a una famiglia benestante con una tata francese. Ricorda il Febbraio del 1917, lo scoppio della rivoluzione russa. Ricorda la folla in marcia, il popolo pieno di speranza, il volto di una rivoluzione che non aveva ancora versato sangue. Eppure il momento di cui parla la Némirovsky si colloca poco dopo. Ricorda di aver assistito, affacciata alla finestra della propria casa, a una finta esecuzione ai danni del portiere del suo palazzo, un tale Ivan, davanti a tutta la sua famiglia. Un gesto insensato solo per fargli paura. La scrittrice attribuisce a questo ricordo il vero scoppio della rivoluzione: “Solo più avanti, compresi. Fu quel giorno, fu in quell’istante che vidi nascere la rivoluzione. Avevo visto il momento in cui l’uomo non si è ancora spogliato delle abitudini e della pietà umana, il momento in cui non è ancora abitato dal demonio, che già però gli si avvicina e turba la sua anima”.
Il secondo racconto, Magia, parla di un gruppo di esuli, fuggiaschi russi, in Finlandia nel 1918, ragazzi e ragazze che esorcizzano la paura, nel mezzo di una foresta, organizzando una seduta spiritica, durante la quale viene scherzosamente profetizzato a uno dei giovani il nome della donna del suo destino, Doris Williams. Anni dopo il ragazzo incontrerà per un istante una donna con lo stesso nome, chiedendosi scioccamente se fosse davvero la donna della sua vita. Il destino risponderà al suo posto, dato che Doris Williams, giornalista inglese, venne trovata morta poco tempo dopo nel suo appartamento. La Némirovsky commenta:
<<Ci deve essere stato a un certo punto, nel filo che il destino tesse per noi, una maglia mancata>>.
In questo secondo racconto si evince il senso di straniamento della scrittrice nella Francia della sua fuga, quando la sua colpa era solo di non essere una vera francese. L’ultimo racconto, dal nome Émilie Plater, parla della giovane polacca che combatté nel 1831 durante la rivoluzione per liberare il suo Paese dal giogo russo e che morì per il suo ideale. Susanne Scholl riassume il racconto in questo modo:
“Ma non è proprio questo ciò che le rivoluzioni fanno agli uomini? La rivoluzione scatena in loro la speranza, la gioia, ma abbatte anche tutti quei confini di cui l’uomo ha bisogno per non abbrutirsi. E l’uomo, a sua volta, utilizza la rivoluzione per impadronirsi di ciò che altrimenti gli sarebbe sempre negato. Non per stimolare un cambiamento positivo in sé per sé. Ragion per cui, alla fine, si può solo fallire”.