La resistenza del maschio (NN editore, 2016) della scrittrice e autrice teatrale milanese Elisabetta Bucciarelli (Corpi di scarto, Dritto al cuore, L’etica del parcheggio abusivo) è un romanzo frammentato: da una parte abbiamo la storia di un Uomo e del naufragio del suo matrimonio con la Donna; dall’altra ci sono le vicende di una ragazza, di una femmina e di una donna.
Le due storie sono separate temporalmente, spazialmente e stilisticamente ma, al contempo, intimamente legate, seppure gli indizi di questo legame siano labili e lascino spazio a dubbi.
La resistenza del maschio: la vita dell’Uomo, la vita della Donna
L’Uomo – il cui nome non viene mai fatto, perché il nome non è mai importante quando il singolo rappresenta una collettività, o meglio, come in questo caso, una categoria di persone – ha una vita fatta di ruoli: è un Lavoratore, ossia un professore universitario; è un Marito, sposato con la Donna Marta; è un Maschio, alla ricerca della Femmina Effe; è un Amico. L’unico ruolo che manca a quest’uomo è quello che la società occidentale generalmente impone come naturale prosecuzione della catena nascita → crescita → accoppiamento → riproduzione: il ruolo del Padre.
L’Uomo non vuole figli, la Donna invece sì. Intorno a questa scelta fondamentale nella vita umana, e così scontata, così banale fino a qualche decennio fa, ruota il dramma che si va profilando nella Resistenza del maschio: la Donna/Moglie/Madre-in-volontà (o almeno Madre-in-potenza) tenta in tutti i modi di sfondare le resistenze dell’Uomo/Marito/Padre-in-nolontà, senza riuscirvi. Intorno a questa dicotomia volontà/nolontà si svolge il gioco dei ruoli e, al contempo, la lotta dei sessi: da una parte chi vede nel figlio (anzi: nel Figlio) il compimento della Vita; dall’altra chi riesce a trovare nell’esistenza così com’è, scevra di una progenie, il senso ultimo della Vita stessa. In questo scambio di battute è esemplificata tutto questo:
«Cos’è successo stanotte?» gli chiede la Moglie.
«Ti è piaciuto?» domanda lui.
«Vedi» continua la Moglie, cercando il pacchetto di sigarette «stanotte sarebbe stato un concepimento perfetto, magari è successo, chi può dirlo».
«Stanotte è stato bello anche se non è avvenuto alcun concepimento» risponde lui. «Non riesci mai a vedere le cose positive che succedono. Dovremmo imparare a stare di più nelle cose positive».
E non a caso ne La resistenza del maschio viene addirittura tirato in ballo Nietzsche (un altro uomo che ha resistito, a suo tempo, alle pressioni familiari e sociali che riguardavano la paternità) quando viene affermato che “ciò che è decisivo si compie nonostante tutto” (questa frase si trova in Ecce Homo, nella sezione dedicata a Così parlò Zarathustra). E decisivo, nella vita dell’Uomo di Bucciarelli, è che la nascita del figlio non si compia.
Tuttavia questa scelta di non voler avere una prole non è da vedersi come un atto di puro egoismo, ossia un atto di egoismo verso la specie, bensì un atto di negazione solo verso la Donna/Moglie/Madre-in-volontà: l’Uomo, sebbene non voglia figli, e arrivi a un certo punto addirittura a ricorrere alla vasectomia per evitare problemi, più di una volta ha donato sperma alla banca del seme gestita dall’Amico, così da realizzare, almeno in potenza, il desiderio di altre Donne (fra parentesi, è proprio la scoperta di queste donazioni a far esplodere, e non solo scoperchiare, il vaso di Pandora e a portare verso l’epilogo la relazione fra Uomo e Donna).
Si possono avere opinioni su diverse cose in una coppia senza che la coppia stessa vada a frantumarsi; ma su una questione così fondamentale come la filiazione, se non c’è incontro la coppia è destinata a frantumarsi. E così accade nella Resistenza del maschio.
La lotta della femmina, la resistenza del maschio
Il secondo quadro si svolge in uno studio medico in cui lavorano un dermatologo, un ginecologo e uno psicologo. Ma i medici non si fanno vedere per diversi motivi, e l’attesa diventa spunto per una discussione a tre che ha al centro la figura del maschio; un maschio che non è più Uomo, non più simbolo universale del genere maschile, ma è proprio quel singolo essere umano. Qui infatti compaiono i nomi propri delle tre donne: Marta, Silvia e Chiara.
Ci vuole un po’ a capire che rapporti ci siano fra queste tre donne, ma col tempo, e con sottilissimi indizi, Bucciarelli ci porta a capire che Marta è proprio la Moglie dell’Uomo di cui prima che oggi, in questo futuro imprecisato rispetto all’altra storia, è ricorsa alla fecondazione assistita per diventare Madre (non più Madre-in-potenza ma Madre-in-atto). E l’ha fatto andando nello studio di quell’Amico che, nell’altra storia, ha aiutato il Marito con la vasectomia. Sorge addirittura il dubbio, mai però confermato, che il seme che Marta riceve possa essere proprio quello del marito.
La seconda donna è Chiara, sposata, con un figlio (è proprio lei a spiegare a Marta cosa voglia dire fare un figlio: «Essere capace di stare ferma dietro a una porta chiusa», riferendosi al fatto che il figlio, venuto a trovarla allo studio, resta bloccato dietro la porta a causa di un blackout). E nonostante una vita apparentemente felice (quella desiderata da Marta), Chiara intrattiene una relazione con un altro uomo: una relazione sfuggente, fatta di indizi, insinuazioni, messaggi, una sorta di amore platonico (o, usando una terminologia più contemporanea, un amore di tipo sapiosessuale, fondato sul desiderio intellettuale). Marta e Chiara però non sanno (non possono sapere) che l’uomo a cui sono legate con un filo rosso è lo stesso:
«Come si chiama il tuo cavaliere errante?».
[…]
«Emme, lo chiamo con la sua iniziale».
[…]
«Anche il mio ex comincia per Emme» dice Marta, prima di lasciare la sala d’attesa «ma la mia è tutta un’altra storia».
C’è infine Silvia, e anche lei è “incastrata” in una relazione sfuggente. Ma lei, a differenza di Marta, non è sposata; lei, a differenza di Chiara, non ha figli. Silvia è libera ufficialmente, legata solo da un amore che non la soddisfa perché troppo evanescente. E l’insoddisfazione per questa storia nasce dalle premesse. Dice infatti Silvia, proprio all’inizio del romanzo: «A me succede così, se uno è bravo io lo voglio. Stima, fascino non c’entrano: deve essere capace, saper fare le cose. Lui è diventato un ossessione. Non so riesco a spiegarmi».
Anche qui viene il dubbio che il maschio che sta dietro a tutto sia lo stesso, e che Bucciarelli abbia messo in scena, in un possibile e beckettiano teatro dell’assurdo, una situazione paradossale in cui tre donne si ritrovano bloccate nello stesso clautrofobico spazio-tempo a parlare dello stesso maschio/uomo che le ha bloccate nella stessa claustrofobica situazione sentimentale.
Quale che sia la verità su questo specifico elemento narrativo, La resistenza del maschio è un libro che offre delle prospettive allargate sui generi contemporanei. Pur restano nella classica dicotomia uomo/donna, abbiamo dei ruoli capovolti: è qui la femmina nel ruolo di predatrice, a inseguire un maschio che sfugge, che scappa, che resiste a tutti i costi all’inglobamento all’interno di categorie già-date da una società (quella umana) che si fa sempre più liquida e che (mutando semanticamente il senso di questa parola) liquida appunto i ruoli prestabiliti. La Donna non ha più bisogno dell’Uomo per essere Madre; la femmina, nel senso più animale del termine, può essere cacciatrice, e ritrovarsi a “conquistare” in qualche modo il maschio, “costretto” alla fuga per rimanere libero.
L’Uomo, infine, ha rinunciato alla completezza, alla perfezione a tutto tondo. Con grande coraggio oltrepassa l’Uomo dell’Ottocento, si volta appena a guardare quello del Novecento, e afferma: «L’Uomo lo sa, la sua identità è nella mancanza, l’oggetto assente, la ricerca infinita». La resistenza del maschio e dell’uomo inizia da qui, dall’assenza.