Le storie di killer, si sa, sono torbide. Sanno di vecchie polaroid, di fumo di sigarette ammezzate, di liquori aspri, di lerciume e sangue; e sanno di disumana confidenza con ognuno di questi elementi. Si potrebbe riconoscere un normale noir, senza particolari difficoltà, fin dalle primissime parti dell’opera. Si potrebbe, per giunta, decidere di abbandonare la lettura dell’ennesimo ‘mattone’ letterario, vinti dal tedio dell’aver già colto il prolisso disegno dell’autore, pur di non morire d’un libro scontato e malamente farcito. Tristemente ‘semplice’, oggigiorno, concepire storie simili: ambientazioni scure ed umide; personaggi poco raccomandabili; particolari scabrosi e registri coloriti. Totalmente diversa è la lettura del romanzo di Luis Sepùlveda, Diario di un killer sentimentale, risalente all’ormai lontano 1996: una storia che si legge, si rilegge, si vive con trasporto, e non si abbandona mai. In un uno spazio di poco più settanta pagine, l’autore ha inserito tutto un mondo nuovo, nell’ormai collaudato cosmo del roman noir.
Nella finzione letteraria, la narrazione è suddivisa in sette giorni: la quantità di tempo necessaria alla Creazione, o, verosimilmente, all’ottima realizzazione di un’opera ben fatta. L’io narrante è quello stesso del protagonista, un abile e quotato killer professionista al servizio dell'”uomo degli incarichi”, una persona mai incontrata fisicamente (“perché così funzionano le cose tra professionisti”). Il brillante assassino, nel punto più pieno della sua carriera, commette un errore: s’innamora di una giovanissima donna francese, che lo trascina in una costosa ed incauta vita aristocratica. Una giostra lussureggiante, interrotta dal protagonista esclusivamente per i viaggi di lavoro, al solo scopo di raggiungere le sue vittime, e ripartire.
All’alba, però, di una nuova commissione, un incarico con “sei zari sulla destra ed […] esentasse”, la bellissima francese tronca la relazione, facendo piombare il protagonista in un insano vortice di ripensamenti e di monologhi profondi, insieme con la sua coscienza che agisce tramite la sua stessa immagine riflessa nello specchio, o tramite le foto dell’obbiettivo da eliminare. Tutta una serie di errori e tentennamenti che portano alla contrattazione di un pensionamento anticipato, fissato, ovviamente, al compimento di quell’ultimo lavoro. Nonostante i passi falsi e le incertezze, il killer si fa strada fino alla fine, trascinandosi dolorosamente fino al culmine di quell’ultimo omicidio, in un finale dal colpo di scena agrodolce.
Diario di un killer sentimentale, è un noir avvincente, spregiudicato ed efferato quanto basta. Una narrazione esile, asciutta ed agile, che alcuni canuti accademici annoiati, ai tempi, definirono scontata, ma che sorprende e colpisce il lettore ignaro come un colpo d’arti marziali, secco ed efficace. Un’opera in cui la crudeltà fredda del romanzo nero si mescola coi tormenti interiori di un’anima inaspettatamente fragile, e con debolezze e problematiche tutte umane, e tutte nuove, in un sottogenere già collaudato, ma abilmente svecchiato. “[…] perché era vero, l’amavo, ma non potevo agire diversamente in quel mio ultimo lavoro”.